di Alessandro Treves
Le recenti elezioni in Sudafrica, in questi mesi in cui assistiamo al triste spettacolo del nazionalismo religioso in Israele, con protagonisti come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, ci hanno ricordato la ben diversa epopea dei protagonisti ebrei della lotta contro il nazionalismo afrikaner nella nazione dell’apartheid. Se la maggioranza mantenuta negli ultimi trent’anni dall’African National Congress si è ora frammentata per la scissione dell’ex-presidente Jacob Zuma, accusato di corruzione, l’opposizione è stata a lungo identificata con l’Alleanza Democratica guidata da Helen Zille, di parziale origine ebraica. Ma figure leggendarie erano quelle della generazione precedente, quando il partito al potere non era il National Congress dei neri bensì il National Party dei bianchi. Joe Slovo (in realtà Yossel Mashel Slovo, nato in Lituania) è stato a lungo leader del Partito Comunista SudAfricano e dell’ala militare dell’ANC, dal nome uMkhonto we Sizwe ora usurpato dal movimento scissionista di Zuma. Harry Schwartz (in realtà Heinz Schwartz, nato in Germania e al pari di Slovo arrivato in Sud Africa bambino, all’avvento di Hitler) dopo un’infanzia poverissima ed il servizio in aviazione durante la seconda guerra mondiale ha avuto una vita lunga e intensa in cui ha combinato la militanza attiva, anche come avvocato al processo che vide la condanna di Nelson Mandela, gli affari, fra l’altro in qualità di amministratore delegato della Merchant Bank, l’attività politica, leader dell’opposizione ufficiale al National Party, ruoli di spicco nella comunità ebraica sudafricana e nella lotta all’antisemitismo ed infine il ruolo di Ambasciatore negli Stati Uniti durante la transizione da De Klerk a Mandela. E soprattutto l’altra Helen, Helen Suzman, di famiglia lituana ma nata vicino Johannesburg nel 1917, per ben 13 anni – dal 1961 al 1974 – unica parlamentare del Progressive Party che contrastava l’apartheid nel parlamento di soli bianchi; lei ebrea e di lingua inglese costantemente sbeffeggiata ed insultata dai suoi avversari in prevalenza afrikaans, con inviti come: Tornatene in Israele! Una donna che dice cose simili farebbe bene a trovarsi un nascondiglio! Io so come si devono trattare femmine di quel genere!
Questi ebrei, e ce ne sono molti altri, che hanno un po’ interpretato, tradotto nella realtà sudafricana, lo spirito antiautoritario ed egualitario del Bund, ci spingono a chiederci se qualcosa del genere si sia mai verificato fuori del mondo ashkenazita. Di risposte se ne possono dare diverse, ma una cosa che credo sia onesto ammettere è che c’è stata una rimozione: la memoria collettiva della militanza sociale e politica, come componente fondamentale dell’identità ebraica diasporica, è stata ridotta quasi a zero. Da un complesso di fattori. Certamente hanno giocato un ruolo la frammentarietà di queste esperienze, la scomparsa (talvolta precoce, causa uccisione) dei loro protagonisti, la molteplicità dei contesti socioculturali in cui si sono sviluppate; e un fattore senza dubbio importante è stato il massiccio spostamento a destra dell’ebraismo sefardita e orientale reimpiantato in Israele.
Scrive Chelsie Simone May che “dal 1941 fino all’esodo di massa nel 1951, gli ebrei furono membri importanti del PCI, il Partito Comunista Iracheno. Fra loro, le donne. Anche se non furono mai più di 300, i comunisti ebrei erano totalmente devoti alla causa di un Iraq libero e indipendente. Ispirate dal loro amore per l’Iraq, dall’antifascismo e dall’impegno comunista per i problemi delle donne, queste ebree irachene si dedicarono con tutte sé stesse al Partito. Essere comunista in Iraq era illegale, ma questo non le scoraggiò. I loro nomi e le loro gesta meritano di essere ricordati come quelli dei loro compagni maschi”. E invece le abbiamo sostanzialmente dimenticate. E io mi devo scusare con l* storic*, che preferisce per sé il pronome neutro “they”, se ho frainteso traducendo dall’inglese il genere di alcuni dei suoi riferimenti. Fatto sta che otto ebrei del Partito, uomini o donne che fossero, chiesero nel 1945 di poter fondare una Lega Anti-Sionista. Sorprendentemente nel Marzo 1946 il governo iracheno acconsenti, pur essendo il Partito stesso fuorilegge e pur avendo il governo rifiutato di registrare altre organizzazioni simili. La Lega propugnava una Palestina indipendente e democratica, la fine delle vendite di terreni ai sionisti, la lotta all’imperialismo britannico e americano; vi aderirono anche cristiani, musulmani e non-comunisti. In seguito però il governo ci ripensò, la Lega fu dichiarata illegale e diversi suoi membri furono arrestati con l’accusa, addirittura, di cripto-sionismo; ma in quei tre mesi di attività era riuscita ad organizzare manifestazioni a Baghdad e a Bassora con migliaia di partecipanti, ed a pubblicare un giornale, Al ‘Usbah (“La Lega”, o forse si potrebbe leggere il “Bund”) con 6000 copie di tiratura.
Un giornale, in spagnolo, chiamato invece Adelante, venne pubblicato dal 1929 al 1932 da un gruppo di giovani ebrei di Tangeri, in Marocco. Si autodescrivevano così, nel primo numero: “Adelante è un giornale ebraico indipendente, che vuole essere come i suoi fondatori: giovane, agile, informale, ottimista, energico quando serve, altre volte indulgente, sempre sincero e onesto […] vuole essere utile ai tangerini, nel senso più ampio del termine.” Non mi è dato sapere cosa pose termine al giovanile ottimismo tangerino, ma è significativo che un giornale pressoché omonimo ma in ladino, scritto in caratteri ebraici, fu negli stessi anni l’organo dell’organizzazione comunista di Salonicco. Fondata nel 1909 quasi insieme alle molteplici organizzazioni sioniste della città, si contrapponeva a loro e agli assimilazionisti dell’Alliance Israelite Universelle, dando espressione alle rivendicazioni del proletariato organizzato, che a Salonicco era prevalentemente ebraico. Anche qui siamo vicini allo spirito del Bund. Formalmente in realtà era nata come una federazione sindacale che riuniva ebrei, bulgari, greci e turchi; ma i greci e i turchi furono sempre pochissimi, e i bulgari se ne andarono dopo l’annessione di Salonicco alla Grecia. Dopo la prima guerra mondiale, confluì con altre organizzazioni della sinistra greca nel nuovo Partito Comunista Ellenico, ma ancora per anni l’organo di stampa di quella che tutti chiamavano a Salonicco “La Fédération” era l’“AVANTI!”, in ladino. Un ladino che si contrapponeva all’ebraico dei sionisti e al francese dell’Alliance e che, dietro lo schermo dell’alfabeto ebraico, ci suona come un italiano leggermente maccheronico.
Forse HaKeillah potrebbe andare alla riscoperta di questi diversi modelli di giornalismo ebraico.
Trieste e Tel Aviv