Israele
La lista araba unita e la sinistra sionista
di Giuseppe Gigliotti
I clamorosi colpi di scena occorsi nell'ultimo anno nell'arena politica israeliana sono stati tanti e tali da estenuare persino i più stagionati commentatori. Spetterà a storici ed analisti politici valutare, in anni futuri, se il voltafaccia di Benny Gantz abbia preservato il paese dal rischio di una guerra civile, o non l'abbia condotto sull'orlo del baratro. In questa sede, vorrei invece soffermarmi su un avvenimento ancor più importante, la cui rilevanza non sembra essere stata ancora metabolizzata dall'opinione pubblica ebraica. Le ultime elezioni non hanno difatti solo confermato il trionfo della destra nazionalista ebraica, ma hanno altresì segnalato l'inizio dell'emancipazione politica della minoranza palestinese. Si tratta di un punto di non ritorno nella delicatissima struttura governativa del paese che, unitamente al crollo della sinistra sionista, è destinato a cambiare irreversibilmente gli equilibri politici israeliani. La straordinaria affermazione della Lista Unita, i cui quindici seggi ottenuti nelle ultime elezioni si sono di molto ravvicinati al peso numerico della comunità, ha altresì spazzato via ogni residuo dubbio sulla sua legittimità politica. Demonizzati dai partiti di destra, snobbati da Kohol Lavan e trascurati dalla sinistra sionista, i cittadini palestinesi hanno, con il loro voto, indicato che la Lista Unita è il rappresentante legittimo della comunità arabo israeliana, e non solo. La crescita della Lista nei villaggi drusi ha confermato la ripalestinizzazione in corso di questa comunità, frutto di decenni di sistematica negligenza ed inaspritasi col passaggio della disastrosa legge sullo Stato-Nazione. Al contempo, il punto di non ritorno raggiunto dalla sinistra sionista si è tradotta in un incremento dei voti provenienti dal settore ebraico: sebbene ancora insignificanti in valori assoluti (circa 20000), essi segnalano tuttavia il crescente potenziale della Lista quale valida alternativa politica alla sinistra sionista. Ed è su quest'ultimo punto che desidererei concentrarmi.
Sono infatti convinto che i cambiamenti occorsi nell'ultimo decennio abbiano reso obsoleta l'idea, tuttora proposta tra i gruppi sionisti liberal americani, secondo cui i partiti arabi antisionisti siano aprioristicamente da escludere da ogni equazione politica. Le ragioni alla base di questo mantra sono innumerevoli, ed esulerebbero dallo spazio di un articolo. Basterà concentrarsi sulle più invocate, ovverosia quella secondo cui i partiti sionisti di sinistra potrebbero offrire un'alternativa politica ai cittadini palestinesi, e che i partiti arabi siano eccessivamente radicali per poter essere il perno di un'alleanza politica tra cittadini ebrei e palestinesi. Le ultime elezioni hanno definitivamente screditato il primo punto: per la prima volta dal 1948, il voto arabo per partiti sionisti si è ridotto al lumicino. Ed ancorché la presenza di una Lista a forte trazione identitaria abbia pesato molto sulle scelte di voto, è innegabile che il principale movente sia da ricercarsi nel crescente senso di furia dei cittadini arabi verso i partiti sionisti. Stanchi di promesse non mantenute, furibondi per essere tenuti ai margini, ed esasperati dal rifiuto di eliminare la Legge sullo Stato-Nazione, gli elettori arabi hanno definitivamente voltato le spalle ai partiti sionisti. Ancora meno convincente risulta poi il secondo argomento, che non tiene conto dell'evoluzione interna alla società israelo-palestinese: la morte della soluzione dei due Stati per due popoli ed il permanente isolamento dal mondo arabo ha paradossalmente indebolito le correnti “anti-integrazioniste”, in ascesa negli anni compresi tra gli accordi di Oslo e la Seconda Intifada. Le declinanti fortune politiche del Balad ne sono una prova evidente: considerato un bastione dell'intransigenza panaraba ed ostile a qualsivoglia partecipazione a coalizioni con partiti sionisti, il partito ha però visto diminuire in anni recenti il proprio appeal. La caduta di roccaforti, quali Sakhnin, a favore del rivale storico Hadash, e l'erosione del Balad a livello nazionale, hanno segnalato il disfavore dei cittadini arabi per posizioni di assoluta intransigenza. Le sorprendenti aperture segnalate da Mtanes Shihadeh, il leader del Balad, nel corso delle trattative per la formazione del governo, culminate nell'appoggio ad un supporto esterno per un ipotetico governo Gantz, sono il frutto di questa rivoluzione in corso nella comunità araba. Ancorché antisionista, la maggioranza del pubblico arabo-israeliano è ormai favorevole ad una partnership con il pubblico ebraico, purché essa sia fondata su principi di reale eguaglianza. Ed è su tale istanza che la sinistra sionista sarà chiamata a confrontarsi nei prossimi decenni.
