Storie di ebrei

 

 

Leonard Robbins dagli Usa a Siena

 

Leonard Robbins, ebreo americano ormai da tempo naturalizzato fiorentino, prima di rispondere alle nostre domande, ha voluto porre alcune premesse.

Prima premessa: anche se sono presidente del consiglio di Shir Hadash e membro del consiglio della FIEP (Federazione Italiana per l’Ebraismo Progressivo), quelle che seguono sono le mie opinioni personali e non rappresentano posizioni istituzionali. Di sicuro, non tutti sarebbero d'accordo con me. Altri potrebbero in buona fede sostenere conclusioni diametralmente opposte. Mi propongo di ascoltare anche loro, di essere in grado di sentire le loro ragioni e di saper cambiare quando sbaglio. Non pretendo di rappresentare il parere degli altri.

Seconda premessa: forse è un atteggiamento americano parlare schietto, ma solo raramente parlo con peli sulla lingua. Non intendo essere scortese, né offensivo, ma sono fatto così.

Ora posso rispondere alle tue domande.

 

So che sei docente di genetica. In particolare di quale aspetto?

Come genetista, ho lavorato 25 anni alla Michigan State University negli Stati Uniti (meno di un anno a Madrid, un anno a Bari e quattro mesi a Roma) e 15 anni all'Università degli Studi di Siena. Studiavo i meccanismi che promuovono la distribuzione regolare dei cromosomi tra cellule somatiche e tra le generazioni.

Sono stato docente di genetica fino al 2013, quando sono andato in pensione per dedicarmi a tempo pieno allo sviluppo di ausili (open source) per disabili, tra i quali mia figlia Rachele che è tetraplegica. In questi anni ho curato lo sviluppo del comunicatore vocale multi - linguistico e del sistema di gestione del PC di Rachi, ho sviluppato un nuovo quadro per carrozzelle elettroniche ora usato in diversi paesi, e adesso sto lavorando su un disegno innovativo per la carrozzella stessa.

Come mai sei venuto in Italia e ti sei fermato qui?

La prima volta sono venuto nel 1980 come turista, mentre facevo l'anno sabbatico a Madrid. Poi su invito ad un convegno ad Alberobello nel 1990, seguito dall'anno sabbatico all'Università degli Studi di Bari, quando ci siamo innamorati, tutti e tre, dell'Italia e della sua gente. Qualche anno dopo, mentre stavo pianificando una permanenza di qualche mese a La Sapienza, mi hanno detto che avevano appena ricevuto il permesso di fare una ricerca genetica di livello internazionale per l'Università di Siena e mi è stato chiesto se avrei preso in considerazione la proposta. Ci siamo recati a Siena per presentare un seminario e per conoscere la situazione all'Università, nelle scuole elementari e alla sinagoga. Tornato negli Stati Uniti, dopo quattro mesi di angoscia abbiamo deciso di trasferirci in Italia.

All'Università ho trovato un ambiente promettente: meno risorse per la ricerca che negli States, ma colleghi colti e seri, quasi come monaci della scienza, e ho trovato lo spessore della laurea tradizionale molto attraente, dopo una storia di decenni di disastroso annacquamento della prima laurea negli Stati Uniti. Alla sinagoga siamo stati accolti con calore e ci hanno assicurato che la situazione di Rachele, che aveva frequentato un congregazione Reconstructionist da quando era stata dimessa dalla terapia intensiva, si sarebbe risolta facilmente "facendo il bagno nel mikveh". Il Provveditore ci assicurava che la sua classe avrebbe avuto un’insegnante di sostegno tutta sua. Ci siamo trasferiti qui nel 1997 e potete indovinare quante di queste promesse siano state mantenute. Stava per arrivare la "riforma" Berlinguer all'Università con la sua laurea breve e dopo un po' il rinnovo del finanziamento della ricerca ritornava agli amici degli amici; i rabbanim pretendevano un'interpretazione sempre più rigida dell'halakhah negando il riconoscimento come ebrea di Rachele. Non c’è stato nessun tentativo di fornirle una formazione ebraica e solo parole simpatiche riguardo al superamento delle barriere architettoniche per l’accesso alla sinagoga; il tempo dell'insegnante di sostegno, fortunatamente bravissima, fu distribuito tra due classi.

