di Alessandro Treves

Con la tragedia del 7 ottobre ancora in pieno svolgimento, voglio fare un passo di lato e raccontare di un pezzo del nostro lavoro di ricerca che, pubblicato già l’estate scorsa, con Gaza e Israele sembrerebbe – a prima vista – non aver niente a che fare. Si tratta di una scoperta originale di Kwang Il Ryom, il quale poi a ottobre ha discusso la sua tesi di dottorato in Neuroscienze Cognitive ed è tornato nel suo paese, la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Da allora i suoi contatti con me e con la comunità scientifica in generale sono giocoforza frammentari, e non c’è possibilità che discuta in prima persona delle implicazioni di ciò che ha trovato.

I vetri di spin – al cui studio ha contribuito in modo decisivo Giorgio Parisi, insignito per questo del Premio Nobel nel 2021 – sono descritti da modelli matematici assai semplificati, che noi usiamo anche per analizzare aspetti dell’organizzazione della corteccia cerebrale, ma che possono pure essere considerati metafore della società umana o di altri sistemi complessi. La loro caratteristica fondamentale è che un gran numero di unità – gli individui – interagiscono fra loro in modo estremamente variegato e statisticamente casuale. Supponiamo che due di questi individui debbano decidere se uscire stasera, giorno di Pasquetta, per andare alla partita, al ristorante o ad un concerto di musica classica. Visto che hanno restrizioni alimentari difficilmente conciliabili, del calcio non gli importa molto e comunque tengono per squadre diverse, opterebbero per il concerto. Però telefona in quel momento X, che la musica classica proprio non la sopporta, mentre tifa con grande passione; accettano allora il compromesso, e si dirigono verso lo stadio. Ma come stanno lambiccandosi per trovare i biglietti chiama anche Y, che invece propone…  Ecco, lo studio dei vetri di spin chiarisce come il disordine intrinseco del sistema, ovvero l’assenza di principi ordinatori che allineino le preferenze degli individui, fa sì che non esistano soluzioni ottimali, e che anche la ricerca di quelle di mero compromesso, oltre a generare molteplice frustrazione, possa durare tempi lunghissimi: se viene anche Z, è chiaro che per stasera non si andrà da nessuna parte.

Quanto ci vuole, in media, per convergere su un compromesso, sia pure insoddisfacente? Già molto tempo, se le opzioni disponibili per ciascuna unità sono tre, come in questo esempio ‘sociale’, ma moltissimo se le opzioni sono di più. Questo si sapeva, dall’analisi dei modelli di vetri di spin generalizzati, detti vetri di Potts, in cui le singole unità hanno S stati, o configurazioni di attività possibili. Quello che ha scoperto Kwang Il è relativo ad un sistema misto, o ‘ibrido’, in cui alcune unità, diciamo la metà, hanno S1 stati, e l’altra metà S2, con S1 < S2; e si misura la rapidità della dinamica (tempo medio richiesto dal processo decisionale, nella metafora sociale) separatamente per le due metà. Se le due metà non interagiscono fra loro, le unità con S1, che hanno meno stati, si avvicinano ad un compromesso prima di quelle con S2. La differenza nelle scale di tempo cresce drammaticamente con la differenza S2-S1. Se però le due metà interagiscono fra loro, con una pletora di interazioni uno-a-uno, disordinate, non riconducibili a principi ordinatori, Kwang Il ha osservato che le unità con S1 rallentano, e quelle con S2 accelerano. Non soltanto fino a trovare una scala di tempo comune, bensì andando oltre: le unità con S2 sono come energizzate dall’interazione con quelle con meno stati, e diventano più rapide di loro, che invece sono rallentate. L’abbiamo chiamato effetto di inversione delle velocità e può essere visto come una realizzazione, nella meccanica statistica dei vetri di spin generalizzati, della parabola degli ultimi che saranno primi e i primi, ultimi.

L’effetto è più eclatante quando S2 prende un valore grande ed S1 è al minimo, S1=2, due soli stati possibili per metà delle unità, che quindi sono descritte da variabili binarie. Se fossero uniche componenti di un sistema disordinato ma isolato, le variabili binarie procederebbero verso un compromesso, sia pure per molti versi insoddisfacente. Quando si trovano invece calate in un mondo circostante di complessità maggiore – le unità con S2 stati – di suo anch’esso disordinato e dall’incedere incerto e caracollante, le variabili binarie ne vengono pressoché immobilizzate; la loro dinamica, già faticosa, diventa rigidità mortifera.

Sono forse assimilabili a variabili binarie le opinioni polarizzate di chi, in una contingenza estremamente conflittuale, come quella attuale del Medio Oriente, si sente in obbligo di schierarsi, senza se e senza ma?

Non lo so, ma fa impressione che in un contesto planetario di sempre crescente complessità, di innumerevoli variabili multidimensionali in continuo e imprevedibile mutamento, il dramma che avvolge palestinesi ed ebrei sia rimasto incastrato da tre quarti di secolo in una sostanziale contrapposizione binaria, fra uno stato che c’è ed uno che non c’è. Dove la parola “stato” rivela sotto al suo significato politico, peraltro sempre più grondante di sangue, le sue radici nell’immobilità cui è costretto chi è prigioniero di una logica binaria. Forse, invece di ripetere lo slogan ormai vuoto della soluzione a due stati, dovremmo guardare con maggiore fiducia alle dinamiche che si possono liberare, come già succede in Europa, dal superamento dello stato nazionale .

Il lavoro è stato pubblicato in Ryom, Kwang Il, and Alessandro Treves, “Speed Inversion in a Potts Glass Model of Cortical Dynamics”, Phys Rev X Life 1 (2023): 013005.

Trieste e Tel Aviv

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