di David Calef

 

“Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete,

perchè io vi ho dato il paese in proprietà” (Numeri XXXIII:53)

 

“Ma se non scaccerete d’innanzi a voi gli abitanti del paese,

quelli di loro che vi avrete lasciato

saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi

e vi faranno tribolare nel paese che abiterete (Numeri, XXXIII:55)

 

Le elezioni di novembre segnano una svolta nella storia di Israele. La situazione politica prende una piega inedita non per il ritorno al potere di Netanyahu, né per la scomparsa – speriamo temporanea – di Meretz dalla Knesset.

La novità è determinata dallo straordinario successo della lista HaTzionut HaDatit (Sionismo Religioso) che ha ottenuto 14 seggi (quasi l’11% dei voti) raddoppiando i voti ottenuti nel 2021 e diventando così il terzo partito israeliano dopo il Likud e Yesh Atid.

Il Partito Sionista Religioso è il prodotto della fusione di tre partiti di estrema destra Noam, HaBayit HaYehudi (Casa Ebraica) e Otzma Yehudit (Potere Ebraico). In anni recenti, i tre partiti avevano concorso alle elezioni da soli o insieme ad altre formazioni ottenendo risultati molto modesti. Nel 2020, Otzma Yehudit, per esempio, aveva ricevuto meno dello 0.5 % dei suffragi senza quindi conquistare alcun seggio. È stato l’estate scorsa il primo ministro Benjamin Netanyahu a incoraggiare i tre partiti a unirsi per evitare di disperdere i voti e assicurarsi il sostegno di almeno 61 parlamentari che gli permettono di ritornare ad essere primo ministro.

Ciascuno dei tre leader del Partito Sionista Religioso è noto per un’idea fissa. Avi Maoz di Noam promuove politiche omofobe così assurde da oltrepassare la parodia. Bezalel Smotrich coltiva il sogno dell’annessione di tutta la Cisgiordania e, nel tempo libero, auspica la segregazione delle donne arabe partorienti da quelle ebree nei reparti di maternità degli ospedali pubblici.

Itamar Ben Gvir, leader di Otzma Yehudit, il più appariscente dei tre politici, è intento a rinfocolare nell’opinione pubblica gli istinti razzisti più sguaiati incontrando un enorme successo soprattutto tra giovani e adolescenti.

Ben Gvir, 46 anni, avvocato specializzato nella difesa di coloni sospettati di crimini (atti vandalici e omicidi) nei confronti di palestinesi, figlio di immigrati del Kurdistan irakeno e designato da Netanyahu a diventare ministro della Sicurezza Nazionale e quindi responsabile della polizia è stato in questi ultimi mesi ininterrottamente al centro dell’attenzione dei media.

Gli aneddoti su di lui sono tanti e vale la pena ricordarne qualcuno.

Quello più noto dice già quasi tutto: nell’ottobre 1995, Ben Gvir si fa riprendere dalle telecamere di un canale televisivo israeliano mentre mostra lo stemma della macchina di Yitzach Rabin, una Cadillac, e dice sorridendo: “Così come siamo arrivati alla sua macchina, arriveremo anche a lui”. Due settimane più tardi, Yigal Amir, un seguace del rabbino Meir Kahane, assassina Rabin al termine di un comizio in sostegno degli Accordi di Oslo. A quei tempi, il quasi ventenne Ben Gvir – non coinvolto nella pianificazione dell’assassinio – militava in Kach, il partito fondato da Kahane nel 1971. L’anno prima l’esercito israeliano aveva esentato Ben Gvir dal servizio militare a causa delle sue idee estremiste.

Fino a due anni fa, Ben Gvir si compiaceva di avere un ritratto di Baruch Goldstein (il terrorista responsabile nel 1994 del massacro di 29 palestinesi presso la Cava dei Patriarchi a Hebron)  appeso nel salotto di casa a Kyriat Arba, insediamento di coloni oltranzisti a due passi da Hebron. Goldstein era un membro di Kach. Nel 2020, una volta compreso di avere buone possibilità di entrare alla Knesset se avesse moderato i toni, ha rimosso il ritratto.

Una settimana dopo le elezioni del 10 novembre, Ben Gvir ha partecipato ad una commemorazione di Kahane durante la quale lo ha lodato per il suo amore incondizionato per Israele.

