In memoria dei suoi ebrei deportati
di Colette Menasce
Rebecca osservò la sua pronipote e le domandò: “kuando ven tua mamá dal Mandraki?…Hijo kero komer”* [quando torna tua mamma dal mercato? …Io vorrei mangiare]. Melody sorrise dolcemente alla sua bisnonna e le rispose: “Non ti preoccupare, sarà presto qui”. Con l’appetito che le aumentava, Rebecca ripeté nuovamente la sua domanda, e la pronipote sorrise di nuovo. Amava passare il tempo con sua bisnonna ad ascoltare le storie della sua lunga vita vissuta: fluivano scorrevoli dalla memoria della anziana donna, racconti di tempi semplici e di suoni e profumi che sono scomparsi. Poteva mai esserci stata un’epoca, qui nell’isola di Rodi, dove abbiano potuto convivere in armonia con così tante popolazioni differenti?
Un tempo si poteva sentire cinque volte al giorno la chiamata alla preghiera dalle diverse moschee, mentre oggi, camminando per le strade della Città Vecchia, siamo assaliti dozzine di volte da “volete bere qualcosa? …qualcosa da mangiare? …sedete qui, accomodatevi!”
Mentre passeggio per i vicoli dell’isola greca di Rodi con le mie figlie adulte e mi soffermo dentro e fuori dai negozietti, osservo gli antichi mosaici pavimentali fatti di pietruzze bianche e nere los sheshos, assemblate con amore a formare scudetti, stemmi, animali del posto. Non posso dimenticare che i nostri progenitori un tempo camminavano nei medesimi vicoli per andare al lavoro, al mercato, alla sinagoga, al mare. C’era un tempo in cui le strade erano fiancheggiate dalle attività commerciali necessarie a sostenere una fiorente comunità, mentre oggi sono fiancheggiate da ristoranti turistici e negozietti di souvenir. Oggi noi lavoriamo nell’altra metà del globo per guadagnare quei soldi che ci permettono di viaggiare, arrivare fin qui a ricordare ‘los muestros’ [i nostri] e cercare di immaginare come fosse vivere nella Comunità Ebraica di Rodi, che è stata sterminata ottant’anni fa, nel luglio del 1944. Era una comunità che viveva in armonia con gli Italiani, i Greci e i Turchi scambiandosi le lingue, i cibi e persino i costumi.
Oggi chiamo ‘casa’ Montreal: una fra le cose che amo di più vivendo in questa città è che nell’arco di pochi istanti, puoi sentire una moltitudine di lingue, una società veramente multiculturale. Purtroppo, viceversa, viviamo in un mondo di crescenti populismo e intolleranza.
Un viaggio fortemente emotivo
Sono rientrata a Montreal esattamente quando cominciavano i Giochi Olimpici estivi di Parigi e, durante tutto lo svolgimento dei 19 giorni di gare, ho riflettuto a lungo su cosa scrivere circa questo nostro viaggio a Rodi.
Eravamo lì per la commemorazione dell’ottantesimo anniversario della deportazione dei miei nonni assieme agli altri 1730 ebrei arrestati a Rodi, cui vanno aggiunti gli 85 dell’isola di Kos. Più di 1800 uomini, donne e bambini di tutte le età furono tradotti verso Auschwitz-Birkenau. Cosa si può scrivere su qualcosa di così personale e orribile che ha cambiato la traiettoria delle vite di così tante famiglie? Circa il 90% degli ebrei di Rodi e Kos presenti allora nel Dodecaneso sono stati uccisi nei lager. Quello che successe a Rodi nell’estate del 1944 è avvenuto in una miriade di altri villaggi e città d’Europa, svuotati della loro popolazione ebraica dal regime nazista, così come dai Rom-Sinti, dai dissidenti politici e dagli omosessuali.
Quando sono rientrata, tutti i miei familiari e amici mi hanno domandato “Come è andato il tuo viaggio?” La mia risposta naturale è stata “fantastico!” Ma, al medesimo tempo, ha fatto emergere in me così tante emozioni a più livelli. Mio padre dipingeva Rodi come l’isola del paradiso, ed in effetti ci sono 300 giorni di sole splendente all’anno, magnifiche spiagge con limpide acque cristalline, una piacevole brezza insulare, nonché meraviglie architettoniche. Ma occorre essere chiari: quando nacque lì nel 1917, il mondo non aveva la televisione, non i computer e relativi giochi, non gli smartphone, non gli aerei, nessuna distrazione, tanto meno lo stress, comune oggigiorno alla maggior parte di noi.
Mi viene in mente, alla volta del terzo millennio, quando le nostre figliole ci domandavano se la vita della nostra infanzia fosse migliore o peggiore negli anni ’60-’70 rispetto alla loro. Mio marito ed io ci abbiamo pensato un attimo e le abbiamo risposto “fu migliore per noi”; compresero e condivisero.
