di Rimmon Lavi

 

Vi scrivo di un progetto civico a Gerusalemme, ai piedi del monte Moriah, il monte del tempio di Salomone, poi di Erode e ora della Moschea di Al Aqsa e della Cupola della Roccia di Omar.

Scorre lì, nella valle di Giosafat la sorgente del Shiloah, unica fonte d’acqua viva della zona antica, vicino alla quale si formò la città detta di Davide. Questa era arrampicata sul dorsale che scende dal monte fino alla valle: un tunnel, di circa 500 metri scavato nella roccia ai tempi del primo tempio sotto il re Hizkiyahu, verso il 700 aC, aveva fatto derivare l’acqua in una cisterna, la piscina di Shiloah, accessibile all’interno delle mura di allora, anche sotto assedio. Durante i secoli la città si è sviluppata più in alto, escludendo fuori delle mura romane, bizantine, arabe, crociate e finalmente ottomane, quelle attuali, la zona del Shiloah, che si è sviluppata sui due pendii nel villaggio arabo Silwan, lasciando il fondo valle aperto e coltivato a frutteto agricolo, irrigato dalla pioggia e dall’acqua della sorgente, denominato appunto in arabo Al-Bustan.

Nel 2010 il municipio assieme al ministero del turismo ha fatto approvare un progetto di parco nazionale su questo terreno di 45 acri per collegare dall’esterno l’entrata alla sorgente con la piscina.  Questa è inclusa nella zona archeologica della cosiddetta Città di Davide, che scende dalle mura del Tempio. La zona è gestita da Elad, un’organizzazione finanziata dall’oligarca russo Roman Abramovich che promuove l’espansione di coloni ebrei intorno alla città vecchia, al posto dei residenti arabi. Il progetto turistico, ecologico e verde è molto bello, in sé, ed è chiamato “Gan Hamelekh – Il giardino del re”, supponendo che Davide ci sia passato, a suo tempo.

Il problema è che il terreno di Al-Bustan è proprietà privata di circa 100 famiglie che ci hanno costruito dal 1967 casette e appartamenti addossati uno sull’altro. Ci abitano adesso circa 1500 persone: i loro appelli ai tribunali contro il progetto, che espropria le loro proprietà e demolisce le loro case, sono stati tutti bocciati. Due progetti alternativi presentati da gruppi di residenti, assieme ad architetti urbanisti israeliani volontari, che salverebbe una parte per lo meno delle abitazioni arabe, sono stati bocciati.  Analoghe proposte indipendenti di piani locali, in altre zone di Gerusalemme est, non sono state neppure discusse.

Infatti dal 1967, con l’annessione della zona est nella Gerusalemme unificata, è in vigore il piano regolatore di massima, fatto al tempo del mandato britannico prima del 1948, che segna il fondo valle come “zona verde”, non edificabile. La popolazione araba inclusa nel municipio unificato è cresciuta da circa 100 mila di allora a 400 mila oggi, in confronto con quella ebraica cresciuta dai 200 mila ai 600 mila adesso.  La crescita ebraica ha prodotto gli enormi quartieri  che coprono le colline attorno alla città, costruiti con tutte le infrastrutture moderne su terreni demaniali o confiscati. Mentre, in assenza totale di pianificazione per la popolazione araba, questa si è espansa illegalmente sia all’interno dei rioni arabi, sia in tutti gli spazi non costruiti, su terreni di proprietà privata, anche se agricola, come appunto Al-Bustan. Le diverse amministrazioni civiche hanno sempre lottato contro le costruzioni illegali, cioè non coperte da permessi ufficiali: questi però non possono essere rilasciati, in assenza di piano regolatore aggiornato e approvato. Le costose pratiche giudiziarie riescono a rimandare gli ordini di demolizione, ma non a cancellarli. Così ogni anno si contano decine di demolizioni di case arabe illegali, spesso a spese dei residenti, minacciati di multe superiori se la demolizione fosse fatta dalle autorità.

Da un anno, all’ombra mediatica della guerra sanguinosa, le demolizioni sono aumentate del 25%  (181 case e 74 altri edifici) rispetto alla media degli anni passati a Gerusalemme est: e solo in Al-Bustan sono state demolite nel 2024 ben 27 case, e altre 85 sono sotto ordine di demolizione.  Uno dei palestinesi sfollati per demolizione ed espropriazione della casetta di famiglia, è un professionista accademico che cura persone affette da stress post-traumatico, inclusi sfollati ebrei dai confini. Ha recentemente trovato sistemazione provvisoria fuori del perimetro municipale, lontano dalla famiglia e dai luoghi di lavoro, perdendo ore ai posti di blocco. Il municipio non dà nessun indennizzo né propone alternative legali.

Nel villaggio di Silwan stesso, sulle due pendici della valle di Giosafat, abitano circa 30 mila persone. Dal 2002 c’è sempre più tensione tra i residenti arabi e circa 70 famiglie di coloni ebrei estremisti collocati poco per volta dalla già citata organizzazione Elad, in case da cui famiglie arabe sono state sfollate sotto vari pretesti legali: case in cui avevano abitato per anni all’inizio del secolo scorso famiglie ebree immigrate dallo Yemen, o case appartenenti ad arabi dichiarati assenti dopo il 1967 e quindi assegnate dal governo israeliano solo ad ebrei, anche se abitate da palestinesi presenti.

Il meccanismo legislativo su cui si fondano gli sfratti e le espropriazioni dei residenti palestinesi di Gerusalemme Est resta la “Legge dei proprietari assenti” del 1950 secondo cui ai palestinesi residenti durante e immediatamente dopo la guerra del 1948 vengono sistematicamente negati titoli di proprietà.

Recentemente, sono stati riesumati progetti già pronti da anni per migliaia di appartamenti per ebrei sui pochi terreni ancora liberi all’est e anche una Yeshivà con attorno 400 alloggi ebraici nel quartiere arabo Sheikh Jarrah che da 15 anni è simbolo dell’espansione ebraica nell’est della città, a spese dei residenti arabi. Si spera infatti sul tacito consenso della nuova amministrazione americana. A gennaio, il comune di Ma’aleh Adumin ha proposto di ribattezzare l’area E1, all’interno della municipalità sulla strada di Gerico, come T1,  in omaggio al nome del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump , come è stato già fatto per una colonia sulle alture del Golan.

Ecco, dunque, un breve resoconto della normalità quotidiana a Gerusalemme Est, all’ombra della guerra virulenta, dal 7/10/2023. E non parlo di quello che succede nei territori occupati della Cisgiordania, nella zona C, dove oltre alle espropriazione e demolizioni “legali” sotto l’egida “civile” del governatore militare, gruppi armati di giovani coloni imperversano sui pastori e contadini palestinesi, per rendere loro impossibile la vita nelle zone intorno alle colonie. Queste ultime  si espandono senza limiti su terreni sia di proprietà araba privata sia demaniali, che dovrebbero servire lo sviluppo della popolazione locale.  

Anche nella striscia di Gaza distrutta e insanguinata, anche in Cisgiordania che, come una pentola a pressione, può scoppiare improvvisamente, ma persino a Gerusalemme est, annessa e unificata formalmente sotto la legge di diritto israeliano, non possiamo sperare in una pace duratura, senza cercare attivamente un modus vivendi di coesistenza tra israeliani e palestinesi, che rispetti reciprocamente le aspirazioni nazionali, individuali di libertà e di giustizia e renda possibile lo sviluppo economico e sociale in modo meno discriminatorio.

24/01/2025, Gerusalemme

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