Nonostante le promesse mancate, c'era sempre la bellezza della gente, del paese (e della cucina). Cito solo qualche esempio che riguarda Rachele: l'insegnante di sostegno e le maestre alla scuola elementare erano bravissime, al punto che dopo pochi giorni Rachele non voleva più sentire le parole “Stati Uniti". Quando è arrivato il momento di passare alla scuola media diversi dei suoi compagni hanno detto "aspettiamo che Rachi abbia scelto la scuola, perché noi vogliamo andare dove va lei". Già nel primo anno in Italia la mamma dell'amica del cuore di Rachi ci ha chiamato per dire "Quando Rachi viene da noi, possiamo gestire le sue esigenze e voi non dovete restare per accudirla". Cosa mai successa nei suoi undici anni in America! Un anno alla media inferiore aveva un'insegnante di sostegno non all'altezza - veramente un pericolo per Rachi - e due sue compagne, senza dirci nulla, sono andate dal Preside e gli hanno detto "Tenga xxxx lontana da Rachele: il sostegno lo faremo noi". Se pensate quanto timide sono le dodicenni, che non osano neanche chiedere un bicchiere d'acqua al bar, potete immaginare il coraggio che ci voleva per questo… Direi che i miei colleghi all'Università e gli amici alla sinagoga non sono stati da meno e una volta trovato Shir Hadash anche l'ebraismo italiano ha mostrato il suo lato migliore. Nel frattempo gli Stati Uniti sono piombati in un abisso di armi, razzismo e classismo tali che quando andiamo lì ci sentiamo stranieri ed è solo in Italia che ci sentiamo a casa.

Come e quando è nato Shir Hadash?

Shir Hadash è stata fondata a Firenze nel 2003 da un gruppo di ebree americane espatriate e da un gruppo di ebrei italiani, entrambi alla ricerca di uno spazio alternativo per esprimere il loro ebraismo in Italia. Non sono stato tra i fondatori, visto che mia moglie ha scoperto della sua esistenza solo qualche anno dopo. Ogni membro e ogni famiglia di Shir Hadash ha una storia diversa, ma c'è anche qualche elemento in comune tra le motivazioni per la scelta dell'ebraismo progressivo.

Basterebbero i miei commenti al bat mitzvah di Rachele per capire le nostre motivazioni.

 Nelle preghiere mattutine recitiamo dal Levitico 19-14:

Non insultare i sordi né mettere ostacoli davanti ai ciechi.

Ognuno di noi, con o senza disabilità palesi, trova nella vita ostacoli, ma la disabilità diventa handicap solo quando la società ci mette ostacoli davanti. Per troppi anni Rachele è stata ostacolata nella celebrazione del suo Bat Mitzvah. Grazie però ad Ellen, a Shir Hadash, e soprattutto a Rachele, che non ha mai mollato, oggi ci siamo.

Quindi, con grande gioia vorrei recitare insieme un'altra b'racha: shehecheianu.

Benedetto Tu, D. nostro Signore Re del mondo che ci hai consentito di vivere e di giungere a questo momento.

Personalmente io rispetto chi fa la scelta di mettere l'osservanza di tutte le mitzvot al primo posto, e rispetto chi vuole mantenere usanze tradizionali, anche se non sono proprio dettate da obblighi halakhici, sempre che non offendano la dignità delle persone. Però supporto anche fermamente chi mette in un posto privilegiato "Torah, tfillàh e ghemilut chassidim” [letteralmente Torah, preghiera e opere di misericordia, dai Pirké avot, Massime dei padri, ndr], che per me significano la coscienza, il rispetto della vita e l'uguaglianza. Disprezzo fortemente il tentativo dei due Rabbini Capi di Israele di diventare i Papi degli ebrei.

Che differenza c'è tra Shir Hadash e gli altri gruppi ebraici progressivi?

