MAGGIO 2022 ANNO XLVII - 233 IYAR 5782
Ucraina
Zelensky, attore e personaggio
Anna Segre
Confesso di non essermi mai documentata e informata abbastanza da poter dare un giudizio su Zelensky come uomo politico, né sulle sue idee, né sul suo partito, né su come si sia comportato da quando è stato eletto a quando è iniziata la guerra. Ma spesso i personaggi sono interessanti proprio per come sono percepiti dai non esperti, dall’opinione pubblica in generale. E il personaggio Zelensky è una miniera di paradossi.
Prima di tutto, non possiamo fare a meno di prendere in considerazione la sua identità ebraica. Non credo sia mai accaduto prima d’ora che un presidente ebreo diventasse il comandante in capo del suo popolo in una guerra di resistenza contro un’invasione straniera, ed è paradossale che questo sia accaduto per la prima volta in un paese – l’Ucraina – che nel corso della storia si è dimostrato tutt’altro che amichevole con gli ebrei, fino agli orrori della Shoah di cui la popolazione locale si è talvolta resa in parte complice. Ancora più paradossale (ma forse meno interessante, perché si tratta di semplice malafede) che la guerra contro questo presidente ebreo sia stata condotta sotto la bandiera della “denazificazione” dell’Ucraina da una leadership russa che a sua volta non può e non vuole mascherare il proprio antisemitismo.
Sarò forse paranoica ma in più occasioni non ho potuto fare a meno di domandarmi se l’incomprensione, il sospetto, talvolta il vero e proprio astio nei confronti della scelta del popolo ucraino di non arrendersi che si respira in molti ambienti, anche a sinistra, non dipendano almeno in parte dell’identità ebraica del presidente: un pensiero orribile ma purtroppo supportato dalle macchinose teorie del complotto che circolano in cui ci sono sempre di mezzo gli Stati Uniti, il capitalismo e le lobby che tramano nell’ombra (e quando si fanno questi discorsi è molto raro che prima o poi gli ebrei non saltino fuori in qualche modo), oppure da scivoloni altrimenti poco spiegabili come il naso assurdo con cui il vignettista Vauro ha scelto di ritrarre Zelensky.
Stiamo parlando di un presidente che ostenta in ogni occasione una buona dose di nazionalismo che alle nostre orecchie suona un po’ inquietante, per quanto forse giustificato, o per lo meno reso comprensibile, dalla situazione in cui un popolo aggredito difende la propria libertà e la propria stessa esistenza (anche Bella ciao, del resto, non parla di fascista o nazista ma di invasore). Sarà importante capire dove finirà tutto questo nazionalismo quando la guerra sarà finita (speriamo il più presto possibile), ma per il momento è difficile fare previsioni.
Mi hanno colpito molto, soprattutto nei primi giorni del conflitto, lo zelo con cui il presidente ucraino ha cercato di attirare le simpatie dei media, del pubblico e dei politici di tutti i paesi, e in particolare, nei discorsi che ha tenuto ai vari parlamenti, la sua capacità di scegliere per ciascuno le citazioni e i riferimenti culturali appropriati (Churchill per gli inglesi, Martin Luther King per gli americani, ecc.); curiosamente - ed è un altro degli infiniti paradossi del personaggio - l’unico luogo a cui non ha saputo indirizzare le parole giuste è stato proprio la Knesset, il parlamento di un paese di cui in base alla Legge del Ritorno potrebbe diventare cittadino in qualsiasi momento. In tutti gli altri casi ha dimostrato una capacità di entrare in sintonia con la mentalità del luogo che mi è parsa andare persino al di là dell’abilità retorica, quasi una sorta di immedesimazione in stile Zelig. E forse il paragone con uno dei più noti e riusciti personaggi di Woody Allen non è fuori luogo considerando che stiamo parlando di un ex attore comico.
