Intervista a cura della redazione

La tua decisione di lasciare Pagine Ebraiche ha sconcertato molti. Sicuramente è normale che dopo tanti anni ci sia un avvicendamento come succede per tutte le testate, puoi però spiegare ai nostri lettori da cosa è stata causata questa decisione?
Ho accettato l’incarico di costruire una redazione giornalistica e testate giornalistiche professionali, stampate e online, con la finalità di raggiungere e consolidare risultati concreti: tutelare l’immagine dell’ebraismo italiano costruendo un solido rapporto con l’opinione pubblica, rafforzare la capacità di raccolta delle risorse, creare lavoro e qualificazione professionale per le giovani generazioni, ristabilire la centralità istituzionale e la rappresentatività dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, esaltare l’autonomia di ogni singola Comunità nel mosaico che compone la realtà ebraica italiana, costruire una casa comune per tutti gli ebrei italiani e per tutti gli amici degli ebrei italiani dove ognuno potesse sentirsi accolto. Giornalismo professionale, libertà d’espressione e messaggi chiari rivolti alla società.
Un professionista serio deve certo essere un buon mediatore, ma non può ridursi a un signor questo e quello, non può essere un signor capra e cavoli. Deve dire che cosa è venuto a fare. Deve chiarire da chi sta a libro paga, a quali poteri ha vincolato se stesso, da quali condizionamenti può dirsi invece libero. Nel quadro di quali contratti e quali accordi ha accettato di operare. Perché è venuto, e dove sta andando. Dove si profilano incomprensioni deve prevenire gli scontri. E quando necessario farsi da parte, attendendo pazientemente che tornino alla luce le ragioni del suo impegno.
Ho avuto una vita professionale soddisfacente anche prima di lavorare all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ho nipoti ebrei e ho la gioia di vederli crescere nel solco tracciato dalle autorità cui guardo con rispetto (Torah im Derech Eretz , i rabbini del Mussar ) e grazie ad H. non sento il bisogno di rassicurazioni identitarie. Non vedo il motivo di occupare una posizione anche al costo di generare imbarazzi e dispiaceri. Essere ebrei per sentirsi di malumore è qualcosa che non riesco a concepire.
La mia permanenza è stata quindi legata ai progetti e agli ideali perseguiti, alla validità dei risultati conseguiti e alla sintonia, all’intesa, che è stato possibile creare con esponenti dell’ebraismo italiano di enorme spessore, che pur operando in condizioni difficilissime avevano l’autorevolezza, la volontà, il rigore e la lungimiranza di assumersi le responsabilità necessarie.
È stato un lavoro duro, ma sempre all’ombra della loro saggezza. E non avrebbe potuto essere diversamente, perché non dobbiamo mai dimenticare quanto sia determinante porsi alla coda dei leoni, piuttosto che alla testa delle volpi.
Oggi, in accordo con la Giunta dell’Unione, vorrei occuparmi di altri progetti che restino coerenti con gli ideali di un tempo e non intralcino una legittima diversa altrui visione delle cose. Soprattutto progetti di formazione e aggiornamento professionale per i giornalisti italiani con particolare riferimento all’etica ebraica dell’informazione e della comunicazione.

Cosa risponderesti ai commenti apparsi su queste vicende nell’ultimo numero di Ha Keillah?
Non sono certo io che devo aggiungere qualcosa. Inviterei tutti, a cominciare da me stesso, semplicemente a guardare avanti, a non svilire quel clima di intesa intelligente, di solidarietà e trasparenza che ha sempre caratterizzato i momenti migliori della storia ebraica italiana. La luce del giorno è già così impietosa quando illumina la realtà dei fatti. Il disagio e la demotivazione così enormi. Di fronte a un tanto le parole non possono aiutarci. Prima che sia troppo tardi bisogna mettere in campo l’impegno, la professionalità, esporsi con il coraggio delle proprie scelte.

Alla fine di questo importante percorso cosa ti porti di positivo e cosa di negativo dall’esperienza conclusa?
La stima e la fiducia dei colleghi, dai quali, condividendo giorno dopo giorno valori, responsabilità e risultati, ho imparato molto, dal punto di vista professionale e da quello umano. L’amicizia dei numerosi collaboratori esterni che hanno donato negli anni il loro impegno. Questo è quello che per me conta, il resto non mi interessa.