Il mondo dell'ebraismo progressivo è molto variegato, sia in Italia sia nel resto del mondo. In parte è così poiché non c'è nessun tentativo di imporre l'uniformità. Quindi le quattro congregazioni che fanno parte della Federazione Italiana per l'Ebraismo Progressivo comprendono due gruppi che somigliano al Reform americano (o Liberal britannico). Essi accettano, per esempio, l'adesione di figli nati da madre non ebrea senza necessità di ghiur formale. Un’altra congregazione assomiglia al Reform britannico (più tradizionalista del Reform americano), che accetta l’iscrizione solo dopo il ghiur. Un’altra congregazione è più o meno nel mezzo. Ogni congregazione della FIEP ha piena autonomia, mentre tutte sono d'accordo che qualcuno già iscritto a qualsiasi congregazione progressiva possa passare alle altre.

Anche dentro ad ogni congregazione c'è molta varietà sia nelle credenze e pratiche religiose degli iscritti, sia negli atteggiamenti politici. In campo religioso ci sono quelli che vedono la religione come un optional e quelli che sono proprio “shomre’ shabbat”, frequentano anche le funzioni delle sinagoghe ortodosse e forse non sarebbero iscritti da noi se non fossero stati respinti dagli ortodossi per un motivo o per l’altro. Nella politica generale, vanno da destra a sinistra e riguardo ad Israele vanno da qualche seguace di Jabotinsky fino a qualche filo- palestinese. La maggioranza si situa nel mezzo (ma sbilanciata verso la sinistra e contraria all'annessione nella Cisgiordania). Per quanto ne so io, tutto questo riflette nel nostro piccolo la situazione dell’ebraismo progressivo mondiale. Ma più importante delle divergenze è il fatto che ognuno ascolta e parla con gli altri con rispetto e amore, con la volontà di capire il punto di vista non suo. Notate l'assenza del condizionale nella frase precedente: quanto ho detto non è un’aspirazione ma è la nostra realtà. Siamo una famiglia compatta e come in ogni famiglia ci sono litigi ma anche amore.

Quali sono i rapporti con l'UCEI?

Questa domanda potrebbe avere diverse risposte, ma parlerò del rapporto istituzionale tra l'ebraismo progressivo e l'UCEI. Ma prima, permettimi un po' di storia, come la vedo io.

Prima dell'irrigidimento dei rabbini italiani avvenuto circa 20-25 anni fa, i tentativi di promuovere un movimento progressivo non sono mai riusciti. Molti, io stesso compreso, pensavano che sarebbe stato sbagliato dividere in due i pochi ebrei d'Italia. Con qualche tolleranza (un aspetto da sempre presente nell'ortodossia italiana) e un atteggiamento di compromesso potevamo continuare a vivere nella stessa casa. Però con l'insistenza dei rabbanim sull'ortodossia stretta, per molte famiglie la situazione è diventata insopportabile.

Forse la decisione più sconvolgente è stata l'eliminazione della possibilità di concedere il ghiur ai minorenni e l'insistenza sul fatto che qualsiasi conversione richiedeva l'osservanza strettissima di tutte le mitzvot, anche se gli stessi rabbini riconoscevano che molti degli iscritti alle comunità non erano tanto osservanti. Ma ci sono state anche altre rigidità che hanno contribuito a far crescere il disagio di molti. Per illustrare questo, descrivo quanto successo alla sinagoga di Siena più di dieci anni fa.

Il matroneo era già in disuso da diversi anni: le donne sedevano sulla sinistra e gli uomini sulla destra. C'è stato un matrimonio al quale hanno partecipato quattro rabbini e subito dopo è arrivato l’ordine dal rabbino capo di Firenze di fissare cartelli sulla prima fila di sinistra col divieto alle donne di sedersi lì. Alla funzione successiva, però, molte donne si son sedute sui cartelli, e molte hanno continuato a cantare, nonostante la tradizione sostenga che le voci delle donne non devono essere sentite.

Potrei continuare a raccontare casi simili, anche con esempi più recenti, che hanno spinto verso la fondazione, sia formale sia informale, di gruppi di ebraismo progressivo in Italia e la successiva fondazione, tre anni fa, della Federazione Italiana per l'Ebraismo Progressivo (FIEP). Ma basta con la storia delle origini e torniamo all’attualità.

