Film

 

 

 

L’ufficiale e la spia:
l’affaire Dreyfus secondo Polański

 

di David Calef

 

 

L’uscita nelle sale italiane di L’ufficiale e la spia di Roman Polański  tratto dal bel romanzo omonimo di Robert Harris (Mondadori, 2014) offre un’occasione per riflettere sul caso Dreyfus e sulla sua rilevanza 125 anni dopo l’inizio del caso giudiziario che divise l’opinione pubblica francese per 12 anni.

La storia è nota ma vale la pena riassumerla: nell’autunno del 1894, il comando del corpo di Stato Maggiore dell’esercito francese entrò in possesso di una lettera anonima rinvenuta nel cestino della carta straccia dell’ambasciata tedesca a Parigi. Sulla base di perizie calligrafiche arbitrarie e di un processo fraudolento il capitano Alfred Dreyfus del 14° reggimento d’artiglieria venne accusato di aver trasmesso informazioni riservate alla Germania e condannato per alto tradimento alla deportazione all’Isola del Diavolo.

Dreyfus era un giovane militare ed indefettibile patriota come la maggioranza degli ebrei alsaziani. Soprattutto, era innocente. Nonostante la sua probità Dreyfus corrispondeva perfettamente all’identikit di spia e traditore della patria: era ebreo e abbiente e già questo sarebbe bastato a mezza Francia per giudicarlo colpevole di qualsiasi nefandezza. Inoltre veniva dall’Alsazia, la regione francese annessa dalla Germania dopo la guerra franco-prussiana del 1870-71 e quindi, agli occhi di molti e contro ogni evidenza, verosimilmente filotedesco. E, per non farsi mancare niente, Dreyfus era anche un tipo sgraziato, socialmente goffo e scostante (l’attore Louis Garrel ne rende bene il contegno indisponente), per nulla in grado di muovere a simpatia l’opinione pubblica.

Per tutto il 1895, la stragrande maggioranza dei francesi fu persuasa della colpevolezza di Dreyfus finché - in estrema sintesi - due fatti contribuirono a rompere il consenso e a smontare l’impianto accusatorio del tribunale militare:

Un folto gruppo di intellettuali, i dreyfusards (Bernard Lazare, Émile Zola, Georges Clemenceau, Jean Jaurès e molti altri) dette avvio a una campagna di stampa al fine di persuadere giudici e opinione pubblica dell’innocenza di Dreyfus.

Il tenente colonello Picquart, neo-promosso capo del controspionaggio, mettendo a frutto indagini sulla rete spionistica tedesca, comprese che Dreyfus era innocente e che la vera spia era un altro ufficiale.

L’Ufficiale e la Spia, in linea con il romanzo, si concentra soprattutto sulle iniziative di Picquart - via via boicottate da superiori e colleghi - trascurando quasi del tutto l’incredibile tour de force dei dreyfusards impegnati in una battaglia civile che cambiò i tratti della società francese.

In una scena rapida e brillante, il film mostra strilloni che distribuiscono copie del quotidiano L’Aurore sulla cui prima pagina Zola denuncia in una lettera aperta al presidente della repubblica (J’Accuse...!) le illegalità commesse durante il processo. Pochi secondi e la camera ritorna su Picquart in procinto di essere portato in prigione. Che Picquart debba essere il vero e unico eroe del film è quasi inevitabile: le sue azioni si prestano ad essere filmate molto meglio della mobilitazione dei dreyfusards attraverso editoriali e pamphlet. Lo stesso vale per gli anti-dreyfusards, ovvero i nazionalisti cattolici e antisemiti (e.g. Edouard Drumont e Charles Maurras) con scarse simpatie per le istituzioni repubblicane: L’ufficiale e la spia omette del tutto il loro operato. Queste scelte - più che comprensibili dal punto di vista cinematografico - compromettono l’attendibilità del film. Che funziona - un po’ a fatica - come spy story ma non dà conto dello scontro tra due visioni della società inconciliabili tra loro; è difficile capire dalla ricostruzione di Polański  per quale motivo il caso Dreyfus sia stato molto più che un banale errore giudiziario alimentato da un diffuso fervore antisemita.

Il caso Dreyfus è stato infatti uno scontro frontale tra due schieramenti per definire l’identità della Francia: da una parte gli anti-dreyfusards che rivendicavano il mito del carattere puro della civiltà francese minacciata dalla corruzione morale degli ebrei e degli stranieri in genere. Dall’altra, i dreyfusards pronti a battersi per un’idea di cittadinanza fondata sui diritti e non sul sangue e sulle tradizioni.

Tutto questo nel film non c’è ed è un peccato perché l’affaire Dreyfus è una battaglia che continua ad essere combattuta in Francia e altrove. Oggi, in Italia, i nazionalisti che vanno per la maggiore non sarebbero affatto dispiaciuti a Maurras.

David Calef

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