Cesare Alvazzi, partigiano per sempre

di Bruna Laudi

 

“Fischia il vento…”, con questa canzone, in un freddo pomeriggio di gennaio, abbiamo accompagnato Cesare, che se ne è andato, a quasi 97 anni, abbracciato dall’affetto di tanti e, soprattutto, dei suoi quattro figli. C’erano i compagni dell’ANPI di varie zone, ormai eredi di una memoria molto sentita a Torino, nelle valli e nelle montagne piemontesi. Lui stesso, negli ultimi anni, aveva portato il suo saluto a tante cerimonie di addio a vecchi partigiani ed era sempre presente alle numerose manifestazioni commemorative che costellano il calendario dell’ANPI, con le sue parole e i suoi ricordi.

Chi lo ha conosciuto, come chi scrive, solo negli ultimi anni della sua vita, non potrà dimenticare il suo sorriso e il suo modo di vestire in cui il color khaki era dominante: pantaloni, camicia, maglia. Era il suo modo per rammentare a tutti la sua storia ma anche, come dice la sua primogenita Anna, per affermare con l’aspetto esteriore il suo concetto di sobrietà. Ho visto e ascoltato con molto interesse una intervista che Cesare rilasciò a 79 anni, nel 2005, in cui compariva con un abbigliamento per me insolito, con camicia e giacca, sempre sobrio, ma tradizionale: ho letto nella sua espressione le capacità organizzative, l’attitudine al comando, non di tipo dirigistico e autoritario, ma competente e molto rispettoso dell’interlocutore. Raccontava nell’intervista che quando era dirigente alla CEAT era ben consapevole di quanto fosse dura la vita degli operai e di come le sue decisioni fossero sempre coerenti con questa consapevolezza. Dal colloquio con Anna ho capito che questa sua sensibilità non fu molto apprezzata in ambito padronale negli anni caldi delle lotte sindacali. Questo il dialogo con il presidente della CEAT che qualche anno fa Cesare riferì in una intervista ad Ha Keillah: “Alvazzi – mi dice – lei non è abbastanza anti-operaio!” “Lo considero una medaglia” gli rispondo io. Poco dopo si sarebbe licenziato.

La casa di Cesare a Oulx meriterebbe un articolo a parte: dire che è un museo vivente è riduttivo. Tra quelle mura si respira la storia, l’eredità di una morale austera, l’immensa cultura di chi per generazioni ha tramandato i suoi libri, il passaggio delle generazioni che si ritrova nelle suppellettili ma anche negli armadi, dove ancora sono appesi i vestiti della nonna di Cesare. C’è una teca con guanti e altri oggetti appartenuti alla sua bisnonna, Irene Chiapusso Voli, pittrice dilettante, abilissima nel dipingere quadri naturalistici floreali, che si narra vestisse in modo molto vistoso. Nelle pareti dell’ampio vano scale si trovano le lapidi di due illustri antenati, Giuseppe Siccardi padre di importanti leggi di separazione tra Stato e Chiesa del Regno di Sardegna  e di Luigi Des Ambrois, senatore del Regno: il visitatore resta in attesa, come se da una delle porte dovesse comparire improvvisamente uno dei personaggi che hanno abitato in quelle stanze nei secoli passati: sono presenze che ti accompagnano discretamente mentre sei seduto tra montagne di libri e giornali accatastati.

Cesare ha avuto una vita lunga e intensa: giovanissimo si è unito ai partigiani, aveva 17 anni! Era amico di Paolo Gobetti, la cui madre Ada stava organizzando la Resistenza delle bande di Giustizia e Libertà nell’alta Val di Susa: Ada dapprima si mostrò riluttante di fronte a un ragazzo così giovane ma presto si convinse della sua affidabilità.  Nell’aprile ’44, rimase gravemente ferito dall’esplosione di una spoletta mentre maneggiava armi che era incaricato di recuperare per i compagni; tornò a casa per la convalescenza, guarì ed evitò l’amputazione della mano grazie all’aiuto della mamma che gli faceva impacchi di candeggina per evitare la cancrena. Pur portando visibili i segni della grave ferita, dopo solo tre mesi tornò sulle montagne, accompagnato dal padre, antifascista, che appoggiava con convinzione la scelta del figlio.