L'UCEI è l'unione delle Comunità e non una Assemblea rabbinica. Ma anche se la maggioranza del consiglio dell'UCEI è laica, l'UCEI non azzarda un'azione non conforme ai dettami dei rabbini. Il risultato è stato il rifiuto di riconoscere qualsiasi corrente ebraica diversa dall’ortodossia definita dai rabbini. Per esempio, se viene spedita una nota dalla FIEP a Pagine Ebraiche, anche su invito di un consigliere dell’UCEI, la redazione prima ne parla con un rabbino e con la presidente dell'UCEI e la notizia viene cestinata.

È solo negli ultimi mesi che è stato riunito un tavolo di consultazione tra l'UCEI e la FIEP. Nelle prime due riunioni, una faccia a faccia, l'altra virtuale a causa della pandemia, abbiamo provato a condividere i punti di vista di entrambi, con un tentativo di attivarci su argomenti di comune interesse. Può darsi che sia un inizio promettente del dialogo, ma purtroppo non sono veramente ottimista (ma spero di sbagliare).

In fondo, la base dell'assenza di un rapporto produttivo tra l'UCEI e l'ebraismo progressivo è il rifiuto da parte dell'UCEI di rispettare l'Intesa e l'assenza di azione da parte dello Stato per imporre il rispetto della legge. L'Intesa dà all'UCEI la rappresentanza degli interessi di tutti gli ebrei d'Itala, e conferisce alcuni diritti e protezioni agli ebrei. Ma l'UCEI afferma di rappresentare solo gli ebrei ortodossi e rifiuta di riconoscere l'ebraismo non ortodosso, sia progressivo sia laico. Così tutti, salvo gli ortodossi, rimangono esclusi dalle protezioni conferite dall'Intesa. Ci sono molti nelle comunità non-progressive, anche alcuni con ruoli istituzionali, che sono più aperti, ma l'UCEI, pur essendo formalmente organizzata come democrazia rappresentativa con una maggioranza non rabbinica, non si oppone mai ai rabbini.

Preferiremmo che l'UCEI diventasse rappresentativa di tutte le correnti dell'ebraismo, e vorremmo avere un rapporto rispettoso e fraterno con le congregazioni ortodosse. La divisione del piccolo pezzo italiano di “Am Israel” in fazioni concorrenti non serve a nessuno. Finora però non siamo riusciti a sanare la breccia. Sarebbe un peccato se per sanarla dovessimo fare appello ad un organismo esterno, il governo o un tribunale.

Tutti, nel Popolo d’Israele, sono responsabili l’uno per l’altro

Anche se il distacco tra non progressivi e progressivi è di attualità in Italia, non è l'unico dissidio della storia dell'ebraismo. I litigi tra le scuole di Hillel e Shamai, tra mitnagdim e chassidim, tra ortodossi haredì e modern orthodox, tra Lubovicher e Satmar, tra ortodossi, reform e conservative… l'elenco è lunghissimo. Dobbiamo ricordarci anche che alcuni, visti una volta come eretici, sono diventati lo standard dell’ortodossia. Forse l'esempio più eclatante è stato Maimonide. Eretico per secoli, specialmente tra gli askenaziti e ancora secondo alcuni haredim, ora il "Mishneh Torah" è quasi la definizione della fede ebraica al posto del "credo" (che non abbiamo nell'ebraismo).

Hai mai pensato di fare l'aliah?

No.

Di che orientamento politico è l'antisemitismo USA?

Attualmente in preponderanza è di destra, ma esiste anche l'antisemitismo della sinistra (e, talvolta, è stato molto forte). Non c'è giorno senza richiamo a tutti gli stereotipi antisemiti e la demonizzazione, spesso per motivi contraddittori, di figure come George Soros, e tutto con il beneplacito e spesso l'incoraggiamento di Donald Trump e dei suoi.

L’antisemitismo negli USA sta crescendo?

Purtroppo sì, con attacchi sia verbali sia fisici. Non ho le statistiche davanti a me, ma so che indicano un forte aumento in questi anni e l'antisemitismo passivo, sempre condiviso da una parte non irrisoria della popolazione americana, ultimamente ha portato anche all'omicidio di massa, una cosa mai successa prima.