Quale futuro vedi per la stampa ebraica? Cosa andrebbe potenziato?
La realtà ebraica italiana ha l’urgente bisogno di recuperare la capacità di parlare alla società. Chi si illude che si possano fare giornali ebraici riempiendo le pagine di uno spezzatino di notiziole, solleticando in particolare allarmismi scoordinati, vittimismi, ansie, pericolose altalene fra vacue arroganze e tentazioni depressive, non fa solo giornali illeggibili. Rende anche un pessimo servizio alla collettività ebraica.
Attraverso i giornali gli ebrei italiani devono intervenire per tutelare la propria autorevolezza, la propria sicurezza e anche per procurarsi le risorse necessarie al funzionamento delle proprie istituzioni. Investire su mezzi di comunicazione professionali (e su professionisti seri e onesti che li realizzino), capaci di veicolare significati e aperti alla società, è determinante.
Disinvestire da questo fronte è a mio parere un grave errore e rischia di sprigionare conseguenze catastrofiche.
I dati resi noti dal Ministero delle Finanze sulla raccolta dell’Otto per mille dimostrano come di recente la percezione della minoranza ebraica, che toccava i suoi massimi storici solo pochi anni fa, si sia praticamente dimezzata. Sono numeri di pubblico dominio e fatti sotto gli occhi di tutti coloro che li vogliono vedere. E non significano solo mezzi economici che verranno a mancare, compromettendo la sostenibilità delle istituzioni e dei servizi, ma anche e soprattutto minore capacità di raggiungere con un nostro messaggio convincente la società di cui vogliamo essere componente essenziale. Eppure, nella ridondante girandola di conferenze, incontri e convegni cui siamo abituati ad assistere, nel fiume di parole che dedichiamo a blandire, a deprecare, ad autocelebrare, ma più raramente a proclamare la gioia dei nostri valori, non riesco a ricordare nei tempi recenti anche solo un momento di riflessione su questo tema.

Quali sono i temi più delicati da affrontare in un giornale che rappresenta l’UCEI? La politica nazionale, quella internazionale o quella israeliana in particolare?
Essere capaci di distinguere il dovuto rispetto dall’ossequio e dal servilismo è la principale sfida da affrontare.
Lo si può fare, nei nostri rapporti interni e nel nostro rapporto con il mondo, se si rispetta rigorosamente l’autorità e le diverse sfere di responsabilità, sentendosi contemporaneamente al servizio della collettività, e non di questo o quello a seconda delle stagioni e delle opportunità.
L’unico tema davvero delicato è riuscire a stare dalla parte del lettore, ad assumersi, ciascuno per le proprie competenze, la responsabilità delle nostre scelte e della nostra identità.

Quali rapporti dovrebbero intercorrere tra Consiglio UCEI e direzione di Pagine Ebraiche? Possono essere completamente indipendenti?
Il potere politico deve necessariamente conservare il pieno controllo degli indirizzi strategici e ideologici dei giornali pubblicati dalle istituzioni ebraiche italiane.
I giornalisti professionisti devono perseguire gli obiettivi indicati e ovviamente assumersi la piena responsabilità del proprio operato. Le due sfere d’azione comportano poteri diversi e responsabilità diverse che devono integrarsi, ma mai sovrapporsi. Se questo equilibrio non viene raggiunto, non possono nascere giornali efficaci, ma solo bollettini di parrocchia. Abbiamo bisogno di editori consapevoli e orgogliosi di fare gli editori e di giornalisti responsabili e sereni.
È un risultato a portata di mano, anche se oggi sembra lontano. Non è un sogno impossibile. E raggiungerlo significa portare un contributo importante alla salvaguardia degli interessi e dei valori dell’ebraismo italiano.
Il lavoro editoriale, se esercitato correttamente, è un ruolo di altissima responsabilità sociale.
I percorsi degli ebrei italiani sono a volte, lo sappiamo tutti molto bene, tortuosi e contraddittori. In oltre due millenni non sono mancati gli inciampi, ma gli ebrei italiani hanno sempre dimostrato la capacità di correggere il tiro, di aprire presto o tardi gli occhi e di salvaguardare il segreto della loro sopravvivenza.
Penso che prima o poi avverrà anche questa volta e il futuro ci consentirà di sfogliare pagine dove valori, impegno professionale per l’informazione e libertà d’espressione troveranno nuovamente il giusto riconoscimento.

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