LUGLIO 2021 ANNO XLVI - 229 AV 5781

 

 

Palestina

 

ABBASTA!
Persecuzione e rivolta a Ramallah

David Calef

 

 

Qualcuno doveva aver denunciato Nizar Banat, perché senza aver fatto nulla di male fu arrestato in una notte d’inizio estate. Il 24 giugno un’unità delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha fatto irruzione in un appartamento di Hebron in Cisgiordania per arrestare Banat, un modesto imbianchino. Una ventina di militari sono entrati alle 3:30 di notte, hanno picchiato sul posto Banat e lo hanno portato via. Circa un’ora più tardi, l’ANP ha restituito il cadavere di Banat alla famiglia con evidenti segni di percosse peraltro già iniziate al momento dell’arresto.

Da allora le strade di Hebron, Betlemme e soprattutto di Ramallah sono percorse da manifestanti che protestano contro il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas (più noto come Abu Mazen), e chiedono la fine del suo regime.

Banat, conosciuto in Cisgiordania per essere un instancabile critico dell’ANP, del suo autoritarismo e della sua corruzione, era stato già “avvisato”. A maggio uomini armati avevano sparato e tirato granate stordenti e gas lacrimogeno contro la sua abitazione. Banat non se ne era dato per inteso e, nei giorni successivi, aveva indicato in Fatah, il partito governativo di Abbas, il mandante delle minacce ricevute.

In Cisgiordania, da anni nessuno si fa illusioni: l’ANP non tollera alcun dissenso e imprigiona sistematicamente giornalisti e dissidenti ricorrendo ad arresti arbitrari e a torture. Ma con l’assassinio brutale di un cittadino inerme picchiato a morte è stata oltrepassata una tacita soglia d’indignazione. Dopo il funerale di Banat, le contestazioni di piazza, di tono relativamente minore dopo l’annuncio dell’annullamento delle elezioni, sono diventate molto più vigorose.

A luglio, sulla piazza Al-Manara di Ramallah, i dimostranti gridavano senza esitazione: “il popolo vuole la fine del regime”. La reazione dell’ANP ha seguito il copione tipico dei regimi dispotici della regione: intimidazione, repressione violenta e arresti.

In realtà lo scontento dei palestinesi nei confronti del presidente è cominciato già in primavera. A fine aprile, il leader dell’ANP ha annullato le elezioni parlamentari previste per il 22 maggio (le prime dal 2006) rimandandole sine die. La giustificazione ufficiale di Abbas è stata il mancato permesso del governo israeliano per l’apertura dei seggi a Gerusalemme Est. Molto più verosimilmente l’ottuagenario leader dell’ANP era preoccupato dai sondaggi che lo davano perdente a favore di candidati come Nasser al-Qudwa (nipote di Arafat) e Mohammed Dahlan, entrambi ex membri di Fatah ed ora avversari del partito di Abbas. Al-Qudwa in particolare è appoggiato dal popolarissimo Marwan Barghouti anche lui ex Fatah, il quale, accusato di omicidio, è in una prigione israeliana dal 2004.

Il malcontento nei confronti di Abbas e della sua classe dirigente si nutre non solo delle fondate accuse di corruzione e autoritarismo ma soprattutto della convinzione che l’ANP, invece di rappresentare le istanze dei palestinesi di fronte ai governi israeliani, si limiti a esercitare il ruolo di subappaltatore di Israele nel processo di occupazione. L’Autorità Palestinese è accusata da anni non solo di coordinare la repressione delle proteste per conto dell’occupante ma anche di sottoporre a tortura prigionieri palestinesi che vengono poi trasferiti nella prigione Shikma dello Shin Bet per ulteriori interrogatori e, secondo l’organizzazione israeliana Hamoked, ulteriori abusi.

Molti palestinesi non parlano di coordinamento, ma di pura e semplice complicità.

La generazione dei millennial palestinesi non ha mai avuto illusioni sul cosiddetto processo di pace che avrebbe dovuto portare alla creazione di uno stato palestinese. Dagli Accordi di Oslo (1993), il numero di insediamenti in Cisgiordania e la popolazione ebraica israeliana che vi abita sono cresciuti senza soste. Se a ridosso di Oslo gli israeliani ebrei che vivevano negli insediamenti erano poco più di 110.000, nel 2019 il numero era quadruplicato fino a superare i 441.000 esclusi quelli che vivono a Gerusalemme Est. I millennial palestinesi vedono la realtà per quello che è: Israele intende continuare a gestire l’occupazione in modo permanente. E l’ANP non è in grado di fare nulla per contrastare il progetto israeliano.