Mi sono chiesta da dove venisse il coraggio di tanti genitori che in quel momento tragico sostennero le decisioni dei figli, pur sapendo che rischiavano la vita.  La famiglia di Cesare era molto importante a Oulx: il padre, Alessio Alvazzi del Frate, era magistrato, Primo Presidente della Corte di appello di Torino, un uomo colto e di grande valore morale; era un alpinista esperto, come i suoi fratelli, e questo sicuramente lo aveva forgiato nella consapevolezza del rischio e nel carattere, dandogli il coraggio necessario ad affrontare pericoli e imprevisti. Un personaggio autorevole e severo ma convinto della giustezza delle scelte del giovane figlio.

Dopo la guerra Cesare riprese gli studi, e si laureò in chimica: cominciò a lavorare alla CEAT dove fece una brillante carriera prima a Torino poi ad Anagni. Si sposò con una compagna di liceo da cui ebbe quattro figli: avendolo conosciuto ormai anziano mi sono chiesta più volte che tipo di padre fosse Cesare che, invecchiando, era sempre sorridente, con uno sguardo molto dolce. In realtà, dalla testimonianza di Anna, emerge una figura decisamente autorevole, che faceva alzare tutti rigorosamente alle sette al mattino, sostenendo che bisogna essere sempre pronti!

Per raccontare Cesare in modo più intimo decido di andare in casa di Elena Ottolenghi, compagna di Cesare negli ultimi anni, figura storica del Gruppo di Studi Ebraici, testimone instancabile degli avvenimenti che hanno segnato la sua infanzia di bambina ebrea perseguitata. Le risposte alle mie domande sono a più voci, perché oltre alla figlia Anna e a Elena è presente anche Ada Vita Finzi, figlia di Elena, che ha avuto modo di conoscere e amare Cesare, ormai anziano ma sempre indomabile.

 

Che padre è stato Cesare?

Si racconta che fosse uno studente non troppo diligente, che non amasse lo studio sistematico: la sorella Maddalena, bravissima, e che aveva frequentato la stessa scuola, veniva sempre portata a confronto e modello. Ma dai figli pretendeva il massimo: “Oportet studuisse” è importante aver studiato motto che scoraggiava, gli sforzi compiuti non erano mai sufficienti. Però riaffiorano nei ricordi di Anna l’aiuto del padre nelle attività manuali e pratiche, oppure nella stesura dei temi, visto che era molto abile nella scrittura. Cesare ha sempre amato le attività manuali, anche molto anziano costruiva e riparava da solo qualunque cosa: dal rifacimento di un pavimento in legno alla costruzione di un piccolo bagno di fortuna nei locali prospicienti il giardino della casa di Oulx.

Anche se molto impegnato nel lavoro e poco presente a casa, era efficientissimo nell’organizzare escursioni con la famiglia. Molto divertente la scena della ricerca degli scarponi adatti a ogni piede quando la famiglia si apprestava a una gita in montagna: da un armadio uscivano montagne di scarpe: i ragazzi erano quattro, in continua crescita …

Nostra madre, ricorda Anna, era completamente diversa, anticonvenzionale, ben felice del trasferimento a Roma, lontano dall’austera famiglia: pur se ferma su certi principi lasciava liberi i figli, bevevano la coca cola (ricorda ironicamente scandalizzata una cugina)!

Nel 1965 Cesare fu mandato dalla CEAT a sostituire un dirigente nella fabbrica di Anagni e per due anni moglie e figli trascorsero le estati al mare nel Lazio: la famiglia si trasferì definitivamente a Roma nel 1967 quando Cesare ebbe l’incarico stabile di dirigente nello stesso stabilimento.

Ad Anagni gli operai erano di origine contadina, chiedevano i permessi per la vendemmia, lui li concedeva sentendosi però rimproverare dalla proprietà: “Lei non è abbastanza antioperaio”. Negli anni del terrorismo lui cercava di dialogare, ma anche questo atteggiamento non venne apprezzato, finché decise di lasciare la fabbrica e diventare consulente.