Si potrebbe continuare a lungo, ma è chiaro che Meir Kahane ha avuto una grande influenza sul pensiero politico di Ben Gvir. E per capire il senso più profondo dell’enorme popolarità di Ozma Yehudit e del suo leader bisogna partire proprio dalla visione ultra sciovinista del suo mentore: Meir Kahane.

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Nel 1968 Kahane fondò a New York la Jewish Defense League (Lega per la Difesa Ebraica) un gruppo di autodifesa che almeno inizialmente si proponeva di difendere le famiglie della piccola borghesia ebraica dalle intimidazioni da parte di estremisti afro-americani (Black Power) in alcuni quartieri di Brooklyn e Boston.

Nel giro di tre anni la JDL si distinse per altre iniziative politiche caratterizzate da atti violenti (aggressioni, bombe incendiarie, incendi dolosi) nei confronti di diplomatici di paesi arabi, dell’Unione Sovietica, nonché di organizzazioni ebraiche considerate non sufficientemente impegnate nella difesa della comunità ebraica. All’epoca, uno degli slogan della JDL era l’eloquente: “Una calibro .22 a ciascun ebreo”. Nel 1971, messo sotto sorveglianza dallo FBI, Kahane fece Aliyah dando vita ad una seconda carriera politica in Israele.

Kahane portò in Israele le ossessioni che avevano contraddistinto le sue battaglie negli Stati Uniti. In sintesi: gli ebrei sono di fronte ad una minaccia esistenziale; quest’ultima è messa in atto dai goym, in particolare dagli afro-americani negli Stati Uniti e dagli arabi in Israele. Gli ebrei “ellenisti” (liberal, laici, di sinistra o moderati) sono nemici. Qualunque mezzo è lecito per contrastare l’antisemitismo millenario dei goym, violenza compresa. Il Dio d’Israele esige vendetta e gli ebrei hanno il dovere di vendicarsi di coloro che li hanno perseguitati.

Nel 1972 e nel 1977 il partito di Kahane partecipò alle elezioni per eleggere l’ottava e la nona Knesset. I mediocri risultati elettorali non valsero a Kach alcun seggio e l’establishment israeliano si convinse che non valeva preoccuparsi per un outsider che non avrebbe mai conquistato un seggio al parlamento.

La situazione cambiò nel 1981. Poco prima delle elezioni di giugno, Kach fece pubblicare sul quotidiano Maariv una pubblicità a tutta pagina. Il testo dell’inserzione, un vero e proprio manifesto politico era incentrato su due delle ossessioni principali di Kahane: i matrimoni misti tra arabi ed ebrei e i rapporti tra questi ultimi e i goyim. L’inserzione includeva passaggi come:

“Noi, il rabbino Meir Kahane e il Movimento Kach, vendicheremo l’onore delle Figlie d’Israele. Con l’aiuto di Dio, quando saremo eletti alla Knesset, proporremo una legge che porrà fine alla vergogna della nostra nazione,… Progetto di legge 1: Per porre fine alla piaga dell’assimilazione diffusa in tutto il paese, proponiamo che il Ministero dell’Istruzione avvii corsi obbligatori nelle scuole di tutto il paese sul carattere distintivo del Popolo di Israele vietando l’abominio dell’assimilazione e della comunione con i goym. Progetto di legge 2: Per dissuadere quelli che vengono ad invogliare le Figlie d’Israele a unirsi e a assimilarsi proponiamo una pena detentiva… …di cinque anni …per ogni arabo che abbia rapporti sessuali con una donna ebrea.

L’inserzione proponeva inoltre di proibire qualunque contatto tra stranieri (anche non arabi) ed ebrei, prescrivendo in particolare al personale delle Nazioni Unite di stanza in Israele di non uscire dalle loro basi per evitare qualsiasi interazione con la popolazione ebraica.

