MAGGIO 2021 ANNO XLVI - 228 SIVAN 5781
Libri
Il pane perduto
di Paola De Benedetti
Nell’aprire il libro mi sono venute spontanee due domande: perché a distanza di sessant’anni da Chi ti ama così, il primo di tanti altri di ricordi e di testimonianza, ancora un’autobiografia? E perché il titolo?
Alla prima domanda ha risposto la stessa Edith Bruck nella nota di chiusura al testo: quando, alla vigilia dei novant’anni, si è accorta di non riuscire a ricordare una parola (la parola “computer”) si è spaventata e ha deciso “di sorvolare a ritroso sulla mia esistenza, in tempo”.
Il pane perduto del titolo è il pane che al termine di Pesach la madre aveva impastato e lasciato a lievitare, ma non aveva avuto il tempo di cuocere, il pane che la madre invoca mentre i fascisti ungheresi fanno irruzione nella notte e la strappano dalla sua casa, con tutta la famiglia. Il pane perduto segna la cesura tra un prima, fatto di povertà ma anche di qualche speranza in un futuro migliore, e un dopo di terrore, di dispersione, di perdita.
Con la coincidenza temporale tra il termine della festa di Pesach e il rastrellamento degli ebrei del villaggio il pane può suggerire un confronto: schiavi del Faraone, gli ebrei conquistando la libertà portano con sé il pane che non hanno potuto far lievitare, il pane azzimo; schiavi di Hitler gli ebrei devono abbandonare anche il pane, che sta lievitando ma che non potranno infornare. Il pane che la madre invocherà disperata.
La cesura tra il prima e il dopo è anche letteraria: dal ricordo in terza persona di Dikte, la bambina scalza, allegra, curiosa, intraprendente, Edith passa improvvisamente alla prima persona.
La madre e il fratellino malato saranno eliminati all’arrivo ad Auschwitz, il padre morirà durante la prigionia, alla deportazione sopravviveranno Edith, la sorella Judit e il fratello maggiore.
Pagine tragiche sono non soltanto quelle relative all’esperienza dei vari lager in cui Edith Bruck passa, ma anche, forse soprattutto, quelle angosciose del ritorno: la gente che lei e la sorella Judit incontrano nel viaggio verso casa, le stesse sorelle maggiori sfuggite ai rastrellamenti, gli abitanti del villaggio sono tutti respingenti, sospettosi, con atteggiamenti di difesa; non vogliono sapere, negano la possibilità di un racconto che vorrebbe essere liberatorio. “Il nostro cuore era rattrappito”, “Tra noi e chi non aveva vissuto la nostra esperienza si era aperto un abisso”.
Dopo la fuga da una Ungheria che la rifiuta, la non felice esperienza in Israele da cui porta con sé il cognome Bruck, acquisito con un matrimonio simulato, che manterrà e mantiene in sostituzione di quello del padre (il cognome di famiglia è appena sussurrato tra i ricordi della bambina Dikte), dopo essersi esibita come cantante e ballerina in compagnie di spettacoli ad Atene, Istanbul e Zurigo, Edith approda a Napoli, dove, scrive “per la prima volta mi trovavo bene subito, dopo il mio triste e lungo pellegrinaggio”.
L’Italia è diventata il suo paese, le ha dato la serenità, la possibilità – finalmente – di scrivere, la fortuna di un lungo matrimonio felice, e lei ha ricambiato con la sua presenza, le sue testimonianze, i suoi libri.
Paola De Benedetti
Edith Bruck, Il pane perduto, La nave di Teseo 2021, pp. 126, € 16
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