Rimase vedovo a 73 anni, era molto depresso inoltre era sofferente per un’ernia ma, fedele ai suoi principi, non voleva assolutamente interpellare un medico: alla fine si lasciò convincere a farsi visitare ed operare dietro promessa di ricevere una mountain bike. A 89 è sceso dal Fraiteve a Oulx con una bicicletta pieghevole: amava salire con la seggiovia e scendere a rotta di collo. Era incosciente e fortunato: una volta dopo essere salito sul tetto di una casa per togliere la neve dal lucernario era caduto di testa nella soffitta procurandosi un trauma cranico: come se nulla fosse accaduto ha preso l’aereo per raggiungere la figlia a Vienna.  La famiglia possedeva una casa sulle pendici del Rocciamelone, sopra Novalesa, raggiungibile dopo circa tredici tornanti: guidava una Volvo, erano tanti, scendendo si è spostato di lato per far passare un’altra auto e una pietra ha bucato il serbatoio: fece scendere tutti e affrontò discesa e tornanti da solo, in folle.

Quale era la relazione di Cesare con il mondo ebraico? Negli ultimi anni Cesare si era associato al Gruppo di Studi Ebraici.

Quando Cesare e famiglia risiedevano a Torino abitavano nello stesso palazzo della famiglia dello scultore Terracini: la figlia Laura si era molto legata alla moglie di Cesare che era diventata la sua amica adulta e confidente. Quando gli Alvazzi si trasferirono a Roma, Laura li accompagnò per aiutare nella sistemazione nella nuova casa. Il fatto che i Terracini fossero ebrei era assolutamente ininfluente nei rapporti tra le due famiglie: quella di Cesare era laica, non si poneva la questione religiosa, la dimensione religiosa non esisteva. Solo dopo tanti anni, dopo aver conosciuto Elena a un corteo per il XXV aprile e condiviso con lei esperienze e ricordi, Cesare ha cominciato a capire il mondo ebraico, altrimenti per lui gli ebrei erano “persone”, indipendentemente dalla loro appartenenza. La laicità non era un valore acquisito dalla famiglia di origine, che invece era profondamente cattolica anche se in modo colto e non bigotto. Si era sposato in chiesa perché lo zio della moglie era prete, ma è stata l’unica concessione insieme al battesimo dei figli.

In modo analogo si può dire che Cesare non è mai stato comunista: non si riconosceva in un profilo di partito però si riconosceva come persona di sinistra con forti valori sociali: ma con atteggiamento laico.

 

Le memorie partigiane ricorrevano nella vita della vostra famiglia?

Il discorso sui partigiani è rimasto sopito per molto tempo: solo negli ultimi anni, grazie anche a Elena, Cesare ha capito l’importanza della comunicazione nelle scuole. Ada ricorda un episodio molto significativo: aveva portato i ragazzi della scuola dove insegna e che, per la maggior parte non sono di origine piemontese, ad assistere allo spettacolo teatrale “Tempesta 1944-1945” di Marco Gobetti, incentrato sulla figura del Partigiano Mario Costa, caduto il 2 agosto 1944 sul Monte Genevris, e sull’amicizia che legava quest’ultimo al Comandante “Cesarino”. Mentre gli studenti assistono silenziosi allo spettacolo si apre una porta e l’attore Marco Gobetti si interrompe e dice “aspetto che il signore si sieda!” Risposta dal fondo: “sono Cesare Alvazzi”, si avvia deciso sul palco, si siede a gambe incrociate e, mentre raccontano la sua storia, lui interviene per correggere. Nessuno riuscì a convincere gli studenti che la scena non fosse stata concordata in precedenza.

 

Per avere informazioni più dettagliate sulla biografia di Cesare si consiglia:

Intervista a cura dell’ISTORETO, marzo 2004:      https://m.youtube.com/watch?v=ijAr2I8S1rg

Intervista a Noi, partigiani:                         https://www.noipartigiani.it/cesare-alvazzi-del-frate/

Intervista a Massimo Ottolenghi e Cesare Alvazzi Del Frate, David Terracini. Ha Keillah, maggio 2015                                                                                www.hakeillah.com/wp-content/uploads/2015_02.pdf