Ricordi

Massimo Montagnana

 

 

 

Entusiasmo e generosità

di David Hirsch

 

A luglio ci ha lasciati, troppo presto, Massimo, amico di una vita. Non è facile ritrovarsi a parlare di lui al passato e soprattutto a ricordarne la figura in un giornale di cultura ebraica che vanta nella sua redazione Manfredo, un padre che ora si ritrova in quella inconcepibile condizione di aver perso l’amato figlio. Proprio la lingua ebraica, tra le poche, ha una parola “Av shakul” che definisce la condizione di genitore orfano del figlio, quasi a ricordarci che questo immenso dolore possa davvero capitare.

Voglio ricordare Massimo per le sue doti umane, la sua immensa e naturale generosità verso il prossimo, apprezzata e stimata da tutti quelli che hanno avuto il piacere di incontrarlo, di conoscerlo e frequentarlo o anche solo di avvicinarlo per pochi attimi.

La sua era una generosità istintiva, senza filtri, generata dalla sua naturale inclinazione a dispensare affetto, amore e attenzione a chi ne aveva bisogno e senza mai cercare un tornaconto. Doti uniche, rare, che quasi spaventano e mettono a disagio e che in questi tempi di diffidenza sembrano incomprensibili. Amava voler bene e sapeva farsi voler bene, da giovani, anziani, neonati, vecchi amici e sconosciuti, con estrema e invidiabile naturalezza.

Massimo è sempre stato capace di essere presente, nella vita dei suoi amici, dei suoi genitori, della sua famiglia, dimostrando di dare valore al singolo gesto e al tempo. È stato un esempio per tanti di noi, che appartengono a quella categoria di genitori disattenti, che si nascondono dietro all’impegno delle proprie ordinarie faccende, che appaiono sempre distratti da cose più importanti e che magari perdono l’occasione di esserci. Massimo c’era sempre, senza esitazione, senza pigrizia, senza stanchezza, anche nel momento della estenuante battaglia contro la malattia che lo stava piegando. Non ha mai smesso di sorridere, almeno con noi amici, e di mostrare ottimismo, di farci credere che la gioia della vita vale più di qualunque cosa.

Massimo era talmente attento che, quando ha saputo di essere malato, ha preferito parlare con mia moglie, persona di carattere e spirito più affine al suo, perché mi preparasse a gestire la notizia. Ma non è questa l’occasione per ricordare la nostra amicizia, i tanti momenti di affetto, di leggerezze, e anche di condivisi dolori, quanto piuttosto per osservare come la vita di una persona possa lasciare un segno da non dimenticare e lo consegni a noi, che abbiamo la fortuna di essere ancora qui a raccontare ai nostri figli e alle generazioni future.

Credo che Massimo abbia lasciato un’eredità non solo ai suoi ragazzi, che potranno crescere nella consapevolezza di avere goduto a pieno, anche se troppo brevemente, di una persona speciale, ma anche ai nostri figli, cui Massimo ha dato sempre affetto e attenzione e che stanno soffrendo la perdita di una persona cara, così quanto noi.

Massimo non era ebreo, ma sentiva di esserlo. La sua vita era completamente immersa nell’ambiente ebraico: moglie e figli ebrei che frequentano le scuole ebraiche, amici ebrei, lavoro con ebrei, un forte legame con Israele. Come per tante sue passioni, era entusiasta della sua metà ebraica, tanto da sentire il bisogno di esplicitare in ogni occasione la difesa di Israele, di denigrare ogni forma di rigurgito antisemita, ma anche di impegnarsi per la scuola ebraica, e soprattutto di desiderare che i figli avessero un’identità e un’educazione ebraica.

Ma come sappiamo, e dibattiamo da qualche millennio, tutto questo non è sufficiente a renderci ebrei o a renderci tali di fronte alla Comunità che, con la scomparsa di Massimo, giustamente si è scusata di non essere stata capace di accoglierlo. Massimo non era ebreo, ma sentiva di esserlo e tanto bastava per lui stesso e per noi. Ho sempre pensato che ognuno fosse ciò che sente di essere e mai prima mi ero reso conto di come nei momenti salienti della vita e nel suo inesorabile epilogo, l’identità diventi invece improvvisamente rilevante, almeno per chi rimane.

Riconosco anche nei nostri figli quello stesso entusiasmo per la metà ebraica portata con orgoglio e naturalezza, coltivata grazie alla famiglia, alla tradizione e agli affetti, e mi domando se ci sarà un giorno una soluzione o una forma di riconoscimento per chi - come loro e come Massimo - sente vivo in sé quel senso di appartenenza.

Massimo si è spento tra i suoi affetti, con attorno Karen, moglie adorata, la sua famiglia, e i suoi amici, che insieme hanno cercato di restituirgli fino all’ultimo minuto - in un’impresa impossibile ­- quel conforto e quell’amore che lui ha sempre regalato a chi gli stava accanto.

David Hirsch

 

 

Carlo Levi, Razze umane, il frontista, l'occipitale, il sacrale

  Carlo Levi, Slogan

 

Share |