Qui sta dal mio punto di vista l’aspetto più curioso del personaggio: chi era Zelensky prima di diventare presidente e come lo è diventato. Come credo ormai tutti sappiano, il suo partito (Servitore del popolo, Слуга Народу, Sluha Narodu) prende il nome da una serie televisiva andata in onda dal 2015 al 2019 scritta e prodotta da lui, in cui interpretava la parte di un professore di storia che, divenuto di colpo popolare grazie a un video girato dagli allievi a sua insaputa, viene eletto presidente dell’Ucraina e si trova ad affrontare una serie di situazioni buffe e strampalate nel tentativo di liberare il paese dalla corruzione e dalla morsa degli oligarchi. Il successo della serie ha permesso all’attore che interpretava il protagonista di essere effettivamente eletto presidente del suo paese nel 2019. Un attore che si trasforma nel suo personaggio? Il personaggio che si impadronisce dell’attore quasi come un dibbuk? Il cortocircuito tra finzione e realtà è indubbiamente affascinante ma naturalmente va preso con le molle: c’è una bella differenza tra un oscuro professore di storia ingenuo e un po’ imbranato e un attore famoso con le amicizie giuste.
La serie televisiva Servitore del popolo, è gradevole e rilassante ma, diciamocelo, non esattamente un capolavoro: comicità un po’ elementare, situazioni assurde, equivoci e buoni sentimenti, con una discreta dose di retorica populista (tutti i guai del paese dipendono sostanzialmente dagli oligarchi e dalla corruzione), anche se qua e là traspare la volontà di proporre davvero alcuni temi non scontati, seppure in modo un po’ didascalico. Il professore/presidente della fiction è ingenuo e insicuro, apparentemente molto imbranato ma in realtà meno sprovveduto di quanto sembri e dotato (anche lui, come l’attore che lo interpreta) di una notevole eloquenza. Divertenti le intrusioni di vari personaggi storici che appaiono al protagonista per guidarlo e consigliarlo.
L’idea dell’uomo qualunque che si trova a governare e si dimostra più bravo dei politici di professione è vecchissima. Anche in Italia abbiamo avuto in anni recenti i due film Benvenuto Presidente! (2013) e Bentornato Presidente! (2019) che giocano sulla stessa idea (nel film italiano, però, il protagonista si ritrova eletto Presidente della Repubblica per sbaglio solo perché si chiama Giuseppe Garibaldi). Nella serie ucraina mi pare originale l’idea che l’uomo qualunque sia un professore di storia e che le sue conoscenze storiche siano l’elemento che lo rende meno incompetente del previsto: in Italia, data la scarsa considerazione in cui è tenuta la storia, difficilmente qualcuno avrebbe potuto immaginare una cosa del genere.
Guardare la serie televisiva pensando a quello che è successo e sta succedendo in Ucraina fa venire i brividi: le riprese dall’alto di Kiev verde e ordinata, con le sue piazze e i suoi monumenti; la leggerezza delle situazioni e delle battute che ascoltate oggi fanno sobbalzare: il presidente che per ottenere attenzione in mezzo al brusio dei ministri grida di colpo “Putin è stato deposto!” provocando un silenzio immediato. Una telefonata che annuncia l’ammissione nell’Unione Europea, ma subito si scopre che si era trattato di uno sbaglio di numero e che la chiamata non era per l’Ucraina ma per il Montenegro. E ancora tra i personaggi storici che appaiono al protagonista c’è Ivan il Terribile che si sorprende e si addolora per la scelta dei fratelli ucraini (cioè di quello che per lui è il principato di Kiev) di andare verso l’Europa.
Purtroppo, al di là dei cortocircuiti tra realtà e finzione, la storia dell’Ucraina è andata molto diversamente dalla serie televisiva, tanto che occuparsene oggi appare di cattivo gusto, giustificabile solo per la curiosità di inquadrare il personaggio di Zelensky (curiosità che peraltro la visione della serie non permette di appagare più di tanto), o per domandarsi quali elementi della serie, quali idee, quali valori possano aver avuto una presa così forte sul pubblico ucraino da far nascere l’illusione di trasformare la finzione in realtà. Comunque sia, con tutti i suoi difetti, la serie ci parla di uno stato democratico e orgoglioso di esserlo. Di questi tempi già questo può apparire un messaggio rivoluzionario.
Anna Segre
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