Giacomo Debenedetti, Saba e la lirica italiana del Novecento
di Giorgio Berruto
Di Giacomo Debenedetti, tra i maggiori critici letterari del Novecento italiano, la casa editrice La nave di Teseo ha deciso di riproporre dal 2018 l’opera completa. Poesia italiana del Novecento, disponibile in libreria da poche settimane, ne rappresenta il tassello più recente. Il testo, utilizzato come base per le lezioni universitarie tenute da Debenedetti a Roma nell’anno 1958-1959 e poi rivisto, comprende un canone lirico che muove dagli emuli italiani di Mallarmé, attraversa la stagione ermetica (Montale, Ungaretti, Luzi), si ferma a lungo su Saba per concludere esplorando percorsi nuovi e vari (Penna, Noventa, Sereni, la poesia impegnata del dopoguerra). Di fronte al dominio pluridecennale di formalismo e oscurità ermetica Debenedetti esprime chiara diffidenza. Il suo poeta per eccellenza, quello che considera spartiacque nella poesia italiana del secolo per la diversità anacronistica e l’“intransigenza ingenua” con cui si ostina a raccontare semplici situazioni di vita mentre gli altri spezzano la sintassi e alludono a misteri, è Saba.
Tutta la modernità letteraria, Novecento compreso, per Debenedetti è segnata dal romanzo, inteso non solo come genere ma anche come archetipo stilistico che getta luce sia sui narratori sia sui poeti. Segue a questa premessa che i due autori decisivi, entrambi ebrei per eredità materna, siano Proust e Saba, romanziere poeta il primo, poeta romanziere il secondo. Con il Canzoniere, sottolinea Debenedetti, Saba costruisce un romanzo in versi tramite l’assemblaggio di diversi quadri narrativi. Il poeta, in altre parole, racconta la propria vita come un romanzo (o un melodramma, altra forma caratteristica della modernità). Come nel celebre caso dei due umili montanari protagonisti dei Promessi Sposi – gente comune che emerge per arbitrio dell’autore dalla massa del popolo -, il fatto personale diventa fatto di tutti. Saba, come Prokofiev in musica e Chagall in pittura, tratta drammaturgicamente i personaggi: eccezioni nel contesto di avanguardie, esistenzialismi, formalismi ed ermetismi dilaganti. Il poeta mette letteralmente i personaggi in scena condensando così la situazione lirica in azione, o meglio relazione tra personaggi come nella fuga A tre voci, scandagliata dal critico in una trentina di pagine meravigliose. O anche nella relazione con le cose, situazione del tutto diversa da quella in cui le cose rimangono isolate con i loro silenzi, i loro odori e il loro mistero come per esempio nei Limoni di Montale. O perfino in luoghi che diventano personaggi come Trieste nella poesia omonima: “Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e mani troppo grandi / per regalare un fiore”. Il personaggio è cardine intorno a cui ruota il romanzo dai tempi di Cervantes ed è esattamente ciò che le avanguardie antinarrative e antiromanzesche hanno sostanzialmente espulso nelle diverse arti. Saba al contrario trasforma le idee in personaggi, identifica e rende riconoscibile, incarna i concetti dando loro la sostanza e i nomi della vita quotidiana. Primo Levi – che però Debenedetti non ha mai preso in considerazione – negli stessi anni del Canzoniere veniva rifiutato da Einaudi anche perché considerato troppo scolastico, troppo limpido, troppo ingenuo. La stima e in qualche misura anche l’influenza bidirezionale tra Levi e Saba sono conosciute. Come e prima di Levi, Saba libera dal sortilegio dell’oscurità, dall’estetica del frammento, dalla ritirata crociana nelle aeree dimore dello spirito che è sempre anche una ritirata dall’impegno nel mondo, con gli altri.
Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del Novecento, prefazione di Alfonso Berardinelli, introduzione di Pier Paolo Pasolini, La nave di Teseo, Milano 2022, 320 pp., 24€.