MARZO 2021 ANNO XLVI - 227 ADAR 5781
Sprazzi di memoria
Il gioco del Papà: "Capitèla, nanèla"
La memoria del passato si attenua con l’età e spesso sparisce o lascia grossi buchi. Ma alcuni particolari dei ricordi dell’infanzia e della gioventù rimangono vivi, e, con il passare degli anni, acquistano significati più profondi e maggiore valore. Forse è bene che non vadano perduti. Per quanto mi riguarda, proverò a ricuperare e descrivere di tanto in tanto qualcuno di questi sprazzi, partendo dall’infanzia, sperando che possano avere qualche interesse per i lettori. Questi ricordi sono spesso caratterizzati da due elementi che sembrano contradditori, ma che allora si compensavano e si integravano a vicenda: la paura e il fascino dell’incomprensibile. L’ignoto e il mistero alimentavano la paura, che, per essere superata, si trasformava in gioco, e il gioco risultava affascinante per il risultato che produceva nella mia mente. Ma spesso non era capito dagli altri.
Il gioco del Papà: “Capitèla nanèla”
Il mio primo ricordo è degli anni 1940-41. Ho tre anni e infuriano la guerra e le leggi razziste. Il papà prega sovente, ma io non capisco. Il suono delle sue parole in ebraico è dolce e misterioso, spesso accompagnato da una leggera cantilena; il suo volto è serio ed attento, vagamente preoccupato; il suo sguardo è concentrato sopra un libro spesso e un po’ stropicciato. Il contenuto di quelle parole suona alle mie orecchie come un gioco incomprensibile, un gioco riservato ai grandi, perché, se chiedo spiegazioni, ottengo risposte vaghe e altrettanto misteriose, che hanno a che fare con il suo lavoro, con la guerra, con la preghiera, con il Signore che ascolta quello che dice.
Un bel giorno decido di giocare anch’io, per provare a capire, per togliermi di dosso la paura del mistero. Davanti a tutta la famiglia prendo il primo libro che trovo, lo apro e a voce alta dichiaro: “Papà pekèla: <Capitèla nanèla, capitèla nanèla … >”. Tutti scoppiano a ridere. Io scoppio in un gran pianto: nessuno aveva mai riso ascoltando la “pekèla” di Papà e adesso nessuno mi ha capito. E quando mi chiederanno per scherzo “Come fa Papà?” risponderò sdegnosamente “Non lo so.”
È forse il primo segno di attitudine a fare il chazan al tempio?
Erich Mendelsohn grandi magazzini Peterdorff, Breslavia, Polonia, 1927
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