In che proporzione sono gli ebrei democratici rispetto egli ebrei repubblicani?

Non ho sotto mano i numeri ufficiali, ma se la memoria non mi inganna il rapporto è circa di 70% democratici e 30% repubblicani. C’è stato un leggero aumento dei voti di ebrei al partito repubblicano nell'ultima elezione presidenziale di 2016, concentrato tra gli ultra-ortodossi e tra coloro che temevano che i democratici non sostenessero acriticamente Netanyahu e l'espansione delle colonie in Cisgiordania. Quell'aumento è scomparso nelle elezioni politiche di 2018 e prevedo che pochi voti andranno ai repubblicani quest'anno.

Qual è la religione prevalente tra i neri USA?

Diverse correnti protestanti del cristianesimo.

Che rapporti ci sono tra gli ebrei democratici e gli islamici afro-americani?

Né gli ebrei, democratici o no, né gli islamici afro-americani sono monolitici. C'era, e suppongo ci sia ancora, un frazione dell'islam afro-americano fortemente antisemita (che si chiama "Nation of Islam") ma è una minoranza. C'era e c'è ancora un frazione degli ebrei (anche in Italia) fortemente anti-musulmana e un frazione minuscola proprio razzista, ma per la maggioranza degli ebrei e per la maggioranze degli afro-americani, islamici o no, camminare insieme esprimendo l'umanità comune supera qualsiasi differenza di punti di vista. Questo è stato ben visibile durante la lotta degli anni ‘60-‘70, ed è ben visibile anche nelle manifestazioni di oggi.

Molti di noi pensano che Trump sia un pagliaccio pericolosissimo. Secondo te non ha nulla di positivo?

No, non ha nulla, niente, zero di positivo! Per capire la mentalità di costui e il suo modo di agire, basta leggere M. [M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, ndr]. I parallelismi tra Mussolini e Trump sono eclatanti. Ma Trump non è una nuova incarnazione di Mussolini anche se vorrebbe esserlo: è decisamente più stupido e più incapace. Per fortuna gli Stati Uniti non sono l'Italia dei primi decenni del novecento, la democrazia americana e più resiliente e penso che Trump verrà messo da parte senza guerra e senza rivoluzione. (Almeno lo credo e lo spero). Chiamarlo un pagliaccio, però, è sbagliato: non è buffo ma malvagio. Forse si muore meno di bastonate o di pallottole che durante la nascita del fascismo, ma si muore di Covid19 e di altre malattie in spaventoso aumento, grazie alle politiche del suo governo.

 Che futuro per l'ebraismo nella diaspora? E in Israele? Che futuro per lo Stato d'Israele?

 Non ho nessuna sfera di cristallo e sono restio ad offrire prognosi. Cosa avverrà nel prossimo futuro, particolarmente in Israele ma anche nella diaspora, dipenderà molto da quanto i haredim riusciranno ad imporre la loro versione della halakhah, e la loro visione del "Greater Israel" come legge e politica di Stato.

Forse dopo il primo luglio sarà possibile capire cosa accadrà. Uno spostamento verso un ebraismo laico ed etnico invece che religioso sia in Israele che nella diaspora? La perdita del forte attaccamento della diaspora allo Stato di Israele? La morte del sionismo democratico? Forse gli unici alleati d'Israele rimarranno le pazze ideologie fondamentaliste cristiane che prevedono la fine dei tempi quando tutti accetteranno la salvezza portata dal Cristo rientrato a Gerusalemme?

Forse qualche previsione su cosa succederà nel nostro piccolo angolo della diaspora sarebbe già più attendibile. Fra poco le piccole comunità non ci saranno più. Con i matrimoni quasi tutti misti e con i figli nati da madre non ebrea respinti dalle comunità non progressive, la discesa demografica sarà inesorabile. L'antisemitismo però aumenterà in rapporto inverso con il numero di ebrei remasti; meno ebrei ci saranno, e meno influenti saremo, più ci daranno la colpa per ogni male…

Intervista di David Terracini

 

 

 

Leonard Robbins

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