MARZO 2022 ANNO XLVII-232 ADAR 5782
Israele - Ricordi
Haim Cahan, l'uomo che fotografava le nuvole
Gabriele Levy
Un pomeriggio del lontano 1987, in un bar a Torino, sento parlare italiano con un forte accento israeliano ashkenazita. Chiedo al signore da dove viene, e così conosco Haim Cahan Z”L, l’uomo che fotografava le nuvole dalla finestra di casa.
Haim era orfano, divorziato, senza fratelli né sorelle, e neppure figli con cui stare. Gli unici parenti che aveva, dei lontani cugini, non lo avevano chiamato nemmeno una volta negli ultimi 40 anni, così mi raccontò. I genitori di Haim erano scampati alla Shoà in Romania. Haim cresce in Israele negli anni di Ben Gurion e Golda Meir, Moshè Dayan e Itzhak Rabin. Un paese di immigrati, un paese in divenire.
Il 6 ottobre 1973 scoppiava la Guerra del Kippur.
Haim quel giorno era militare dell’esercito israeliano, si trovava sulle alture del Golan nelle ore iniziali, ore descritte nella serie televisiva “Valley of tears”, a poche centinaia di metri dal luogo ove si svolse la più incredibile battaglia della storia dei carri armati. Se non avete visto la serie, ve la consiglio ora.
Il compito di Haim durante quei giorni era quello di ripulire l’interno di quei carri armati che si potevano riutilizzare immediatamente.Ripulire da cosa? Ripulire, ad esempio, dai brandelli di carne umana che erano stati spappolati da un obice o un bazooka che aveva colpito il carro armato ed era penetrato nell’abitacolo, spiaccicando teste o braccia sulla lamiera del mezzo. Haim mi raccontava queste cose in un nebbioso pomeriggio torinese di metà dicembre, mentre surrealisticamente fuori dal locale in via Po passava un corteo che gridava “Palestina libera!”. Haim ed io ci guardammo negli occhi e sorridendo lui disse: “La Palestina è già libera! L’hanno liberata i nostri padri, e noi l’abbiamo difesa...”
Quello fu l’inizio della nostra amicizia.
Sapete che cosa successe a Haim dopo una settimana di staccamento dei brandelli di carne dei propri compagni d’arme? Gli successe quello che succede a chiunque passi un trauma del genere: andò fuori di testa. E dichiarò al comandante di voler disertare, e che quindi lo mandassero in galera, piuttosto che continuare a far quel mestiere. Solo che a quel tempo, in una situazione in cui si rischiava non tanto la vita di un solo soldato quanto l’esistenza stessa dello Stato di Israele non c’era tempo di andar troppo per il sottile, né si potevano sprecare le capacità di un giovane forte e in gamba come Haim. Fu quindi rimandato al distretto centrale dell’esercito a Tel Aviv.
Lì gli chiesero:”Cosa sai fare?” e lui, tranquillo come un re: “so fotografare”.
Da quel momento Haim sale sugli aerei da fotografia e ricognizione dell’aeronautica militare israeliana e durante tutta la guerra vola sopra il territorio di Siria ed Egitto, appollaiato dentro un enorme velivolo che aveva nella pancia una “macchina fotografica” grande come una casa, mentre fuori dalla fusoliera esplodevano i colpi della contraerea nemica.
Proprio come nei film di guerra, ma dal vero. Una vera merda. Dalla padella alla brace.
Lo scopo dell’azione era la fotografia aerea e la mappatura di tutte le posizioni nemiche, fisse o mobili, in modo da creare una “banca degli obiettivi” per le forze aeree, in modo da colpire solo obiettivi militari offensivi, cercando di evitare al massimo le perdite civili. Per settimane e settimane Haim volava sugli aerei di giorno e di notte, migliorando via via la conoscenza che l’esercito aveva sulle forze e sul territorio nemico. In quella guerra morirono 2521 soldati israeliani. Haim si salvò. Anche lo Stato di Israele si salvò.
Ma Haim non si salvò dal PTSD, acronimo dell’inglese “Post Traumatic Stress Disorder”. Pochi sono coloro che sono stati in guerra e non hanno il trauma da combattimento. Anch’io, che ho combattuto la guerra successiva (Operazione Pace in Galilea, 1982), soffro dello stesso disordine. Se volete vedere un film che si avvicina alla mia esperienza, vi consiglio “Lebanon” oppure “Valzer con Bashir”. Haim ed io parlavamo spesso della guerra e dei suoi traumi, degli incubi di notte; dei ricordi sonori, dell'odore della polvere da sparo; erano dei modi per cercare di sublimare il trauma, ed il trauma era anche il nostro collante.
Haim nel corso degli anni studia architettura, si sposa e poco dopo divorzia, di professione fa l’esperto di colori ed il commerciante di prodotti ed idee legate al mondo del design.
Abitava in un alloggio molto centrale a Torino, tra Via Lagrange e Piazza Bodoni. Persona riservata ed aristocratica, con una cultura stratosferica ed un’eleganza rara. Un saggio in incognito. Haim era il mio Saint Exupéry privato.
Il suo nome, tradotto dall’ebraico, significa letteralmente “Vita (da) sacerdote”.Quando sei in guerra su un aereo, mentre voli in mezzo ai colpi della contraerea nemica, pensi solo ed esclusivamente ad una cosa: che vorresti salvarti la vita, possibilmente.
E durante la Guerra del Kippur Haim guardava le nuvole da dentro l’aereo pensando: “... forse questa nuvola è l’ultima meravigliosa cosa che vedrò nella vita”. Per molti anni, ogni giorno Haim fotografava le nuvole dalla finestra di casa sua a Torino.
C’è chi quando se ne va, ci lascia una poesia, chi una canzone, e chi un libro.
Haim ci ha lasciato le foto delle nuvole.Che il suo ricordo sia di benedizione.
Gabriele Levy
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