di Paola Abbina

“Stop! Adesso! Noi madri dei soldati israeliani chiediamo la fine dell’inutile guerra a Gaza”

L’appello è di Noorit Felsenthal Berger, psicologa e madre di un soldato in servizio a Gaza.

È membro di un movimento di genitori di soldati che dopo un breve periodo di appoggio alla Guerra subito dopo il 7 ottobre, ora si oppone a quella che si è trasformata in una trappola mortale per tutti i ragazzi coinvolti, senza uno scopo chiaro e definito se non gli interessi personali del governo.

Sostengono che una risposta militare fosse inevitabile nel periodo immediatamente successivo al terribile attacco di Hamas contro Israele. Ma ora, senza una soluzione politica negoziata all’orizzonte, e senza un accordo vicino alla liberazione degli ostaggi, sempre più soldati vengono uccisi e feriti ogni giorno. E anche se non fa notizia in Israele, ci sono anche molti civili palestinesi che soffrono e muoiono ogni giorno.

È un appello al Gabinetto della Difesa firmato da 900 genitori di soldati in servizio attivo a Gaza e da più di 2.000 sostenitori, ma senza alcuna risposta.

Sono madri di soldati, sia riservisti sia di leva. Chi mandato direttamente a Gaza, chi nei kibbutzim distrutti, chi a supportare i superstiti, chi a salvare vite umane. Tutte missioni più che nobili. Chi ha perso un figlio e chi intere unità di combattenti. Chi infine torna mutilato nel fisico e nella mente.
Vivono in un continuo stato di terrore e ansia, senza dormire e senza respirare, con la paura che un colpo alla porta venga ad annunciare la tremenda notizia, proprio come racconta David Grossman nel libro “A un cerbiatto somiglia il mio amore”. È un movimento nato per alleviare la situazione di chi sta vivendo queste stesse tragiche esperienze dandogli un sentimento di sostegno e un modo per essere attivi.

Noorit Felsenthal Berger è una psicologa che sta curando i bambini evacuati dalle loro case, vuoi perché distrutte, vuoi perché ormai sono orfani di tutto e tutti. Ed oggi il trauma è un’esperienza diffusa in tante famiglie israeliane.

Il trauma fa sentire senza parole e senza voce un’esistenza quotidiana infinita in modalità sopravvivenza, senza alcun senso del futuro. E questa guerra ha messo in discussione il significato fondamentale della maternità, quello dell’obbligo della madre di proteggere i propri figli.

“Quando abbiamo visto la guerra come inevitabile fin dal suo inizio, abbiamo fatto del nostro meglio come madri per sostenere i nostri figli e le nostre figlie che andavano a combattere. Ma oggi sentiamo come madri il sacrificio inutile di una guerra senza fine. Non possiamo restare in silenzio, dobbiamo dare voce alle nostre convinzioni. I soldati a Gaza stanno facendo il loro dovere, il nostro obbligo come madri è dare voce alle loro preoccupazioni”.

La madre di Jonathan, Sharon, 53 anni, ha detto che ci sono stati “giorni davvero difficili in cui piangevo tutto il tempo”. Ma “c’è davvero un limite a quanto puoi piangere”, ha detto. Per alleviare i nervi ha partecipato a sessioni settimanali con altri genitori per chiedere e dare sostegno reciproco

Già dall’inizio di giugno questo gruppo si raduna davanti alla casa del ministro della Difesa Yoav Gallant ad Amikam, a nord di Tel Aviv, per chiedere la fine della guerra.

“I genitori dei soldati gridano ‘basta’”, si legge su striscioni e magliette dei presenti alla protesta. “Mio figlio è un soldato e fa quello che i suoi comandanti gli dicono di fare”, ha detto una manifestante di 58 anni, chiedendo l’anonimato per esprimere liberamente le sue opinioni sul conflitto. “L’inizio della guerra era giusto, ma ora non più”, ha aggiunto. “Questa guerra deve finire… Hamas è un movimento ideologico. Non è possibile eliminare un movimento ideologico”, si continua a sostenere.

E ancora, Lital, che si è unita alla protesta preoccupata per suo figlio, ha detto senza mezzi termini che “tutti amano questo paese, anche i soldati, che però sono molto, molto stanchi ed esausti, e non sono più al meglio”.

È la prima volta che Israele si trova a combattere una guerra così lunga e intensa e i genitori, madri e padri, gridano: Stop!

Israele ha richiamato circa 360.000 riservisti e questa mobilitazione di massa ha sconvolto le famiglie in tutto il Paese.

L’esercito israeliano è un esercito del popolo ed è il fondamento della società, e il servizio obbligatorio è un rito di passaggio per la maggior parte dei giovani israeliani, sia uomini che donne, sebbene solo un piccolo numero di donne presti servizio nelle unità combattenti. Più di una dozzina di madri hanno affermato nelle interviste che, anche se i loro figli erano stati addestrati in ruoli di prima linea come cecchini, paracadutisti e commando, non si sarebbero mai immaginati di far crescere dei guerrieri, e né si aspettavano che i loro figli dovessero combattere una guerra in piena regola dopo che Israele aveva raggiunto accordi di pace con diversi paesi arabi, dopo che la normalizzazione con l’Arabia Saudita stava progredendo e gli israeliani andavano in vacanza in Giordania, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

E “infine”, mentre tutti dicevano di essere orgogliosi dei propri figli -musicisti, avvocati, chirurghi, o imprenditori di successo- molti esprimevano sgomento per il fatto che potessero togliere la vita ad altri.

Haifa, 19 giugno ‘24

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