di Emilio Jona

 

 È passato il Giorno della Memoria e l’ho celebrato da vecchio, privatamente e non più come per il passato in pubbliche cerimonie.  Intanto i giorni della guerra a Gaza oggi sono diventati 489, ce lo ricorda con puntigliosa quotidianità Haaretz. In questo lasso di tempo Israele è stato il pensiero dominante di tanti spettatori lontani e partecipi, critici e disperati che hanno con quel paese legami profondi, parenti che ci vivono, nipoti o pronipoti sotto le armi, che hanno avuto amici morti o feriti nella mattanza del 7 ottobre del 2023.

È dunque da centinaia di giorni, lo ricordava Gad Lerner, che siamo costretti a confrontare il Giorno della Memoria con questa data e con quanto ne è seguito. Le due vicende sono incommensurabilmente diverse per origini, cause, entità ed esiti, eppure si parlano, mentre non si può dubitare che quella data memoriale interferisca fatalmente su questa serie ormai ininterrotta di 17 mesi di punizione collettiva inferta dagli israeliani ai palestinesi senza distinzione tra innocenti e colpevoli in risposta ad un pogrom di proporzioni e di ferocia inaudite. Il nesso purtroppo non è eludibile e noi siamo chiamati a prenderne atto e a darne conto.

In questo contesto si discute accanitamente per stabilire se la vendetta israeliana sia o meno un genocidio, quando sarebbe più che sufficiente parlare di gravissimi crimini di guerra, commessi dall’una e dall’altra parte, non dissimili da quelli di tante guerre del passato. Quanto a quelli posti in essere da Hamas penso siano più vicini a intenzioni genocidarie[1], mentre è certo che, con la loro reazione spropositata, gli israeliani e gli ebrei di tutto il mondo hanno perduto una parte cospicua del loro credito morale e l’attributo che si sono dati di popolo vittima per eccellenza.

Credo che  vada fatta al riguardo una prima considerazione di sostanza: Israele e gli ebrei diasporici, con il processo Eichmann e per il loro numero di morti si sono appropriati interamente  della Shoah  come se essa fosse una vicenda strettamente  ebraica mentre  invece essa va ricondotta alla sua universalità, alle totalità delle sue vittime, che sono tutti gli oppositori del  nazismo, indipendentemente dal loro credo politico o religioso, e  poi  tutti  gli incolpevoli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, i testimoni di Geova e i componenti di ogni razza che il nazismo considerava inferiore e, come tale, da sfruttare prima e ad eliminare poi.

Questo riconoscimento di universalità rompe le interferenze e i nessi che si vorrebbero creare tra  fatti che hanno delle somiglianze ma sono in realtà sostanzialmente diversi.  Si tratta dunque di non ridurre la Shoah ad una partita mortale tra nazisti ed ebrei e di non sporcarlo con accostamenti indebiti e fuorvianti.

Se ci fermiamo poi sul termine genocidio e sull’accusa mossa agli israeliani di essere nazisti, notiamo che non è affatto un problema dell’oggi. Anzitutto, come ricorda utilmente Gad Lerner, Primo Levi non ha mai usato la parola genocidio parlando della Shoah, ha solo affermato che i nazisti non erano dei mostri ma uomini e donne comuni che avevano lo stesso nostro viso, erano solo, come ironicamente diceva, “male educati”.  Per altro genocidio è una termine che viene dal mondo ebraico, perché è stata coniata  da un ebreo  polacco, l’avvocato Raphael Lemkin (1900-1959) nel 1944 in suo libro Axis Rule in Occupied Europe, mentre è singolare  che l’uso dell’aggettivo nazista attributo a un comportamento ebraico  non è opera  di uno scrittore antisemita ma è contenuto  per la prima volta in una lettera pubblicata il 4 dicembre 1948 da Hannah Arendt e da Albert Einstein sul New York Times che  stigmatizzavano il massacro avvenuto nel villaggio arabo di Deir Yassin il 9 aprile 1948 per opera dell’Ir- gun Tzvai Leumi, organizzazione terroristica di cui Menachem Begin, futuro primo ministro dello stato d’Israele, era uno dei massimi esponenti.

Poi l’accusa di comportamenti nazisti sarà presente spesso nella propaganda terzomondista e in quella filoaraba di una parte non indifferente della sinistra non solo italiana. Ne ho memoria diretta per essermi accapigliato negli anni ’80 con un amico, un noto critico musicale comunista, Luigi Pestalozza, che l’assegnava alla condotta israeliana durante la prima intifada, e su questa scia si possono ricordare   le esternazioni del filosofo Gianni Vattimo, dello storico Angelo d’Orsi, quelle recentissime del matematico Piergiorgio Odifreddi che su di un social media (che annovera 500.000 lettori) accusa di nazifascismo l’intero popolo eletto, dai tempi biblici del suo  patto con un  dio crudele e vendicativo sino ai giorni nostri, per finire a Enzo Traverso,  che parifica la distruzione di Gaza a quella del ghetto di Varsavia,  considera i militanti di Hamas nei tunnel di Gaza l’equivalente dei partigiani ebrei che combatterono e morirono nelle fogne di quel ghetto e  al lume degli scritti  di Fanon e di Sartre sulla guerra d’Algeria, giustifica i delitti di Hamas del 7 ottobre come atti  di resistenza rivoluzionaria di un  popolo che si oppone all’oppressore colonialista.

