Ricordi
Tullio Levi
Quasi un fratello
di Lia Montel Tagliacozzo
La redazione di Ha Keillah mi ha chiesto di scrivere un ricordo di Tullio.
Non è nelle mie corde esprimere sentimenti privati, ma mi è sembrato stavolta di dover accettare e comincerò riandando ai tempi lontani della nostra infanzia.
Il ricordo più lontano risale all’inizio della II Guerra Mondiale. Per sfuggire ai bombardamenti i genitori di Tullio, Marco e Ginia Levi, entrambi miei zii, si rifugiarono nel paesino di Torre Canavese e invitarono noi e altri parenti a raggiungerli. Ci ritrovammo quindi tutti in quel di Torre. Tullio stava allora imparando a parlare. Era un bimbo paffuto e allegro che si faceva coccolare da tutti. Aveva riccioli biondi e lunghi perché la sua mamma, che avrebbe voluto avere una figlia femmina, non si decideva a farglieli tagliare.
A seguito della caduta di Mussolini del 1943 e della conseguente razzia e deportazione degli ebrei, i parenti radunati a Torre furono costretti a fuggire e a sparpagliarsi. Tullio, che era troppo piccolo, e la nonna Adele, che era troppo anziana, furono accolti come fossero parenti da una famiglia del paese, la famiglia Antoniono che, incurante dei gravi pericoli, sostenne la famiglia Levi in ogni modo possibile. Ne nacque un’amicizia che si è protratta di generazione in generazione. Basti pensare che i coniugi Levi, una volta andati in pensione, si stabilirono a Torre e i loro due figli, Riccardo e Tullio, erano sovente là a trovare i genitori e gli Antoniono.
A seguito della sollecitudine dei due fratelli, la Famiglia Antoniono è inserita in Israele nel Giardino dei Giusti di Yad Vashem. La casa di Torre della famiglia rappresenta ancora oggi un inalienabile luogo di riferimento.
Finita la guerra la famiglia Levi tornò a Torino e la mia famiglia a Milano, ma non mancavano le occasioni per incontrarci. Zia Ginia mi diceva spesso che io rappresentavo la figlia femmina che non aveva avuto e per me Riccardo e Tullio erano i fratelli che non avevo avuto.
Zia Ginia mi raccontava che quando Tullio annunciò la sua intenzione di sposarsi lei obiettò che era un po' troppo giovane per una decisione così impegnativa. Ma lui affermò con convinzione che con Silvia le gioie della vita sarebbero raddoppiate e gli inevitabili dolori, condivisi, sarebbero dimezzati. A quel punto non c’era più nulla da obiettare.
Nel 1967 venni ad abitare a Torino con mio marito Fausto e con mia mamma. Ben presto fummo coinvolti nella nascita del Gruppo di Studi ebraici che intendeva rinnovare la Comunità Ebraica di Torino partendo proprio dall’aspetto culturale e sociale. Nel 1981 il GSE ebbe la maggioranza nel Consiglio della Comunità e Tullio ne divenne presidente, e pur essendo allora tra i più giovani, dimostrò subito le sue qualità di leader dando un nuovo volto moderno e partecipato alla Comunità e stabilendo contatti positivi e propositivi con le autorità cittadine. Il suo successo fu notevole. Memorabile il suo impegno ad affrontare i contrasti che opponevano il Partito Comunista (all’epoca un partito di massa con notevole incisività sulla pubblica opinione) allo Stato di Israele e alle Comunità ebraiche. Ricordo che alla fine Giorgio Napolitano, che dirigeva la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali del PCI, fece un viaggio ufficiale in Israele accompagnato da Piero Fassino, e al loro ritorno vennero nella nostra Comunità per riferire la loro esperienza.
A metà del secondo mandato Tullio dette le dimissioni da presidente perché i suoi impegni di lavoro lo costringevano per lunghi periodi lontano da Torino. Toccò a me sostituirlo alla presidenza e ne fui non poco preoccupata. Avevo il sostegno di una linea già tracciata e di consiglieri particolarmente attivi, brillanti e motivati, ma naturalmente sentivo il peso di una grossa responsabilità. Ricordo che una volta mi rivolsi all’allora segretario Raffaele Lampronti per chiedergli consiglio su una mia insicurezza operativa. Lui mi guardò sconcertato e mi fece capire che mai Tullio gli avrebbe espresso insicurezze. Per interposta persona avevo ricevuto da lui ancora una lezione.
La forte personalità di Tullio si esplicava in modo coinvolgente e travolgente e quando non si condividevano le sue vedute era veramente difficile e spiacevole contrastarle.
Fu presidente della Comunità per altri due mandati, ma stavolta non mancarono i conflitti. Il suo desiderio di dare nuovo impulso alla Comunità confliggeva con la visione più tradizionale del Rabbino capo e ciò fu fonte di forti divergenze che crearono anche spaccature tra i membri della Comunità.
I suoi interessi erano molteplici. Per fare qualche esempio ricordo che fino ai periodi più recenti seguiva corsi di Torah e di cultura ebraica, che era vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e membro del Direttivo dell’ISTORETO Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea. Era attivissimo nell’organizzare le attività culturali del GSE.
La sua famiglia era sempre al centro delle sue attenzioni e del suo affetto, tanto che i figli, Marta e Filippo, hanno scelto le loro abitazioni nelle vicinanze dei genitori mantenendo un contatto costante tra nonni figli e nipoti.
Nel periodo della sua malattia così travolgente e inaspettata figli, nuora e nipoti hanno sostenuto Tullio e Silvia con dedizione totale.
Numerosissimi gli amici che andavano a trovarlo o che comunque esprimevano la loro vicinanza con calorosa partecipazione. Lui, molto riservato, sapeva esprimere un affetto particolare per ognuno dei suoi amici ed era disponibile nei confronti di chiunque si rivolgesse a lui.
Tullio fino all’ultimo ha mostrato la sua determinazione e la sua forza d’animo. Prima si è impegnato con intelligenza e ferrea volontà a contrastare la malattia, poi ha accettato l’ineluttabile con la serenità di un grande saggio.
Ha lasciato un immenso vuoto. Quanto a me è come se avessi perduto un fratello.
Lia Montel Tagliacozzo
Tullio Levi con la figlia Marta Tullio Levi con la moglie Silvia e il nipote Asher
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