Nel testo non c’era nulla che Kahane non avesse già proposto e messo per iscritto innumerevoli volte senza suscitare troppi clamori. Ma una pubblicità su un quotidiano diffuso come Maariv non poteva passare inosservata. Privati cittadini, partiti politici e società civile si appellarono all Comitato Centrale Elettorale (CEC) affinché escludesse Kach dalle imminenti elezioni. Moshe Etzioni, l’allora presidente del CEC, era in sintonia con la società civile ritenendo che Kach stava tentando di introdurre nella legislazione nazionale delle nuove Leggi di Norimberga con l’unica differenza che il termine arabo prendeva ora il posto del termine ebreo. Del resto, da anni la propaganda di Kahane ricordava quella dei nazisti: gli arabi, tacciati di essere cani, equiparati ad una malattia maligna e di riprodursi come pulci non avevano diritto di abitare in Israele. Nel 1971, nonostante la Dichiarazione d’Indipendenza stabilisse che dal punto di vista giuridico tutti gli israeliani godevano di uguali diritti senza distinzioni di carattere etnico o religioso, non esisteva  alcun riferimento normativo che permettesse al Comitato di bandire Kach dalle competizioni elettorali. Etzioni fu quindi messo in minoranza e Kach continuò a fare politica.

Lungi dal limitarsi ad accusare gli arabi di attentare alla purezza delle donne israeliane, Kahane proponeva soluzioni per andare alla radice del problema.

La soluzione chiave – semplice e radicale – si trova in decine di editoriali e in alcuni libri scritti dal nostro. Per esempio, in Se ne Devono Andare, un libretto del 1980 Kahane scriveva: “Gli arabi di Israele rappresentano Hillul Hashem (profanazione di Dio) nella sua forma più cruda. Il loro trasferimento dalla Terra d’Israele è così più di una questione politica. È una questione religiosa, un obbligo religioso, un comandamento a cancellare Hillul Hashem… Rimuoviamo gli arabi da Israele e portiamo la redenzione.”

Altri elementi fondamentali della piattaforma politica di Kach sono altrettanto sconcertanti.

Riguardo ai  dibattiti in corso in Israele sul modello di governo più appropriato per il paese, Kahane aveva un’opinione semplice: il sistema democratico era inconciliabile con il giudaismo: “esiste un conflitto incolmabile, un’assoluta contraddizione tra sionismo e democrazia occidentale”. Alle basi di questa incompatibilità l’idea che, secondo Kahane, Israele non era un soggetto politico ma piuttosto una creazione religiosa. In quanto tale, la presenza dei non-ebrei nel paese era insostenibile, visto che, secondo Kahane, Israele era stato creato da Dio come reazione alla persecuzione dei goym contro gli ebrei. Va da sé che Kahane considerasse l’Halacha come unica fonte legittima del diritto nazionale.

Dal punto di vista legislativo l’impatto di Kach  tra il 1984 e il 1988, fu pressoché nullo. Nessuno dei suoi disegni di legge fu mai preso in considerazione e Kahane, durante quei 4 anni fu evitato dai colleghi alla Knesset come persona non grata. È noto che spesso, quando Kahane prendeva la parola, i membri del Likud con alla testa il primo ministro Yitzhak Shamir, uscivano dall’aula.

Ma la sua popolarità al di fuori della Knesset crebbe così tanto che, all’inizio della prima intifada (Ottobre 1988), i sondaggi prevedevano che Kach avrebbe ottenuto tra i 3 e i 4 seggi. Kahane aveva un seguito notevole soprattutto tra gli ebrei di origine sefardita che abitavano nelle Ayarat Pitu’ah (città dello sviluppo).

Il presumibile successo di Kach mise in guardia il CEC che, sfruttando un emendamento della Legge Fondamentale scritto apposta nel 1986 per squalificare qualunque partito che incitasse al razzismo o negasse il carattere democratico di Israele, escluse Kach dalle elezioni mettendo così fine alla carriera parlamentare di Kahane.

Nel 1994, il governo israeliano all’unanimità dichiara Kach un’organizzazione terrorista e la bandisce secondo la legge del 1947 sulla Prevenzione del terrorismo. Alla definitiva censura dell’establishment politico israliano seguì quella delle istituzioni statunitensi. Nello stesso anno, il Dipartimento di Stato americano classifica Kach come gruppo terrorista.

