Cambiare scala, e non solo

di Anna Segre
Grande soddisfazione è il sentimento prevalente all’indomani del primo Congresso di Sinistra per Israele che si è svolto a Roma l’8 e il 9 febbraio. Soddisfazione per l’alto numero di partecipanti (circa duecento, in una sala quasi sempre piena); soddisfazione per aver dato una famiglia politica a molti che si sentivano orfani e isolati, all’interno e all’esterno del mondo ebraico; soddisfazione per un dibattito ampio e articolato, attento alla complessità, in cui hanno portato il loro contributo persone molto diverse per età ed esperienze; soddisfazione per le tesi congressuali discusse e approvate in tempi ragionevoli grazie all’efficiente lavoro preliminare della commissione politica; soddisfazione, a posteriori, per i riscontri che l’evento ha avuto: “Siamo usciti dalla clandestinità”, ha dichiarato Piero Fassino.
E certamente è stata espressa una grandissima soddisfazione per aver avuto insieme allo stesso evento, per la prima volta dal 7 ottobre, interventi, sia pure da remoto, di un rappresentante ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese (Bernard Sabella, rappresentante dell’ANP presso il Consiglio d’Europa) e di una personalità di primo piano della politica israeliana, Yair Golan, leader del nuovo partito Democratico nato dalla fusione del partito laburista con il Meretz; certo, come qualcuno ha notato, Sabella non ha nominato esplicitamente né il 7 ottobre né Hamas (ha parlato di trauma che entrambi i popoli stanno vivendo e di necessità di una Palestina democratica), ma – come è stato anche rilevato nella prima riunione del nuovo direttivo – la sua stessa partecipazione al congresso di un’organizzazione che si definisce “per Israele” è stata una scelta coraggiosa, e dal notevole valore simbolico. Dal canto suo Yair Golan ha ribadito con chiarezza come l’annessione non sia e non possa essere un’opzione e ha auspicato un accordo di pace con il coinvolgimento di più Paesi della regione. Altro intervento da remoto molto significativo e molto applaudito è stato quello di Daniel Cohn Bendit, storico leader del Maggio francese, che ha affermato: “Se sei per Israele devi essere inevitabilmente Propal, se sei Propal sei anche inevitabilmente pro Israele” perché il benessere di uno dei due popoli si garantisce solo con il benessere dell’altro; il suo sogno – ha detto – è che si manifesti con entrambe le bandiere. Sono intervenuti da remoto anche Avraham de Wolf della Juden-SPD e Jon Pearce del Labour Friends of Israel.
Hanno portato il loro saluto in presenza Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Stefano Parisi, presidente dell’associazione Setteottobre, che, tra le altre cose, ha affermato che “salvare Israele significa salvare valori occidentali messi in discussione anche in Occidente”. Una prospettiva in parte diversa da quella di Sinistra per Israele, anche perché, ha osservato qualcuno con un’efficace battuta, l’Occidente è come il colesterolo: c’è quello buono ma c’è anche quello cattivo.
A mio parere uno dei punti di forza di Sinistra per Israele è costituito dall’eterogeneità dei suoi membri: ebrei e non ebrei, con diverse età ed esperienze, nel mondo delle Comunità e delle associazioni ebraiche, nella politica o in entrambi gli ambiti, come il Presidente uscente e riconfermato Emanuele Fiano.
La mia sensazione è che Sinistra per Israele, soprattutto dopo questo congresso, rappresenti un vero e proprio cambio di scala rispetto ai piccoli gruppi con piccoli numeri a cui eravamo abituati all’interno del mondo ebraico. Un’organizzazione con oltre quattrocento iscritti in tutta Italia, con sezioni nate di recente, come quella torinese, e altre che stanno nascendo, ha la possibilità di agire in modo molto più pervasivo e incisivo nei partiti, nei sindacati, nelle scuole, nelle università nelle associazioni culturali: in un clima in cui sionista è considerato un insulto, oppure un sinonimo di fascista o nazista, l’associazione si propone di offrire una corretta informazione sulla storia del sionismo e del conflitto israelo-palestinese e anche sulla realtà israeliana di oggi, di cui moltissimi faticano a comprendere sia la varietà e la complessità sia le legittime preoccupazioni per la sicurezza, che dopo il 7 ottobre si sono inevitabilmente intensificate. A questo scopo è stato creato il laboratorio Rabin.
Agire in un contesto non esclusivamente ebraico (anzi, in cui gli ebrei sono minoranza) a mio parere, oltre a permettere il cambio di scala a cui ho accennato prima, è fondamentale per evitare ambiguità sul senso dell’impegno degli ebrei italiani a favore della soluzione due popoli, due Stati: non siamo israeliani all’estero, e del resto Israele è lo Stato dei suoi cittadini, non è lo Stato etnico degli ebrei; siamo cittadini italiani che agiscono nell’ambito della società e della politica italiana, criticando ciò che deve essere criticato dell’attuale governo israeliano, ma in una prospettiva che giudica ogni conflitto e ogni leader nelle giuste proporzioni; senza dare l’impressione, per esempio, che consideriamo Netanyahu peggiore di Putin o dei leader di Hamas.
In questa prospettiva credo sia anche molto importante che tra le tesi uscite dal congresso ci sia molta attenzione alla lotta all’antisemitismo nelle sue diverse manifestazioni – comprese le strumentalizzazioni e le distorsioni relative al Giorno della Memoria – e anche al recupero di un rapporto tra la sinistra e il mondo ebraico italiano che è decisamente in crisi: un problema che a mio parere è un gravissimo errore liquidare frettolosamente criminalizzando le Comunità ebraiche italiane e accusandole in blocco, senza percepire alcuna differenza e sfumatura tra l’una e l’altra, di seguire pedissequamente la politica di Netanyahu. In quest’ottica di attenzione al mondo ebraico credo sia stata molto opportuna, se non altro dal punto di vista simbolico, la scelta di iniziare il congresso solo dopo la fine di Shabbat, anche se questo ha limitato i tempi destinati al dibattito e alla discussione sulle tesi congressuali.
Operare efficacemente per la pace e per la soluzione due popoli, due Stati è un obiettivo non completamente alla nostra portata, per quanto anche il nostro piccolo contributo possa avere una sua utilità. Superare, almeno in parte, la diffidenza tra la sinistra e le Comunità ebraiche italiane, far capire ai molti ebrei che ne dubitano che è ancora possibile votare a sinistra e far capire alle molte persone di sinistra che fraintendono che gli ebrei italiani non sono tutti a favore di Netanyahu, e che la solidarietà a Israele espressa dalle Comunità ebraiche non significa automaticamente appiattimento acritico sulla politica del suo governo: questi sono obiettivi pienamente alla nostra portata, e dunque un’associazione che li persegue con le dimensioni, le competenze e le risorse adeguate è indubbiamente un’ottima notizia.