Andando più indietro nel tempo, quando mio padre era un ragazzo a Rodi, le tradizioni e i valori etici regolavano la routine quotidiana, rendendo tutto più semplice. D’altro canto, quelle stesse tradizioni erano quelle per cui le donne dovevano stare a casa, sposarsi con chi decidevano i genitori, e non erano ammesse né in sinagoga né a seguire i funerali; non c’era l’aria condizionata, il forno a microonde, il tostapane e la macchina lavatrice.
Ci siamo riuniti per ricordare la deportazione degli ebrei di Rodi, per ciò che è avvenuto, storicamente definito come il più lungo, interminabile e terribile viaggio verso un campo di concentramento della Seconda Guerra Mondiale: circa un mese fra l’arresto, la traversata in battello e il viaggio stipati nei carri bestiame fino a Birkenau. Molti fra noi riflettevano circa la nostra grande fortuna di poter viaggiare migliaia di chilometri in aereo in meno di un giorno, scendere in lussuosi hotel, partecipare ai tanti eventi organizzati come questo, ed essere spostati con pullman dotati di aria condizionata, sorseggiare fresche bevande e gustare cibi sopraffini preparati da abili chef. È difficile conciliare le emozioni di onorare i nostri avi assieme al netto contrasto di una splendida vacanza.
Gli eventi per l’ottantesimo anniversario della deportazione
Claudia Restis, Carmen Cohen e Magda Georgiopoulou della Comunità di Rodi hanno pianificato l’intera settimana coinvolgendoci sia nella mente che nelle emozioni. Duecentocinquanta persone sono arrivate da tutti gli angoli della Terra, ma probabilmente per una persona in particolare è stato nuovamente il viaggio più penoso: Sami Modiano, uno fra i pochissimi rodioti sopravvissuti al lager. Torna nell’isola ogni estate da Ostia dove vive. Sebbene si trovi a due passi da Fiumicino, il suo viaggio, ogni volta, ricomincia da Birkenau, dove scomparvero suo padre e sua sorella. Si siede all’ingresso della sinagoga, ogni giorno, per tutta l’estate, ed è un faro di speranza. Trascorre il tempo lì a raccontare a tutti i visitatori la sua storia, la nostra storia; così come ha pronunciato alle mie figliole le sue profonde parole: “Voi siete il futuro, e i vostri futuri figli devono poter vivere in un mondo di inclusione e armonia, affinché tutto ciò non succeda nuovamente”. I loro occhi si sono commossi e hanno compreso di aver incontrato un uomo davvero speciale. Dobbiamo condividere con lui il fardello del testimone che ci ha trasmesso e dovremo presto farcene carico senza il suo supporto.
Si sono tenute conferenze, seminari, concerti, corsi di cucina, visite guidate alla Juderia, visioni di documentari, sopralluoghi al cimitero, i riti del Shabbat, oltre alla cerimonia ufficiale, quando si sono accese le candele per commemorare tutti i sei milioni di vittime della Shoah. Gli eventi si sono conclusi con la commemorazione nella vicina isola di Kos.
Ho lasciato Rodi un giorno prima della commemorazione ufficiale, per cui ho perso la deposizione della corona. Durante quell’evento – mi è stato riferito – è stata scoperta una targa in onore del defunto primo sindaco di Rodi, dopo l’occupazione italiana, Gavriel Charitos. Fu lui che propose di denominare la piazza della Juderia “piazza dei Martiri Ebrei”; era denominata “la kaya ancha”, semplicemente ‘la via Larga’. La targa è stata consegnata al figlio di quel sindaco e il nipote è stato l’oratore principale dell’evento.
La Storia Di Rodi
Rodi era un’isola collocata al centro degli scambi commerciali e aveva un arsenale per le costruzioni navali; ha giocato un importante ruolo nelle rotte del Mediterraneo durante i secoli. Fu governata dall’Impero Romano, da quello Ottomano e Bisanzio, dalla Grecia, da Genova, dai Cavalieri di Malta; nel 1912 l’Italia occupò Rodi, che rimase sotto dominio italiano fino alla caduta di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre 1943, allorquando i nazisti presero il controllo dell’isola, sconfiggendo e arrestando le guarnigioni italiane di stanza. Alla fine della guerra la Gran Bretagna governò l’isola fino al 1947, quando fu annessa alla Grecia; seimila coloni italiani furono espulsi e fecero ritorno in patria.
Ma cosa c’entra il palazzo del Gran Maestro, le mura fortificate e le loro grandiose undici porte con la nostra amata “Juderia” dove i nostri antenati lavoravano e vivevano? Quale Sito del Patrimonio Mondiale Unesco, Rodi è la nona Maggiore isola del Mediterraneo, con una popolazione di circa 100.000 abitanti; qui arrivano grosso modo cinque milioni di visitatori ogni anno: devono comprendere dove si trovano, che noi si esisteva, cosa ci successe.