Ma se Kach ha smesso di giocare un ruolo formale nel panorama politico israeliano dalla fine degli anni 80 in poi, le idee di Kahane hanno continuato a circolare e a influenzare piccoli partiti politici, gruppuscoli radicali e l’opinione pubblica. Non hanno mai cessato di essere attivi i suoi seguaci (Michael Ben Ari, Baruch Marzel) che hanno militato in altri partiti di estrema destra (Unione Nazionale, Tkuma, Moledet) prima di sostenere Otzma Yehudit nel 2012. C’è poi la Gioventù delle Colline (No’ar HaGva’ot), una galassia di gruppi di giovani fanatici che vivono nei Ma’ahaz, piccoli insediamenti considerati illegali anche dal Governo. La Gioventù delle Colline è spesso responsabile di attacchi terroristici nei confronti di individui e di proprietà palestinesi nella West Bank. Nel 2014, durante un discorso pronunciato in occasione del suo 75 compleanno, Amos Oz disse che bisognava chiamarli per quello che erano: “Neo-nazisti ebrei”. Ci sono infine coloro che simpatizzano con alcune delle proposte di Kahane, in particolare la deportazione degli arabi, senza necessariamente abbracciarne l’intera, sgangherata, dottrina. Non sono proprio due gatti. Secondo un’indagine del 2016 condotta del centro di studi Pew Research Center, il 48 % degli israeliani desiderano che gli arabi vengano espulsi dal paese. La percentuale sale fino a 59% per gli ultra-ortodossi e al 71% per gli ortodossi.

***

È in questo contesto che è emersa la figura di Ben Gvir il quale, al contrario di Kahane, non si contrappone all’establishment perché intende farne parte sapendo che ha buone probabilità di riuscirvi. Più abile del suo mentore, Ben Gvir ha capito che un progetto di società etno-nazionalista è a portata di mano. Idee che 30 anni fa erano considerate censurabili, per non dire abiette, anche dalla destra ora non fanno più scandalo. Ciò permette a Ben Gvir di rinunciare occasionalmente alla retorica apocalittica del leader di Kach senza però mai sconfessare l’ideologia razzista che ha alimentato la strategia politica di quel partito.

La nomina di un neo-kahanista ad una carica ministeriale permette di apprezzare il cambiamento che ha avuto luogo nella società israeliana in questo lasso di tempo. Qui si può solo accennare ad alcuni dei fattori che hanno contribuito a questa sciagurata involuzione democratica.

I cambiamenti demografici hanno senz’altro favorito la diffusione di un sentimento di ostilità nei confronti degli arabi. Dall’inizio degli anni ‘90, oltre un milione di ebrei russi hanno fatto aliyah. Poco o per nulla osservanti, gli olim dell’ex Unione Sovietica hanno dato un contributo importante alla delegittimazione della popolazione araba votando in massa per Yisrael Beiteinu (Israele Casa Nostra), partito da sempre in favore di uno stato etnicamente omogeneo, ovvero senza arabi. I haredim non potrebbero essere più differenti dagli ebrei russi, ma condividono con questi ultimi un’avversione senza limiti nei confronti di arabi israeliani e palestinesi. E negli ultimi 30 anni il loro peso demografico relativo è aumentato in modo significativo.

Bisogna poi considerare la metamorfosi del Likud. Il partito che ai tempi di Shamir si faceva un punto d’onore di ostracizzare Kahane adesso invita gli eredi di quest’ultimo a unirsi alla coalizione guidata da Netanyahu. Molti dei suoi membri hanno mutuato le idee e il linguaggio di Kahane e da anni parlano di arabi, palestinesi e di rifugiati africani in termini che renderebbero orgogliosi i razzisti di ogni epoca e di qualsiasi latitudine.

Infine, c’è un fattore contingente ma decisivo. Dal 2019 Netanyahu è indiziato di molteplici reati di corruzione. Stare all’opposizione aumenta i rischi di una condanna infamante. Il leader del Likud, che solo 4 anni fa avrebbe esitato ad allearsi con degli estremisti per non correre il rischio di alienarsi definitivamente le simpatie della comunità ebraica statunitense, ha perso ora qualunque inibizione.

Resta da vedere in che modo la società israeliana reagirà alle politiche del nuovo governo che, non avendo al suo interno alcuna forza moderatrice, sarà libero di riesumare i peggiori echi del kahanismo.

In ogni caso, il 2023 sarà senz’altro un anno interessante per “l’unica democrazia del Medio Oriente” mentre dà libero corso ad istinti illiberali e anti-democratici tipici dei paesi che la circondano.

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