Tutto si tiene. L’insipienza politica e morale di Abbas è a 360 gradi. Tra il posticipo delle elezioni e l’assassinio di Banat, il presidente palestinese ha trovato il tempo per congratularsi con Bashar al-Assad di essere stato rieletto presidente nelle elezioni siriane con il 94.5% (sic) dei voti. Con il suo messaggio di auguri al Macellaio di Damasco, Abbas si è unito ad uno sparuto gruppo di leader (il venezuelano Maduro, Putin, il presidente cubano Miguel Diaz-Canel, le autorità iraniane) certificando la sua sintonia con alcuni dei tiranni più biechi al potere in circolazione.

Negli anni scorsi le proteste della piazza palestinese non hanno mai raggiunto livelli di guardia tali da preoccupare Fatah e l’ANP. Entrambi hanno contato sul fatto che l’intero popolo palestinese è unito in una comune lotta contro il nemico israeliano. Ma l’apparente comunanza di intenti tra i giovani palestinesi, spesso sotto-occupati o disoccupati, e la cosca di Abbas e dei suoi sodali è sempre più fittizia. A guadagnarci per ora sono Israele, che interagisce con un interlocutore disunito, e Hamas, gang di despoti criminali la cui popolarità è cresciuta anche in Cisgiordania sia a causa dello spettacolare livello di corruzione di Abbas e dei suoi alleati sia di quella che agli occhi dei più appare come arrendevolezza nei confronti di Israele.

Resta da vedere cosa succederà nei prossimi mesi. Le proteste di Ramallah continueranno con lo stesso vigore e porteranno a un cambiamento o faranno la fine delle primavere arabe di dieci anni fa? È difficile che manifestazioni popolari del tutto pacifiche possano incutere timore ai governanti palestinesi. Per parte sua, il nuovo governo israeliano ha tutto l’interesse a sostenere un alleato debole come Abbas che fin qui ha docilmente svolto il ruolo di poliziotto nelle aree A e B della West Bank.

Tuttavia, vi sono segnali incoraggianti che questa volta il malcontento si consolidi in forme durature. L’eco delle manifestazioni d’inizio estate ha avuto un ampio riscontro internazionale. Le Monde e il Washington Post hanno pubblicato editoriali condannando duramente Abbas e auspicando la fine del suo governo. Il dipartimento di stato americano e l’Unione Europea hanno criticato l’ANP per la morte di Banat e per le violenze commesse nei confronti dei dimostranti. In queste critiche risiede forse una piccola opportunità per il movimento di protesta: l’economia palestinese dipende fortemente dagli aiuti internazionali che ammontano a circa un settimo del Pil palestinese. Se l’Unione Europea (UE) e altri importanti paesi donatori (Norvegia, Svezia, Gran Bretagna e Germania) decidessero di far pesare la propria influenza politica, chiedendo con una forza sin qui mai vista una svolta in senso democratico, forse qualcosa potrebbe cambiare. Non è un caso se, dopo il rinvio a tempo indeterminato delle elezioni palestinesi, Banat ha fatto un appello all’UE perché cessasse di erogare aiuti finanziari all’ANP. Nonostante il rischio che l’UE esaudisse la richiesta di un individuo sconosciuto al di fuori della Cisgiordania fosse microscopico, l’ANP ha percepito la gravità della minaccia e ha reagito con un crimine.

Nel breve termine, i palestinesi continueranno a sopportare una triplice crisi: quella sanitaria del Covid, quella economica che si protrae da anni e quella politica, del tutto priva di spiragli anche con il nuovo governo israeliano. Abbas, piccolo despota inutile, non giocherà un ruolo positivo in nessuna delle tre. La sua uscita di scena è un requisito indispensabile per risolvere i problemi di uno stato che non esiste ancora.

 David Calef

11 Luglio

Mahmoud Abbas (Da: Israele.net)

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