di Emilio Hirsch

Il film Berlinguer – La grande ambizione, diretto da Andrea Segre, riesce a emozionare profondamente, evocando non solo il ricordo di un’epoca passata ma anche una riflessione intensa sulle sfide politiche e sociali che, seppur appartenenti alla Storia con la “S” maiuscola, continuano a risuonare con l’attualità.

Guardarlo ha significato per me tornare agli anni della fanciullezza con lo sguardo maturo del presente, un’esperienza al contempo nostalgica e turbante. La consapevolezza che quel mondo non tornerà mai più lascia un senso di vuoto, amplificato dalla constatazione che molte delle questioni centrali nella vita politica di Enrico Berlinguer rimangono ancora aperte e irrisolte.

Segre, pur non avendo vissuto in prima persona molti degli eventi narrati, riesce a restituire con maestria un coinvolgimento emotivo profondo. Il film cattura il distacco da Mosca perseguito da Berlinguer, rivelando una Russia che, sotto il pretesto del “socialismo reale”, dimostrava una natura egemonica e violenta, disposta persino ad eliminare un leader politico scomodo per il proprio progetto di dominio. Quella stessa aggressività, privata ormai della veste ideologica socialista, sembra oggi riproporsi in altre forme, testimoniando una continuità inquietante.

Berlinguer emerge nel racconto come un intellettuale di rara lucidità, capace di vedere nella via sovietica un vicolo cieco e di cercare alternative concrete. La narrazione ci trasporta poi negli anni bui del terrorismo brigatista e della delicata costruzione del compromesso storico con la Democrazia Cristiana. Il film non offre spiegazioni dettagliate sul rapimento di Aldo Moro, ma restituisce con precisione il clima tragico e incerto di quei giorni, che ha segnato profondamente la coscienza politica di una generazione, me compreso.

La pellicola ci invita a riflettere sull’importanza di opporsi con fermezza a ogni forma di violenza, anche quando questa si maschera da mezzo per raggiungere un’utopia condivisa. Allo stesso tempo, suggerisce la necessità di affrontare i dilemmi politici con il coraggio di scelte difficili, rifiutando compromessi che potrebbero infrangere i principi fondamentali della democrazia. Il film ci lascia commossi quando percepiamo la tragedia della scelta di non trattare con i rapitori, di combattere l’eversione terrorista con armi della moderazione e del profondo senso di salvaguardia dei valori e delle istituzioni di una democrazia che in Italia allora aveva solo poco più di trent’anni.

Proprio attraverso questo intreccio tra memoria storica e scelte morali, il film ci offre strumenti preziosi per comprendere meglio il presente, aiutandoci a cogliere i segnali di continuità tra quelle vicende e le sfide attuali. Particolarmente significativo, in questo senso, è il modo in cui documenta dettagli come l’apparire delle prime kefieh tra i giovani militanti di sinistra, simbolo di un crescente sostegno verso movimenti del Levante, spesso lontani dai valori democratici e dialoganti. Questa svolta è raccontata nel contesto di un’Europa fortemente influenzata dagli schieramenti della Guerra Fredda, con una Russia che, nonostante il distacco voluto da Berlinguer, continuava a esercitare un peso determinante.

Allo stesso tempo, il film offre uno spaccato intenso del fermento culturale che animava l’Italia di quegli anni, in particolare nel mondo operaio. Nonostante la forte contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori, spesso declinata in una lotta di classe influenzata dall’emigrazione interna dal sud al nord, emerge il desiderio diffuso di emancipazione culturale. Una scena particolarmente significativa e commovente mostra un gruppo di operai che chiede a Berlinguer il consenso per aprire un centro culturale, un gesto che simboleggia l’anelito a superare l’ignoranza e migliorare sé stessi attraverso l’educazione. Questo momento, così ricco di significato, risuona con forza soprattutto oggi, in un contesto storico in cui il conservatorismo sembra prevalere e la spinta al progresso culturale è spesso trascurata. È un richiamo potente all’importanza della crescita personale e collettiva, valori che Berlinguer ha sostenuto e incarnato con il proprio esempio.

Segre e il suo cast meritano un plauso per aver offerto uno sguardo realistico e potente su un passato che, pur vicino nel tempo, sembra oggi tanto distante. Per i più giovani, probabilmente la visione avrà un impatto diverso, ma credo che un’opera quasi documentaristica come questa rappresenti un ponte fondamentale per tramandare il vissuto di chi quell’epoca l’ha attraversata.

Grazie a questo film, ho potuto rivivere un filo che ha intrecciato molte vite, fornendo risposte e suscitando nuove domande su un passato che continua a parlare al presente.

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