La storia della mia famiglia
Siamo fortunate che i nostri nonni e bisnonni ebbero l’idea, la forza e l’opportunità di mandare via i propri figli attraverso gli oceani, fuori pericolo. Nel caso dei miei nonni, accadde a mio padre per assicurargli la prosecuzione degli studi, dopo che le leggi razziste italiane gli avevano impedito di proseguire la frequenza dell’università. Misero in sicurezza anche gli altri due figli adolescenti, uno da uno zio in Congo belga e il più giovane presso la sorella più anziana che era già residente a New York.
Ma perché i miei nonni rimasero e non raggiunsero i loro figli? Mio nonno era il solo farmacista della città di Rodi, e serviva non solo la comunità ebraica, ma tutti gli abitanti e non volle abbandonare la città, privandola del servizio essenziale.
Ricordare le proprie radici
Grazie alla determinazione di un avvocato di Los Angeles, discendente rodiota di terza generazione, nel 1997 è stata costituita la ‘Rhodes Jewish Historical Foundation’ ed è stato aperto un museo fotografico che narra la storia del nostro popolo. La Fondazione raccoglie vecchie fotografie e oggetti storici donati dalla diaspora rodiota e molti di essi sono stati esposti. Nel 2001 Bella Restis è divenuta presidente della Comunità, e ha accresciuto l’esposizione: era iniziata utilizzando due locali di preghiera adiacenti alla sinagoga; ne sono stati aggiunti altri quattro. La figlia di Bella, Claudia, è stata eletta presidente nel 2022 e il Museo è ora entrato nell’era digitale con diverse testimonianze di sopravvissuti le cui parole pesano come macigni su ciascun visitatore.
Proprio in occasione degli eventi di quest’anno, è stato inaugurato un restiling generale. Aron Hasson, l’avvocato che ha fondato il Museo 27 anni fa, ha parlato della passione “di preservare la storia degli Ebrei di Rodi attraverso progetti di collaborazione”, che riflettano gli obiettivi primari dell’istituzione, cioè “di rafforzare l’apprezzamento del pubblico, la conoscenza e la comprensione della cultura, del patrimonio e della storia ebraica”.
Il Museo continua a servire i propri obiettivi e crescere sotto gli auspici della Comunità Ebraica di Rodi, le cui entrate derivano dalla vendita dei biglietti d’ingresso, le vendite di oggetti e souvenirs, le visite guidate, le cerimonie dei matrimoni e dei bar-mitzvah che si organizzano, nonché dalle donazioni.
La storia si ripete… speriamo di no
Quando camminiamo per le strette vie della città vecchia, troviamo ancora edifici abbandonati che furono bombardati durante la guerra e mai ricostruiti. Probabilmente non vi fu alcun reduce di quelle famiglie a reclamarne il possesso. Quali furono i loro nomi? Quali le loro passioni? Ciascuno era differente, individui con speranze e sogni.
Alla chiusura della cerimonia dei Giochi Olimpici il Presidente del CIO Thomas Bach ha parlato agli atleti: “vi siete abbracciati, vi siete rispettati, anche quando le vostre nazioni sono contrapposte da guerre e conflitti. Avete creato una cultura di pace”. Bach ha sottolineato che loro sono d’ispirazione e “ci fanno sperare in un mondo migliore per tutti”; questi giochi Olimpici sono stati più inclusivi e sono stati “i primi con la piena parità di genere”. Non dobbiamo mai perdere la speranza, perché senza speranza non abbiamo nulla. Mentre guardiamo alle prossime elezioni americane, Michelle Obama ha detto saggiamente, “Non dobbiamo sprecare i sacrifici che i nostri anziani hanno fatto per darci un futuro migliore.”
Purtroppo, la nonna Rebecca citata all’inizio di questo articolo non ha mai avuto la possibilità di conoscere Melody (la più giovane delle mie due figlie), non ha avuto la possibilità di divenire anziana, raccontare le proprie storie, o ripeterle a sé stessa. La sua vita fu interrotta quel 16 agosto quando si trovò fra i binari di Birkenau dopo due settimane di viaggio nei carri bestiame coi cani che le abbaiavano contro.
Vorrei concludere con i versi immortali di John Lennon:
IMAGINE
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one.
Montreal, agosto 2024, Traduzione di Fabio Lopez
*Le parti in lingua romanza nel testo non sono in spagnolo, ma in judezmo, poiché gli ebrei di Rodi, come altri discendenti di ebrei espulsi dalla penisola iberica nel 1492 e insediatisi poi in Grecia, Balcani e Turchia, parlavano questa lingua.
Le foto sono state gentilmente concesse dalla Comunità Ebraica di Rodi.