di Manuela Dviri
Questa guerra che dura ormai da quasi due mesi, fin dai primi giorni ci ha rivelato, se mai ce ne fosse stato alcun dubbio, quanto sia importante la convivenza tra noi ebrei di Israele e gli appartenenti ad altre culture e religioni. “Questa guerra non distingue tra musulmani, ebrei e cristiani” dichiara l’ufficiale beduino Hussein Fuàz. “Tra gli ostaggi c’è una intera famiglia di Rahat, Yosef, Aisha, Hamza e Belal El Ziadna”.
Aisha, l’unica donna, è diventata per me una presenza costante da quando tra le centinaia di foto della piazza Dizengoff davanti alle quali sono passata tutti i giorni per andare a fare la spesa, ho visto per la prima volta anche la sua, ovale perfetto, occhi scuri, capo coperto. 17 anni. Tra gli ultimi ostaggi a tornare da Gaza nel gruppo dei bambini c’è stata anche la mia Aisha e c’è suo fratello Bilal. A Gaza sono rimasti il fratello maggiore Hamza, e il padre Yousuf, padre di 18 figli e innumerevoli nipoti. Aisha si era appena fidanzata. Era stata rapita mentre portava l’hijab, ha affermato uno zio, non potevano non sapere che fosse musulmana, parla arabo. Come hanno potuto? Ma un israeliano è un israeliano, che sia ebreo, musulmano, druso o cristiano. Al ritorno si abbracciano disperati con uno zio, Aisha si stringe al capo un fazzoletto bianco e poi si copre con il cappuccio di una giacca a vento, nascondendosi nell’abbraccio.
Abu Alarar, padre di nove figli, il più piccolo di pochi mesi, piange soprattutto i 19 morti e la moglie, Fatma. Alla emittente Kan 11 racconta che era stata ferita da cinque pallottole e che, conscia di stare morendo, ha recitato tre volte la shahada, la testimonianza di fede con cui il musulmano dichiara di credere in un solo e unico Dio (Allah) e nella missione profetica di Maometto. La terza volta è spirata, tra le braccia il figlioletto ferito. “Eppure sapevano che siamo musulmani come loro. Per il musulmano uccidere donne e bambini è proibito, non potevano non capirlo, mia moglie era una donna devota, con il capo coperto. Alla fine, mi sono nascosto con il bambino per cinque ore, finché sono arrivati i soldati e gli ho urlato sono un israeliano, aiutatemi.
Un altro beduino ha invece aiutato a salvarsi una trentina di giovani del rave con un grande atto di eroismo. È l’autista di minibus Yousuf El Zianda, parente degli ostaggi e della stessa loro tribù. “Venerdì li avevo portati al rave, alla festa” racconta “e mi avevano chiesto di andare a prenderli alla fine della festa. Mi hanno richiamato di sabato, la mattina presto e di andarli a prendere perché erano sotto una pioggia di razzi. Abito a circa mezz’ora dal luogo, e mi sono messo in moto. Ho visto la morte negli occhi ma gli avevo promesso di portarli via, e alla fine ne ho portati via ben 30 ammassati nel mio minibus, ero l’unico, in quel momento, che lo potevo fare, e l’ho fatto”.
Chi sono questi beduini? chi sono i nostri beduini? Quando, tra il 1948 ed il 1949, Israele si trovò a combattere la sua prima guerra, la “Guerra d’Indipendenza” vivevano a sud del Peese tribù beduine da più di seicento anni, vi erano arrivati dall’Egitto o dall’Arabia Saudita. Quando finì la guerra di indipendenza accettarono la sovranità israeliana, inviando anche i propri uomini a combattere al fianco dell’Haganah. Da allora i beduini del Negev hanno visto riconosciuto il proprio status di cittadini. La discussione tuttora in atto tra i beduini israeliani e il governo rimane da allora sul modo di vita, dalla vita nomade al passaggio in città. Ad ora i beduini continuano a vivere con le proprie regole, tra cui la bigamia che in Israele non è permessa. Le ultime ricerche hanno tra l’altro dimostrato che la bigamia è dannosa anche perché crea problemi di povertà. E che più sale il livello di istruzione più migliora la qualità della vita dei bambini e scende la poligamia. I più istruiti diventano ottimi medici, infermieri, insegnanti, padri e madri di famiglia. Un certo numero, circa il 5%-10% dei maschi abili al combattimento, viene arruolato ogni anno nel ‘IDF. Purtroppo, decenni di sostanziale disinteresse politico, mancanza di investimenti e anche la natura stessa del beduino, le sue regole interne e le sue tradizioni, fanno sì che i beduini di Israele rappresentino tuttora il settore più povero del paese.
Per questo trovo importante rimboccarci le maniche e dare un aiuto fisico, concreto e reale, a una delle sette tribù del Neghev, e a uno dei villaggi. Situato nel Negev nordoccidentale, Abu Qrenat è di grandezza media, e conta circa 4000 abitanti, di cui circa il 60% bambini sotto i 18 anni. Molti di loro servono nell’esercito e nella polizia o insegnano. Il loro passaggio dalla vita nomade a quella moderna è rapido e per farlo avvenire l’istruzione è la parola chiave. Per questo vedo come un dovere morale, da parte mia, da parte nostra, aiutarli nel passaggio. La loro presenza è parte integrante del complicato mosaico che è il nostro paese e lo rende unico al mondo, anche in queste ore così difficili.
Tel Aviv, 21/12/2023
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