Passando ad altro aspetto di questa vicenda, penso alla posizione delle femministe di oggi sul tema delle uccisioni, delle violenze e degli stupri commessi a danno delle donne israeliane, o di quelle di Medici senza Frontiere e di Amnesty International sulla natura del conflitto e sulla sorte dei loro militanti israeliani che sono stati esclusi o si sono cancellati da quelle organizzazioni per le posizioni assunte sulle vicende israelo-palestinesi. Ciò che colpisce insomma è la presenza di una analisi distorta e unilaterale che, per un verso vede solo le responsabilità e diciamo pure i crimini di uno stato che è diventato etnico e di fatto ha cancellato i principi e le regole della fondazione e per l’altro non solo ignora deliberatamente ma giustifica i crimini commessi da Hamas e nasconde l’evidente specularità convergente di due opposte politiche fondamentaliste e razziste.

Ora io penso che quanto ha commesso e va commettendo Israele a Gaza e Cisgiordana costituisca sicuramente un crimine grave e reiterato ma che sia da collocare e storicizzare nello spazio che gli compete, cioè dentro una terra contesa e alla lotta e alle vicende della sopravvivenza di uno stato ebraico e alla creazione uno stato palestinese sempre più problematico. E che gli eccidi che ha commesso e sta commettendo Israele, siano inaccettabili per  un ebreo che si rispetti, perché confliggono con la nostra storia millenaria, ma penso che abbiano natura diversa di quelli commessi ad esempio dagli italiani in Libia, in Etiopia, tutti  totalmente impuniti, dove sono state sterminate intere popolazioni con i gas asfissianti e in veri e propri campi di sterminio, per non parlare dei centinaia di migliaia di morti innocenti nell’indifferenza più generale in Siria, Afganistan,  Sudan, Nigeria o  nel Tigrai.

Ora tutto ciò non ha provocato che scarse riprovazioni e rapida dimenticanza mentre le vicende mediorientali hanno scatenato un antisemitismo generalizzato chiaramente sovradeterminato in luoghi e su persone lontanissimi da quel conflitto.

Così siamo rimasti soli, colmi di rabbia, attorniati da falsi amici, impraticabili, incalliti antisemiti, a cui nulla ci accumuna, pieni di vergogna nel veder cadere uno a uno i valori della nostra storia, e di amarezza di fronte a una diaspora sempre più divisa, accecata, infelice e frastornata.

Se le cose stanno così anche la Shoah,  un tempo vilmente aggredita dai negazionisti alla Nolte e compagni, torna ad essere ancor più duramente colpita e sporcata, da questi  dati, ma anche da  altri sintomi e fatti  di particolare gravità: le esternazioni anarco-naziste del più ricco uomo del mondo, il comportamento del  nuovo vicepresidente degli  U.S. che porta un grande mazzo di fiori bianchi sul sacrario dei morti della Shoah e un’ora dopo  abbraccia  la presidente di AfD ( Alternative für  Deutschland), partito nazista che si appresta a diventare nei länder orientali il partito di maggioranza relativa, il presidente degli U.S. un  delinquente seriale, che ha fondato il suo successo sulla sistematica falsificazione della realtà, (le sue fake news di questi anni sono state raccolte da News York Times e superano le 30.000)  e  che con la complicità sorridente  di Netanyahu vuol cacciare  i palestinesi  da  Gaza  e  trasformarla  in  resort  per ricchi americani.

Le false notizie che hanno costituito l’humus in cui ha germogliato il più grande genocidio della storia costituiranno quindi anche la base di una nuova lettura delle cose del mondo. Trump ha già certificato che l’aggressore nella guerra sui confini d’Europa non è la Russia ma l’Ucraina. Ora siamo pronti a che anche Terezin torni ad essere quello che è stata nella propaganda nazista, la città felice  della cultura e del bengodi giudío, donata dall’umanista Hitler che ha assicurato agli ebrei  e ad avere la definiva conferma che gliel’ha donata l’umanista Hitler, assicurando loro anche il trasferimento ad Auschwitz per una  serena eutanasia.

23/02/2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Questa ipotesi trova oggi 22 febbraio 2025 una terribile conferma nelle immagini della cerimonia della consegna dei corpi di 4 ostaggi assassinati durante la prigionia, Shiri Bibas di anni 32 (si è poi accertato che nella bara non c’era il suo corpo, restituito in un secondo momento), dei suoi figli Ariel e Kfir l’uno di 9 mesi e l’altro di 4 anni, e di un vecchio e nobile giornalista pacifista di 83 anni che si  era sempre battuto per i diritti dei palestinesi. Hamas ha filmato la macabra cerimonia del suo culto implacabile di odio e di morte e ha celebrato su di un palco appositamente allestito a Gaza in un area sabbiosa nei pressi di un cimitero allineando le quattro bare nere, tra miliziani spettrali incappucciati con le armi levate, musichette allegre  e bambini e folle ingruppate e festanti. 

 

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