CHI È L’OMOFOBO MODERNO?

 

di Meir Brauner

Ricopro da oltre un anno ormai la carica di presidente di Magen David Keshet (arcobaleno) Italia, la prima e unica organizzazione LGBTQIA+ ebraica in Italia, da noi fondata nel 2015 perché esausti nel vedere molti amici scegliere la via dell’auto esilio per poter vivere serenamente la propria identità.

Fu per tutti noi una scelta molto sentita. Da sempre ripudiavamo l’idea di vivere un’esistenza incentrata solo sulle aspettative di chi ci circondava e mai avremmo potuto più vivere all’insegna della menzogna verso noi stessi e verso gli altri. Fondammo così Keshet Italia per offrire da una parte, nelle nostre comunità, un luogo sicuro e protetto alle persone ebree LGBTQIA+, un punto di riferimento che favorisse un confronto aperto e una crescita collettiva e, dall’altra, un necessario riferimento per combattere l’antisemitismo serpeggiante all’interno del movimento LGBTQIA+.

Ma come? – direte- le nostre comunità non sono omofobe, anzi sono in grado di capire, accettare e includere chiunque dei propri iscritti.

Ma è davvero così? O ci troviamo solamente davanti a una affermazione non vera che consente a troppi di ignorare il problema?

Dove sono quindi questi membri apertamente LGBTQIA+ nelle nostre comunità ?

Perché i dati statistici comunitari non corrispondono alla presenza media di persone dichiaratamente LGBTQIA+ all’interno della società?

Possibile che non ci sia un solo consigliere, insegnante, rabbino dichiaratamente LGBTQIA+ in nessuna delle comunità ebraiche italiane? E’ possibile che neanche tra i/le nostr* ragazz * non siano presenti persone LGBTQIA+? Quali sono gli atti concreti di inclusione e contro l’omotransfobia che ad oggi sono stati intrapresi pubblicamente in una qualunque delle nostre comunità?

Non avendo risposta positiva a nessuna di queste domande sorge spontaneo dedurre che il problema ci sia e che rischi seriamente di essere alimentato dal silenzio che ci circonda su questi temi.

Per anni ho sentito trattare la questione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale come qualcosa da evitare, che non ci doveva riguardare, di contagioso e nei casi migliori come una questione di libero arbitrio, di moda, di fenomeno passeggero o, peggio,  di una ideologia! Mi sono sempre chiesto a proposito: “ma una questione così attuale, che riguarda tutti, in particolare i nostri giovani, come si può scientemente decidere di non trattarla in modo da poter imparare a conoscere ed accettare le diversità?”

Questo, volenti o nolenti, ci porta davanti a chiare conseguenze: non capire che una parte della nostra comunità si sta allontanando fisicamente nel silenzio in quanto non conforme alla  maggioranza comunitaria oppure addirittura le viene chiesto di snaturarsi per rimanere.

Quali alternative si mettono nelle mani di una persona che la comunità emargina e decide di non comprendere, se non l’allontanamento reciproco e la perdita della propria identità ebraica?

L’indifferenza per molti anni è stata l’arma di molte comunità e, per quanto silenziosa e discreta, per molti di noi  è stata frutto di grande dolore e distacco dai propri affetti.

E poi come non ricordare che quando qualcuno di noi ha provato a chiedere consiglio a insegnanti o rabbini nell’affrontare la sua reale identità, il risultato è sempre stato quello di sentirsi ancora meno accettati? Eppure, esistono esempi, in altri paesi europei, di leadership ortodosse che hanno avuto il coraggio di prendere posizione e di farlo pubblicamente, condannando con forza ogni atto di omotransfobia all’interno delle comunità e predisponendo linee guida e iniziative di formazione per insegnanti e studenti, a tutela del benessere fisico e psicologico specialmente (ma non solo) de* ragazz* LGBTQIA+ e non.

Dal 2015 poi ho visto negare, o anche solo cercare di farlo, più volte la possibilità di parlare di questi temi in quei luoghi dove io, i nostri fratelli e sorelle e amic* siamo cresciuti e abbiamo passato le nostre infanzie. Non più tardi di sei mesi fa ho visto togliere le sale  dell’Hashomer Hatzair e quelle del Bnei Akiva, precedentemente assegnate ai giovani delle principali organizzazioni giovanili ebraiche provenienti da tutta italia, quando si venne a sapere che  lo Shabbaton organizzato verteva sui temi dell’inclusione della comunità LGBTQIA+ nel mondo ebraico.

Inoltre mettere in locandina il nostro logo affiancato a quello di altre organizzazioni è spesso ancora motivo di attrito/scandalo da parte di molti nella nostra Comunità. Eppure, il nostro intento è quello di promuovere rispetto, inclusione, accettazione e valorizzazione delle diversità, combattendo l’”omolesbobitransfobia”. Non di certo quindi promuovere l’omosessualità o la transessualità (come se si potesse promuoverle visto che essere gay, lesbica o transgender non è una scelta).

Oltre alla violenza fisica o psicologica subita da terzi, le ricerche evidenziano un altro allarmante dato: e cioè che il tasso di atti autolesionistici e di suicidi nella popolazione scolastica LGBTQIA+ è particolarmente alto e, se mai un ragazzo ebreo dovesse attentare alla propria vita, allora dovremmo essere sicuri che tutte le istituzioni ebraiche abbiano fatto tutto il possibile per prevenirlo.

Come ci insegna il muro dell’indifferenza al binario 21 a Milano, non vorremmo arrivare mai al punto che questo muro possa diventare scudo di alcuni e lapide per altri!

Mi chiedo a questo punto: perché continuiamo a non voler informare tutti? Non è importante avere i ragazzi, le famiglie e poi avere maestri, consiglieri, rabbini  informati e sensibili su questi temi all’interno delle comunità e quindi più accoglienti nel rispetto dei rispettivi convincimenti?

Ebbene anche in seguito ai gravi atti di omofobia e discriminazione avvenuti durante lo scorso anno presso le scuole ebraiche romane è venuto il momento di smetterla di tacere, smetterla di essere contornati da questa indifferenza e, da fieri ebrei combattere, per assicurarci che tutti i nostri figli abbiano lo stesso trattamento, comprensione e vicinanza.

Permettetemi infine di ringraziare chi invece si è esposto, in occasione del Consiglio di giugno della Comunità Ebraica di Roma, all’interno dei movimenti giovanili o in qualunque altro luogo, a favore dell’inclusione e della lotta contro l’omolesbobitransfobia che inquina le nostre comunità.

Meir Brauner

Presidente M.D.Keshet Italia