Storia
Ieri eri coi boeri, malvolentieri
di Alessandro Treves
Quello che risaltava di più, della protesta davanti alla casa del Primo Ministro Netanyahu di rehov Balfour, venerdì 26 giugno, non è che fosse animata da personaggi dell’establishment, come il generale di brigata dell’Aviazione (a riposo) Amir Haskel, che poi è stato arrestato con altri sei “disturbatori dell’ordine pubblico” (è stato rilasciato dopo due giorni su ingiunzione del tribunale distrettuale di Gerusalemme, che ha rigettato le motivazioni addotte dalla polizia per l’arresto). Quello che risaltava di più era l’età dei partecipanti: “dai 55 in su”, ha osservato lo stesso Haskel. Partecipanti quasi tutti non religiosi, telavivini dall’aspetto agiato, nonostante le T-shirt con scritte come “crime minister”, in allusione alle accuse di corruzione a Netanyahu. Fra quelli che sono stati intervistati, oltre all’ex generale dell’Aviazione, c’è chi è in pensione dall’industria areonautica, chi ha un dottorato di ricerca di letteratura, chi ha fatto il banchiere, l’ingegnere, l’insegnante, perfino una cinquantenne – forse la mascotte del gruppo – che è nel comitato centrale del Likud. Ciò che li spinge a passare le giornate lì sotto il sole cocente e a dormire sul marciapiede, invece che nelle loro case con l’aria condizionata, lo raccontano liberamente. Ma uno si chiede: e i giovani? Cos’è che manca, per spingere anche i giovani a venire a protestare? Certo, avranno altro da fare, ma l’indignazione di questi anziani sionisti non ci permette di liquidarli solo come pensionati alla ricerca di un passatempo. Bisogna capire perché, nelle nuove generazioni, il fuoco interiore dell’indignazione e della protesta si sia a quanto pare spento.
Jan Smuts è stato una delle figure più notevoli della saga Afrikaner. Nato nel 1870 da una famiglia di agricoltori della colonia del Capo, come secondogenito non era previsto che fosse mandato a scuola, ma alla fine ci andò, a 12 anni, dopo la morte del fratello maggiore. Eccellendo rapidamente negli studi, anche di greco antico, ottenne a 21 anni una borsa di studio per andare a studiare legge a Cambridge. Brillantemente laureato a 24 anni, dopo aver scritto anche un libro, fece presto ritorno a Città del Capo per esercitare come avvocato. Nel giro di soli sei mesi, deluso dalla libera professione, passò prima a seguire gli interessi di Cecil Rhodes, punta di diamante dell’imperialismo affarista britannico nell’Africa meridionale, per poi staccarsi repentinamente da Rhodes quando questi lanciò un’incursione senza scrupoli nella Repubblica Sudafricana dei boeri. Abbandonata Città del Capo per Pretoria, prese a impegnarsi per la propria gente, non più suddito di Sua Maestà. Durante la seconda guerra Anglo-Boera, Smuts guidò un commando del Transvaal, vagamente assimilabile al Palmach, per il ruolo che questi commandos, e i numerosi scontri vinti contro preponderanti forze inglesi, occupano nell’epopea boera. Senonché, invece di ottenere il loro stato, i boeri col conflitto del 1899-1902 lo persero. Smuts però, che era riuscito a tormentare gli inglesi senza mai arrendersi, fu protagonista anche delle trattative di pace, e dopo pochi anni riuscì a convincere gli inglesi a concedere piena autonomia al Transvaal, e di lì a poco, nel 1909, ad ottenere da Re Edoardo VII e dal parlamento di Londra l’assenso alla nuova costituzione del Sud Africa con la quale i boeri, accettando la corona, lo status di dominion e l’inglese come lingua ufficiale, si riprendevano di fatto il controllo sul proprio destino. Guidati da Smuts e da Louis Botha, altro eroe della guerra contro gli inglesi, poi fautore dell’Unione Sud Africana come soggetta alla corona inglese, di cui fu primo ministro fino alla morte nel 1919. Smuts invece, più volte a capo di ministeri chiave, comandante in capo delle forze sudafricane nella prima guerra mondiale, membro del Gabinetto di Guerra Imperiale, addirittura co-fondatore della Royal Air Force, diventò primo ministro dopo Botha, dal 1919 al 1924, e lo fu di nuovo dal 1939 al 1948. Fu così l’unico al mondo a firmare entrambi i trattati di pace, dopo la Grande Guerra e dopo la seconda. La maggioranza più nazionalista della società Afrikaner aveva vissuto con difficoltà l’entrata in guerra contro la Germania, in entrambi i conflitti, e Smuts, che alle elezioni del 1924 era stato battuto dal Partito Nazionalista, aveva provato a conciliare narrative opposte, fra irlandesi e inglesi negli anni venti, fra tedeschi e potenze vincitrici subito dopo l’ascesa di Hitler. Il suo prestigio internazionale ne era cresciuto, ci fu chi lo propose per il Nobel per la Pace e chi addirittura per succedere a Churchill come primo ministro anche del Regno Unito, in caso di incapacità di questi; ma qualcosa si era definitivamente guastato, nei suoi rapporti con i nazionalisti boeri, che lo defenestrarono una seconda volta, definitivamente, nel 1948, aprendo la porta all’istituzionalizzazione dell’Apartheid. Segregazione razziale che Smuts aveva attivamente promosso per gran parte della sua vita, arrivando poi al convincimento tardivo che una completa segregazione era di fatto impossibile. Morì nel 1950, onorato all’estero e sconfitto in patria.
Certamente, non basta il mezzo secolo di differenza fra due parabole durate anch’esse circa mezzo secolo (le elezioni che misero fine all’attività politica di Smuts furono solo 12 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza d’Israele) per dare conto delle infinite differenze fra la storia di Jan Smuts e quella di Yitzhak Rabin. C’è però un’ombra comune, che avvolge le loro figure ieratizzate, di giovani combattenti per la sopravvivenza del loro popolo, che il progressivo successo, col consolidarsi della posizione dominante di quel popolo, rende moderati e concilianti. Dopo un paio di generazioni il loro mito non funziona più, e i loro nomi suonano indifferenti alla maggioranza dei giovani. Lamentava Smuts già negli anni ‘30 che “la nuova Tirannia, presentandosi coi colori attraenti del patriottismo, ovunque seduce i giovani..”; e a Rabin verrebbe la depressione a constatare quale fosse l’età media di chi protestava a Gerusalemme l’ultimo venerdì di giugno – o quali siano le tendenze politiche della maggioranza dei giovani israeliani. In contrasto eclatante con quelle liberali, quando non radicali, della maggioranza dei giovani ebrei negli Stati Uniti.
Il nazionalismo Afrikaner ha esaurito la sua spinta quando agli occhi del mondo da Davide è diventato Golia, e con molta fatica se ne è reso conto. Forse i giovani ebrei della Diaspora possono un po’ accelerare questa presa di coscienza nel caso israeliano.
Alessandro Treves – Trieste e Tel Aviv
Daniele Portaleone, Villino Scotti
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