Non intendo dare una risposta netta sul merito delle possibili soluzioni, non essendo io stesso cittadino israeliano. Mi limiterò però a segnalare alcune falle nella posizione ostile ad ogni apertura di sorta alla Lista. In primo luogo, la radicalizzazione nazionalista del settore ebraico in Israele rende la minoranza araba un partner imprescindibile nel costruire un'alternativa politica secolarista. Illudersi di poter affidarsi ai partiti charedì, come talvolta ventilato in think tank americani, è una pia illusione. Non soltanto il disprezzo tra secolari e charedim ha raggiunto livelli impensabili sino ad un decennio fa. Ma la drammatica svolta religiosa del Likud rende tale partito un partner naturale per i partiti ultra-ortodossi, rispetto al Labour od al Meretz. Maggior peso sembra avere la considerazione che fa leva sulla generale opposizione del pubblico ebraico a qualsiasi partecipazione dei partiti arabi. Il rapporto tra Israele e la sua minoranza araba costituisce la componente più esplosiva nel conflitto israelo-palestinese, e la sua mancata risoluzione è alla base dell'emarginazione politica della minoranza arabo-israeliana. E tuttavia, in quella che i posteri ricorderanno come la maggiore ironia nella storia politica del paese, Trump e la destra israeliana potrebbero rendere superato tale tabù tra l'elettorato laico. Come ho già notato in un precedente articolo, ci sono pochi dubbi che nel caso di un'annessione dell'area C della West Bank, i palestinesi sarebbero indotti ad attivare quella che io definisco l'“opzione nucleare”, vale a dire lo smantellamento dell'ANP seguito da una massiccia richiesta della cittadinanza israeliana. Ed in questo scenario di Stato unico, è possibile ritenere che l'attuale opposizione della sinistra sionista ad una partnership con i partiti arabi a trazione secolare verrebbe a svanire, alla luce della necessità di definire il ruolo del secolarismo nell'assetto istituzionale del nuovo Stato. Allo stato attuale, simili considerazioni rimangono puramente ipotetiche. Quel che è certo, però, è che la comunità araba è ormai un attore politico di primo piano, con cui lo stesso Likud sarà chiamato, d'ora in avanti, a fare i conti.
Giuseppe Gigliotti
Hadash è un acronimo dell'ebraico HaHazit HaDemokratit LeShalom uLeShivion (in italiano Fronte Democratico per la Pace e l'Uguaglianza). Formatosi dall'amalgama tra il Partito comunista d'Israele (Rakah) con elementi delle Pantere Nere ed altri gruppi di sinistra, è il principale partito della sinistra antisionista israeliana. Guidato da Ayman Odeh, Hadash ha tradizionalmente supportato politiche socialiste sul piano interno, collocandosi invece a favore della soluzione dei Due Stati per Due popoli, ed il diritto al ritorno o quanto meno ad eque compensazioni per i rifugiati palestinesi. Promotore della cooperazione arabo-ebraica, Hadash supporta il riconoscimento degli arabi israeliani quale minoranza nazionale palestinese, e la loro piena eguaglianza sostanziale. Tradizionalmente supportato dalla comunità cristiana palestinese e da ebrei di estrema sinistra, sotto la leadership di Odeh Hadash ha abbandonato la linea nazionalista palestinese adottata negli anni Duemila da Mohamed Barakeh per proporsi nuovamente quale unico campione della cooperazione arabo-ebraica in Israele.
Ta'al è un acronimo dell'ebraico Tnu'a Aravit LeHithadshut (in italiano Movimento arabo per il rinnovamento). Fondato nel 1999 dal suo attuale leader Ahmad Tibi, il Ta'al è un partito secolare arabo ed antisionista. Impegnato sul piano interno a supportare l'eguaglianza tra cittadini arabi ed ebrei, il Ta'al è fautore sul profilo della politica estera dell'opzione “Due Stati per Due popoli” e di una giusta soluzione del problema dei rifugiati palestinesi.
Ra'am è un acronimo dell'ebraico HaReshima HaAravit HaMe'uhedet (in italiano Lista Araba Unita). Sorto nel 1996 dall'unione del Partito Democratico Arabo e da elementi provenienti dal fronte d'Unità Nazionale e dal ramo meridionale del Movimento Islamico d'Israele (nel 1996, il Movimento Islamico si è spaccato in un ramo meridionale, favorevole alla partecipazione al processo elettorale nella Knesset, ed un ramo settentrionale, ostile a tale scelta e messo al bando nel 2015 a causa dei suoi legami con Hamas e l'attività di agitazione sul Monte del Tempio), è oggi guidato da Mansour Abbas. Partito nazionalista a forte trazione islamista e sposante posizioni conservatrici sotto il profilo sociale (e per ciò stesso molto popolare nella comunità beduina), il Ra'am supporta tuttavia la soluzione “Due Stati per Due popoli” e la piena eguaglianza tra arabi ed ebrei in Israele.
Balad è un acronimo dell'ebraico Brit Leumit Demokratit (in italiano Assemblea Nazionale Democratica). Fondato nel 1995 da un gruppo d'intellettuali guidati da Azmi Bishara, il Balad è attualmente guidato da Mtanes Shihadeh. La piattaforma del Balad è certamente la più complessa tra quelle dei partiti componenti la Lista Unita. Strenuamente secolarista come l'Hadash, se ne distacca tuttavia per le posizioni più marcatamente nazionaliste, che lo avvicinano al Ta'al, da cui si differenzia a sua volta per la piattaforma più orientata a sinistra, con una specifica enfasi per l'eguaglianza di genere e sessuale. A differenza degli altri tre partiti componenti la Lista, il Balad ha assunto posizioni ideologiche più stridenti: oppositore della definizione d'Israele quale Stato ebraico e democratico, il Balad supporta invece la sua trasformazione in uno Stato binazionale, una “democrazia di tutti i cittadini”. Inoltre, il partito si propone di conseguire il riconoscimento della minoranza arabo israeliana come minoranza nazionale palestinese e di eliminare ogni discriminazione di budget. Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, il Balad supporta la soluzione “Due Stati per Due popoli” , da esso interpretata come comportante un'Israele binazionale ed uno Stato Palestinese, e la piena implementazione del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi.
A cura di Giuseppe Gigliotti
Da sinistra: Ayman Odeh e i simboli dei partiti arabi Hadash, Ta'al, Ra'am, Balad
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