Intervista di Emilio Hirsch
Noemi Anau è nata a Torino ma da qualche anno si è trasferita ad Amsterdam per completare un dottorato di ricerca in fisica teorica, studiando la natura della materia oscura. Noemi continua la tradizione di donne scienziate che ha visto Torino precursore dei tempi con figure femminili di spicco, a partire dal premio Nobel Rita Levi Montalcini. I numeri della scienza al femminile, per fortuna, stanno aumentando ovunque ma la carriera nella ricerca ha ancora un’impronta maschile, soprattutto se si sale ai livelli accademici più alti.
Noemi, ritieni che la carriera accademica in ambito scientifico penalizzi le donne? Qual è la tua esperienza?
Dipende molto da luogo a luogo e anche da campo a campo. La mia esperienza ad Amsterdam è molto positiva, in particolare qui nel mio istituto d’adozione tra i colleghi di dottorato le donne sono il 50%. In generale, l’Università di Amsterdam è molto attenta alle tematiche di diversità e all’inclusione, con un’alta percentuale di studenti e staff internazionali. Per esempio, ogni anno abbiamo un corso specifico sulla cosiddetta apatia dello spettatore (in inglese bystander effect), per imparare a riconoscere una situazione o un’interazione personale potenzialmente scorretta e scegliere come reagire di conseguenza. Una tale preparazione aiuta a individuare contesti di maltrattamento o bullismo, ma soprattutto aspetti più sottili da riconoscere e in cui è auspicabile imparare ad agire in modo appropriato. Qui ad Amsterdam abbiamo anche dei corsi per imparare a riconoscere il pregiudizio implicito (implicit bias) e potenzialmente inconsapevole. Sinceramente non pensavo esistesse una codifica di situazioni del genere e credo questi corsi possano contribuire a uniformare le possibilità di tutti. Inoltre non è raro trovare al termine di bandi per posizioni universitarie un’ultima riga scritta a indicare esplicitamente che le candidature da minoranze o da donne sono le benvenute, se non favorite. Detto ciò in fisica, e soprattutto in fisica teorica, le ragazze rimangono una minoranza tra i banchi. Direi quindi che il primo punto per favorire la presenza femminile ai livelli di docenza accademica dovrebbe essere costruire una parità di numeri in classe.
Secondo te l’Italia è un po’ più indietro? Insomma, è un potenziale trattamento discriminante che ti ha portato in Olanda?
Assolutamente no. La mia scelta non è stata legata da considerazioni di genere ma, più semplicemente, dal tipo di ricerca che volevo intraprendere. Ad Amsterdam ho trovato il gruppo più all’avanguardia negli argomenti che da subito mi hanno appassionata e che intendo continuare a studiare. Quindi ha contato solamente la qualità della ricerca. Poi però sono felice di aver trovato un ottimo ambiente in cui, non solo la scienza, ma anche la parità di opportunità è considerata importante.
Oltre ad esserti trovata bene nel mondo scientifico, come sono state le tue interazioni con il mondo ebraico olandese?
Ho cercato contatti e ho trovato un ambiente ebraico molto diverso da quello a cui ero abituata. Mi sono subito dovuta confrontare con una realtà ebraica variopinta ma anche fortemente disgregata, in cui le sinagoghe, ad esempio, sono in grande numero, circa una decina. Tra ortodossi, riformati e chabad c’è un po’ di tutto, ma il tempio che frequento di più è quello che ho vicino a casa: l’Esnoga, l’antica sinagoga portoghese, storico riferimento della comunità sefardita. Tuttavia, ciò che mi ha più colpito è il fatto che, nonostante il gran numero, siano tutte vuote. Di Shabbat non tutte raggiungono il minian e la sinagoga portoghese spesso lo raggiunge solo grazie ai turisti! L’ambiente ebraico è quindi estremamente frammentato e nessuno sembra interessato a uno sforzo congiunto. Apparentemente ciascuno è fortemente legato alla propria piccola comunità che viene difesa con forza, senza pensare che maggiore coesione potrebbe portare risultati migliori. Quindi la comunità a Torino, anche se più piccola in termini numerici, appare molto più viva a confronto, le persone molto più coinvolte e c’è molta più partecipazione. Tanti degli aspetti della vita ebraica torinese che ruotano intorno alla comunità, come la scuola e i vari circoli culturali, qui o sono enti a sé stanti, o mancano del tutto. Un esempio sorprendente, indice della mancanza di una figura centrale e punto di coesione, è la sinagoga portoghese stessa, che non ha un rabbino fisso ad Amsterdam, ma la maggior parte dei giorni solo chazanim.
Non ci sono attività per giovani ebrei?
Mancando un polo centrale è tutto lasciato all’iniziativa di piccoli gruppi slegati. Ad esempio, Chabad è molto presente con un gruppo ben organizzato di giovani professionisti e studenti. Tuttavia, esistono anche alternative, come organizzazioni esterne, per esempio l’americana Moishe House che organizza cene e gruppi di studio giovanili.
Nella tua esperienza, l’Olanda dà segni di antisemitismo diversi da quelli presenti nel resto dell’Europa o in Italia? Oppure, anzi, la tradizione liberale olandese aiuta a tenere lontano il pregiudizio antiebraico?
Mi è difficile rispondere perché non ho mai avuto esperienza diretta di antisemitismo. Ho sentito parlare di persone con la kippà a cui ogni tanto capitano eventi spiacevoli, spesso imputati a componenti della multiculturale società olandese. Ciononostante, come accennavo prima, l’università è molto attenta al rispetto delle diverse religioni, nazionalità e identità. Ad esempio, il giornale dell’università fa sempre gli auguri in occasione delle principali festività tradizionali, che siano Chanukkà, il Capodanno cinese o il Diwali indiano. In queste occasioni vengono spesso organizzate attività aperte a tutti, da un Yiftar (il pasto serale consumato dopo il tramonto) durante il Ramadan a una merenda con sufganiot per Chanukkà. Pertanto, sento un mondo accademico fortemente attento alle istanze multiculturali e al rispetto reciproco.
Permettimi ancora una domanda: la scienza non ha confini e non ha neanche una casa natale ma torneresti in Italia oppure no?
Domanda insidiosa! Ci penso continuamente ma cambio idea tutti i giorni. L’Italia ha tanto da offrire e mi manca molto. Tornerei volentieri ma ogni scelta porta a compromessi. Tornerei per la mia famiglia ma chissà.
Ora che siamo prossimi alle elezioni comunitarie, non ti mancano anche le nostre diatribe pre-elettorali?
Se prima la domanda era insidiosa questa è ancora peggio! Non ti rispondo proprio!
Allora lasciami ancora un’ultima considerazione: in Italia siamo ebrei ma all’estero diventiamo più facilmente italiani, insomma riesci a sentirti ebrea italiana? Come ti sei trovata a coniugare queste identità multiple all’estero?
Domanda finalmente interessante. Ho notato anch’io che all’estero si prende molta più coscienza della propria identità. Proprio perché sono ora immersa in un ambiente disomogeneo, queste mie due identità emergono più fortemente di prima. Come si coniugano? Beh, direi proprio bene!