ANDARE PER MUSEI LACUSTRI DEL FASCISMO

di Michele Sarfatti
Il titolo dell’articolo può risultare criptico, ma qui parlo proprio di due musei pubblici dedicati al fascismo, o meglio alla storia d’Italia nella fase finale del fascismo, allestiti sulla sponde occidentali del lago di Como e del lago di Garda. Questa primavera 2025, ottantesimo della Liberazione, quei due musei possono essere meta di gite consapevoli (ma attenzione ai lunghi ingorghi nei fine settimana).
Il primo è il semisconosciuto “Museo della fine della guerra”, istituito a Dongo, ossia là dove il 27 aprile 1945 terminò la fuga poco eroica e poco mascellare di Mussolini e degli altri gerarchi. Il giorno dopo essi furono assoggettati alla meditata condanna a morte stabilita dal CLNAI. A Dongo vi erano miniere e siderurgia, e ciò aveva stimolato lo sviluppo del partigianato nell’area. Questa esperienza venne illustrata nel 1995 in un Museo della Resistenza Comasca, che nel 2014 è stato riallestito con il nome Museo della fine della guerra. Già, perché quella resistenza combattente aveva contribuito alla fine di quella guerra. Nel 2014 il mutamento di nome fu oggetto di polemiche. Come che sia, l’esposizione oggi merita di essere visitata. Intanto perché ha resistito al vezzo odierno di siglare o abbreviare il proprio nome (la possibilità di un MuFiGu desta raccapriccio) ma, soprattutto, perché non aderisce alla teoria astratta della “guerra civile”, e la realtà dell’epoca è descritta come Fascismo, Resistenza, Occupazione. Eh già, per di più quella teoria schiacciasassi esclude gli ebrei dell’italianità, poiché essi non ebbero la possibilità ‘civile’ di scegliere liberamente tra le due parti. L’esposizione è ahimè poco estesa, ma ciascun ambiente ha una particolare struttura allestitiva, molto moderna e, a mio parere, rispondente alla pratica di sorprendere per meglio comunicare. La narrazione spazia da Radio Londra alla vita partigiana, dal contrabbando con la Svizzera (anche di ebrei) ai resistenti lì uccisi il 24 aprile 1945 e agli arresti di tre giorni dopo. Manca una dettagliata descrizione delle motivazioni dei fascisti, ma risulta ben chiara la differenza che esistette fra la “bruta” fedeltà a Mussolini e Hitler e la brama di “seguire virtute e canoscenza”.
La seconda esposizione è intitolata “L’ultimo fascismo 1943-1945. La Repubblica sociale italiana” e occupa un intero piano del “Museo di Salò”, auto siglatosi MuSa. Salò è stato “Salò”, e qualche commerciante vende ai turisti della nostalgia e dell’antidemocrazia bottiglie con l’effigie dell’uno o dell’altro dittatore. Ma va registrato che lo scorso 26 febbraio il Comune ha finalmente revocato la
cittadinanza onoraria che fu concessa a Mussolini nel 1924.
Il museo tratta i vari aspetti della storia locale, compresa ad esempio la vicenda del liutaio cinquecentesco Gasparo da Salò; il biglietto di ingresso è unico e dà accesso a tutte le sale. Il museo è stato inaugurato nel 2015. Sin dall’inizio conteneva una sezione sulla RSI, poi riveduta e ampliata nel giugno 2023 con la denominazione riportata sopra. L’allestimento trasmette una sensazione di parificazione tra le due idealità e i due impeti, che caratterizzarono chi combatteva a favore e chi combatteva contro il fascio e la svastica. A scanso di fraintendimenti, è bene affermare che vi è il pannello “La persecuzione contro gli ebrei”, che descrive e condanna l’azione antisemita del 1938 e del 1943 in modo netto e che in altri passaggi si condanna il razzismo del fascismo. Il punto non è quello. Il punto risiede ad esempio nella sfilacciata presentazione del pannello “La Resistenza”. Il testo la sunteggia in poche righe, non presenta i suoi ideali, e reca come conclusione: “L’Italia sprofonda in una guerra civile che scriverà pagine drammatiche di barbarie e disumanità: stragi, rastrellamenti, arresti, torture, esecuzioni sommarie”. Per via di ciò, al visitatore meno addentro resta in testa che l’antifascismo fu corresponsabile di quegli atti, forse alla pari. Intendiamoci, nella Resistenza ci furono anche episodi di violenza gratuita, come accade a tutti i movimenti armati, sempre; ma questi atti furono storture minori di impegni valoriali che MuSa non illustra. Certo, occorre tenere ben presente che al centro di questa esposizione a Salò deve esserci proprio l’orrida “Repubblica sociale italiana” di Salò; tuttavia, è indubbio che sarebbe stato congruo dedicare un pur piccolo spazio anche alla “repubblica dell’Ossola”, o “di Cogne”, o degli altri territori che vissero intensi momenti di libertà e creatività nell’estate 1944. Insomma, fosse dipeso da me, avrei spiegato significato e contenuto del C.L.N. Per quanto riguarda il contenuto materiale dell’esposizione, va apprezzata la presenza di molti oggetti, anche di poca importanza. Si tratta di una tendenza che sta crescendo in questo nuovo secolo, poiché la presenza di ‘cose vere’, in tre dimensioni, è ciò che in fondo fa la differenza tra un sito internet e un sito museale. Le soluzioni dell’allestimento sono moderne e raggiungono buoni effetti. Il corredo documentale audio presenta invece il già notato disequilibrio, dato che i quattro audio proposti presentano le vicende di un’ebrea, un partigiano, una fascista e un marò della Decima Mas. Comunque, tutto ciò detto, anche questo è un museo che merita di essere visitato. Tenendo presente che un museo è un luogo per riflettere.