No Other Land

di Filippo Levi

 

“No Other Land” è un documentario diretto da Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor che racconta la resistenza delle popolazioni di Masafer Yatta contro il progetto di espulsione dalle loro terre, decretata dalla Corte Suprema israeliana, per fare posto ad una zona per le esercitazioni militari. Presentato a molti festival cinematografici internazionali ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti prestigiosi.

I protagonisti del documentario sono Basel Adra e Yuval Abraha. Basel è un palestinese residente di uno dei villaggi di Masafer Yatta che fin da piccolo assiste alle lotte, rigorosamente non violente, che il padre e la sua famiglia fanno a partire dagli anni 2000 per poter continuare a vivere nel loro villaggio. Raggiunta un’età adulta anche Basel inizia a prendere parte attiva alla resistenza contro l’espulsione riprendendo con una telecamera e con il cellulare tutti le operazioni messe in essere dall’esercito israeliano tra il 2020 ed il 2024 per demolire le case dei residenti dei villaggi e spingerli ad andarsene. Yuval invece è un attivista israeliano di Beer Sheva, che decide di cercare di aiutare le popolazioni di Masafer Yatta ad opporsi agli ordini di espulsione emessi dalle autorità israeliane. Tra i due giovani nasce una sincera amicizia.

La storia che viene raccontata nella sua semplicità e crudezza potremmo definirla come il tentativo di resistenza non violenta da parte degli abitanti di Masafer Yatta ad un sopruso gratuito che le autorità israeliane hanno legittimato attraverso una sentenza della Corte Suprema. Le azioni dell’esercito israeliano sono ritratte nella inumanità dei militari che eseguono gli ordini, in modo duro e spietato: i bulldozer arrivano la mattina distruggono un giorno una casa, un altro un pollaio oppure la scuola e poi se ne vanno. Le azioni di resistenza non violenta da parte dei pastori palestinesi sono ritratte nella loro drammatica inefficacia. Talvolta di notte le case distrutte vengono ricostruite, ma più spesso le famiglie sono costrette a trasferirsi a vivere nelle grotte della zona se non vogliono rinunciare alla loro terra ed ai loro mezzi di sostentamento. Alle volte, di fronte ad una azione di resistenza più ferma, un soldato spara e qualcuno rimane ferito o paralizzato, ma tutto sommato non ci sono scene di particolare efferatezza.

È la violenza quotidiana della sopraffazione e della distruzione delle case dei campi e degli allevamenti dei palestinesi a turbare lo spettatore. È una realtà dura da conoscere e da accettare, ma purtroppo è la realtà dell’occupazione israeliana in Cisgiordania. Non la lotta contro le fazioni militari palestinesi, ma la continua usurpazione di territori e la continua intimidazione delle popolazioni civili palestinesi. L’azione dei coloni è presente nel documentario, ma che i coloni siano dei fanatici violenti è qualcosa che più o meno tutti conosciamo e di cui siamo abbastanza consapevoli. Ciò che turba davvero sono le azioni dell’esercito, espressione della volontà del governo israeliano, che inesorabilmente, giorno dopo giorno, casa dopo casa, pollaio dopo pollaio, scuola dopo scuola espellono la popolazione palestinese dalla sue terre per perseguire un disegno di colonizzazione della Cisgiordania.

I protagonisti cercano in tutti i modi di portare l’attenzione dei media e di rendere evidente al mondo quanto accade a Masafer Yatta, ma il loro successo è a dir poco parziale. Come osserva tristemente, la gente si commuove per dieci minuti e poi pensa ad altro, mentre bisognerebbe trovare il modo per capire come la gente può contare davvero.

Questa è forse la domanda più importante che mi sono posto dopo la visione del film: cosa possiamo fare noi davvero per provare a cambiare la prospettiva del conflitto e cercare di riportare Israele sulla strada della legalità internazionale e della moralità delle sue azioni?