Israele
Avventure in Israele
Festività ebraiche e lockdowndi Gilberto Bosco
“Oh no no no no no no, non sarà un'avventura”, lo sapevamo fin dall’inizio, noi e Lucio Battisti. E non lo è stata. Erano mesi che i voli per Israele erano sospesi o cancellati o impraticabili, e ora di fronte al computer… Chiami un amico: “vedi anche tu quello che vedo io?”, “Certo, si può volare dall’Italia, paese green, senza restrizioni all’arrivo in Israele”. E così prenoti sul primo volo disponibile; qualche affare da sistemare, qualche impegno di studio e di lavoro da perfezionare, nostalgia, nostalgia, insomma “se io ti dimentico, Gerusalemme”: no, non ti abbiamo dimenticata.
Sull’aereo, due terzi dei posti vuoti; il tuo amico, altri ebrei della comunità di Milano e di Torino, poca gente, distanziamenti assicurati.
All’arrivo, inizio settembre, un paese quasi (quasi) normale. Certo, la colpevole immobilità di Bibi Netanyahu e dei suoi collaboratori ha fatto sì che i numeri dei contagiati, prima scesi quasi a zero, stiano risalendo vertiginosamente. Ma si può vivere una vita per così dire “normale”, spostarsi da una città all’altra e visitare amici anche molto lontani geograficamente, andare al ristorante (rigorosamente distanziati…), tutti i negozi ed i mercati sono aperti, perfino il suk, Mahanè Yehudà per intenderci, è aperto, ti misurano solo la febbre quando entri. I negozianti portano la mascherina quando se lo ricordano, spesso indossandola con molta fantasia, ma insomma, servono i clienti. Le sinagoghe funzionano, alcune in modo normale, al chiuso e infischiandosene dei problemi, molte all’aperto. In un modo già collaudato a Gerusalemme da mesi: molto distanziati, inizio al mattino presto (per sfuggire il caldo, nelle prime settimane di settembre molto sensibile); perfino con qualche elemento per così dire “romantico”: la sera, concerti di uccelli e uccellini insieme ad Arvìt, il mattino, continui passaggi di gatti non troppo incuriositi da questi signori in tallit che pregano.
Poi, pochi giorni prima dei moadim, i numeri dei positivi al Covid si alzano in un modo terribile. E il governo, tra lunghe e durissime discussioni, decide (come già previsto in realtà da molti) che dal venerdì prima di Kippur fino alla fine di Sukkot ci sarà un sègher, una “chiusura”, un lockdown con alcune eccezioni. Le polemiche all’interno delle forze politiche sono terribili: la sinistra chiede di poter continuare le continue manifestazioni contro Bibi, manifestazioni molto dure e (a mio parere) molto partecipate; i religiosi chiedono di poter continuare le attività in tutte le loro yeshivot e sinagoghe, come pare a loro. In un primo momento entrambe le parti ottengono ciò che chiedono. Si continua anche a lavorare; ma i negozi piccoli chiudono, e rimangono aperti al pubblico solo i supermercati e una serie di servizi indispensabili (farmacie e poco altro, ristoranti costretti al semplice take away): e molti negozi, appena un dipendente risulta positivo o entra in contatto con un positivo, chiudono. Viene imposto l’obbligo di non spostarsi dal proprio domicilio per più di 500 metri, poi portati a un chilometro dopo infinite proteste.
La comunità degli italiani di Gerusalemme è molto penalizzata da queste misure. In particolare il problema del chilometro costringe a moltiplicare i luoghi dove si prega. I due luoghi “tradizionali”, la piazza davanti al tempio italiano e lo spazio aperto davanti alla sinagoga di rehov Chopin, si sommano ad altri minianim sparsi in case e giardini privati: ma proprio il problema di trovare almeno 10 maschi adulti, e i relativi hazanim, costringe gli organizzatori a difficili acrobazie. Pochi giorni dopo Kippur le misure sono rese ancora più stringenti; ed il vero problema rimane come potrà una economia come quella israeliana reggere con così tante attività chiuse, il turismo azzerato e la prospettiva di una durata ancora prolungata di un sègher assai duro.
Io sono uscito, tra nuove e complicate misure burocratiche. Ma i voli sono quasi bloccati, e molte compagnie cancellano o spostano le date. L’insicurezza regna sovrana. Difficile guidare il paese in questo momento, e Bibi, inseguito da una situazione legale complicata, forse non è in grado, a meno di colpi di fortuna, di uscire dalle difficoltà. Auguriamoci che il nuovo anno porti presto le sue benedizioni: tutto il mondo ne ha bisogno.
Gilberto Bosco
Carlo Levi, Lucania '61, particolari
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