di Giorgio Gomel

 

Nel rapporto con Israele, gli ebrei in Italia, così come altrove, sono uniti nella difesa del suo diritto irrinunciabile di esistenza come popolo e come stato, in pace e sicurezza, riconosciuto e integrato nella regione, ma si interrogano angosciosamente e spesso si dividono aspramente circa le azioni
dei suoi governi.
Questo pluralismo di opinioni è un valore essenziale da preservare. È importante liberarsi della falsa idea che lottare in difesa di Israele o contro l’antisemitismo esiga il sostegno acritico e indifferenziato alle scelte dei suoi governi. In molti ebrei vi è un istinto difensivo a negare a sé stessi che Israele sia colpevole di errori e malefatte nel conflitto che lo oppone ai palestinesi. Questa posizione – che io ritengo sbagliata, inaccettabile – trova però un substrato psicologico nella memoria della persecuzione e nel risorgere odierno dell’antisemitismo. Il senso di solitudine, talora solipsistica, che questo alimenta spinge alla difesa dell’operato di Israele, comunque sia.
La mia opinione è, invece, che gli ebrei della Diaspora, pur non essendo cittadini di Israele e votanti nel paese, abbiano il diritto-dovere di esprimere il loro dissenso allorché ritengono che la politica di Israele sia sbagliata o autodistruttiva per il futuro stesso del paese. Per esempio, che sia necessario per Israele giungere a un accordo di pace con i palestinesi, pagando il prezzo che esso imporrà; che sia una necessità vitale per Israele sgomberare buona parte degli insediamenti in Cisgiordania e consentire la nascita di uno stato palestinese anche per assicurare un suo futuro di stato democratico a maggioranza ebraica. L’atteggiamento che propugno unisce rassicurazione e critica: rassicurazione al popolo e allo stato di Israele della solidarietà fattiva della Diaspora; critica agli atti dei suoi governi, quando il rifiuto di un compromesso con i palestinesi, il ricorrere al solo strumento della repressione militare del terrorismo, lasciano presagire un futuro di perpetuo conflitto tra i due popoli.
È però del tutto illecito che parte dell’opinione pubblica, spesso nella sinistra, non distingua tra ebrei e Israele, accusando i primi di silenzio, criticando Israele in modo manicheo e chiamando gli ebrei a dissociarsi pubblicamente da esso in quanto correi.  Un atteggiamento che ha avuto, inoltre, gravi conseguenze sul piano politico, inducendo parte del mondo ebraico, in Italia così come in altri paesi, a ricercare la protezione di alleati impropri e opportunistici nella destra politica o tra i cristiani
integralisti, in nome del sostegno a Israele e della comune ostilità all’Islam. Un processo acuito da recenti comportamenti del governo di Israele nelle sue aperture a partiti dell’estrema destra xenofoba in paesi europei (Francia, Spagna, Svezia) che rischiano di provocare fratture fra Israele e le comunità ebraiche in quei paesi, sensibili ai principi della democrazia e della tutela delle minoranze.


 

Il 26 febbraio è stato pubblicato su La Repubblica e il Manifesto un appello, sottoscritto da più di 200 firmatari, con il seguente testo:

Trump vuole espellere i palestinesi da Gaza. Intanto in Cisgiordania procede la violenza del governo e dei coloni israeliani.

Ebree ed ebrei italiani dicono NO alla pulizia etnica, l’Italia non sia complice.

La pubblicazione dell’appello ha suscitato un acceso dibattito: si sono letti e ascoltati apprezzamenti e critiche, anche feroci, su giornali, radio, tv e social media.

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