di Bruna Laudi,
a nome del Gruppo di Studi Ebraici di Torino
Carissimi rav Ariel e rabanit Elisabetta,
È difficile iniziare una lettera di saluto a chi ci lascia per andare altrove, soprattutto se si è molto tristi, perché si tirano le somme di tutto quello che ci è stato dato e per cui forse non sempre si è stati capaci di mostrare il giusto apprezzamento. Noi torinesi siamo un po’ così, diffidenti e freddini, non vi avevano avvisato?
Anche se scrivo a nome del Gruppo di Studi Ebraici non riesco ad esprimermi in maniera ufficiale e chiedo scusa a voi e a chi mi ha incaricato ma provo a raccontarvi come vi ho vissuti io, dal primo momento in cui siete diventati parte della nostra Comunità.
E mi viene in mente che siete entrati letteralmente in punta di piedi, silenziosi e riservati, forse guardinghi. Sapevate che vi aspettava una comunità difficile, con visioni contrapposte, che aveva bisogno di ritrovare la sua stabilità ma che, come disse l’allora Presidente dell’Unione Renzo Gattegna z”l, è stimolante e ricca di storia.
Il Presidente della comunità era allora Beppe Segre, che vi accolse con queste parole:
“Nella giornata di ieri abbiamo letto la parashà di Chaje’ Sarah, ed abbiamo riflettuto su una storia di viaggio, di ricerca della persona giusta e di matrimonio.
La Comunità aveva deciso di cercare un rabbino simile a lei per indole e cultura. E lungo la strada pensava: come farò a riconoscere il rabbino giusto? E si rispondeva: quello tra i rabbini a cui chiederò di venire e mi risponderà: vengo e cercherò di risolvere problemi, quello saprò che è il rabbino giusto. E infatti abbiamo chiesto a rav Di Porto di venire e lui ha accettato. E ha incontrato una Comunità che passeggiava (un po’ stanca) nel pomeriggio e si sono subito piaciuti.”
Ma le parole più belle e commoventi le disse lo stesso rav Di Porto:
“Ciò che è mio ed è vostro, appartiene innanzitutto a mia moglie e ai miei figli, che si sono imbarcati con me in quest’avventura”
Elisabetta, la nostra rabanit, ci ha affascinati con la sua grazia e il suo sorriso e presto abbiamo potuto apprezzarne la cultura e la profondità di pensiero. E che dire di Amos e Lele? Allegri, affettuosi, simpatici, socievoli con tutti, rispecchiano perfettamente l’esempio dei loro genitori. Li abbiamo visti crescere e, durante lo shabbat del commiato, Amos ci ha fatto un immenso regalo: con voce forte e sicura ha letto l’aftarah, preparata con amore in onore di Ornella Sierra, quasi un anticipo del prossimo bar mitzvah che festeggerà a Roma, e Lele ci ha salutati con parole commosse durante il kiddush. Anche noi vi salutiamo, carissimi ragazzi: come era bello, durante le feste, sentire con quanto amore il vostro papà vi incoraggiava a recitare piccole parti studiate prima, con pazienza, a casa e, subito dopo, vedervi scorrazzare allegri, con gli amici, nei corridoi della comunità…
Appena arrivato a Torino rav Di Porto era sempre molto coperto, come se il clima della città del Nord simboleggiasse tutte le incognite da affrontare: ben presto, accanto alle sue qualità di sapiente, scoprimmo con gioia le altre, prima fra tutte, il senso dell’umorismo, che permette di avere con lui un rapporto amichevole. Ha innato il dono di saper accogliere e di mettere a proprio agio l’interlocutore, indipendentemente dalla sua preparazione e osservanza delle mitzvot: personalmente ho molto apprezzato l’entusiasmo e la disponibilità con cui accoglieva le proposte per organizzare eventi che coinvolgessero il più possibile tutte le anime della Comunità, specie durante il lockdown, quando il rischio di isolarsi era molto forte. Per non parlare delle sue competenze informatiche, risorsa utilissima nei mesi in cui il computer era l’unico tramite tra noi e gli altri. Ci è stato vicino e ci ha incoraggiati nei tempi bui della pandemia, quando tutto era chiuso e ci rendemmo conto con grande sconcerto che non avremmo potuto riunirci per il seder (cena pasquale), il momento che per tutti rappresenta il ritrovarsi della famiglia, l’ospitalità e il rinnovo della tradizione. Molti ebrei torinesi hanno anche potuto apprezzare la sua vicinanza e il suo sostegno in momenti difficili, di malattie e di lutti. Ma ha anche saputo mettersi in gioco con grande simpatia quando glielo abbiamo chiesto; tutti ricordiamo con allegria la recita di Purim che aveva come filo conduttore i dialetti giudaico – regionali e la deliziosa performance dei coniugi Di Porto in giudaico romanesco.
Infine, caro rav, quando siete arrivati, l’accento romanesco mescolato all’ebraico rendeva molto difficile la comprensione, soprattutto ai profani: e proprio adesso che, dopo anni di fatiche, la dizione è praticamente perfetta, proprio adesso ha deciso di lasciarci? Cerea rav, as veduma…