di Giorgio Canarutto

28 luglio – 6 agosto 2024

Appena ne sono venuto a conoscenza ho subito provato interesse per un programma del Center for Jewish NonViolence, che permette di vivere alcuni giorni in un villaggio palestinese. La presenza, infatti, di “internazionali” può essere di molto aiuto ai palestinesi che subiscono le violenze dei coloni: la mia presenza avrebbe  potuto essere utile.
L’appuntamento con gli altri partecipanti e i due coordinatori, Dina e Oriel, è nel bel  Educational Bookshop nel quartiere arabo di Gerusalemme.
Dina e Oriel ci fanno un’introduzione, ci mostrano una mappa interattiva di B’Tselem, che mostra l’estensione dell’occupazione in Cisgiordania, in cui è possibile evidenziare a comando i diversi elementi del territorio, ad esempio le aree A, B, C, gli insediamenti, le zone militari chiuse. La zona in cui andremo, South Hebron Hills è nella cosiddetta area C dei Territori Occupati, a totale controllo israeliano, quella in cui i residenti palestinesi sono più minacciati di espulsione. Il nostro compito è documentare con telecamere le prepotenze dei coloni che altrimenti, davanti all’autorità israeliana, avrebbero ragione in partenza.

Può capitare che un soldato israeliano dica che il terreno in cui ci si trova è “zona militare chiusa”; in quel caso, spiegano i coordinatori ai volontari, bisogna chiedere di mostrarci l’ordine che lo documenterebbe. In caso di problemi, dobbiamo chiamare la polizia e farci assegnare un numero di pratica.

Siamo dodici volontari preparati e determinati, uomini e donne, giovani e no. Anna, una di noi, americana come gran parte del gruppo, mi ricorda che gli USA spendono oltre 3 miliardi di dollari in aiuti  a Israele per spese militari e questo viaggio è un’occasione per controllare come vengono spesi i soldi delle tasse.
Un pulmino ci porta a sud di Hebron, nel territorio di Masafer Yatta, nel villaggio beduino di Umm Al-Khair. Qui ci dividiamo, in sei rimarremo qui, sei andranno a Susya, a 10 minuti di macchina da qui, distribuiti tra diverse famiglie che vivono lontane l’una dall’altra. A chi andrà a Susya viene data una borraccia con filtro; lì non ci sarà acqua potabile. A differenza del gruppo di Susya, noi a Umm Al-Khair passeremo un periodo tranquillo, avremo modo di ascoltare esperienze vissute in prima persona.

Umm Al-Khair è un villaggio diviso in più parti; la prima in cui risiediamo è divisa in due dalla strada che porta alla colonia di Carmel, un’altra parte del villaggio è a un centinaio di metri di distanza da noi su un’altra propaggine della collina. Il villaggio è collegato ad una tubatura d’acqua, alcuni rubinetti vicino alla cucina forniscono acqua filtrata e raffreddata. Abbiamo a disposizione con gli altri abitanti di questa parte del villaggio due docce e due gabinetti. L’energia elettrica è fornita da pannelli solari. La linea elettrica che collega la colonia di Carmel sopra di noi al grande allevamento di polli sotto di noi, non ha una diramazione per il nostro villaggio. Di giorno dalle 10-11 fa molto caldo fino a circa le 16 e ci si rifugia sotto il telone del Community Center, ma di solito verso sera  si alza una bella brezza e si sta meglio che a Torino.

Il capo del villaggio, Awdah, il suo vice, Tariq e una terza autorità, Eid, che vive dall’altra parte del villaggio, ci raccontano la storia del villaggio. Appartengono alla tribù beduina degli Jahalin. Nel ’48 risiedevano ad Arad dove gli era stato proposto di rimanere, ma avrebbero dovuto fare il servizio militare. Hanno rifiutato, e se ne sono dovuti andare per venire a Susya che allora era Giordania. Nel 1980 gli israeliani hanno cominciato a costruire la colonia confinante di Carmel.

Ci raccontano come avviene l’espropriazione della terra. “Ad un certo punto una o pochissime persone portano una roulotte su un rilievo. “L’outpost”, l’insediamento, pur risultando non autorizzato, viene da subito “protetto” dall’esercito, oltre che in breve tempo collegato alle reti di acqua ed energia elettrica. Quando il colono si avvicina alle pecore degli abitanti palestinesi, Israele tutela la “sicurezza” del colono (e dell’insediamento non autorizzato), e restringe gli spazi a disposizione dei palestinesi. Cinque anni fa ci hanno chiuso tutti i possibili spazi per pascolare. Nel 2022 è arrivato il colono Shimon, (Shimon si è costruito una casa isolata, fuori dall’insediamento vicino all’allevamento di polli) con poche pecore; noi, dice Tariq, ne avevamo centinaia, ha cominciato a ammazzarcele. Non possiamo più portarle a pascolare, dobbiamo alimentarle con del mangime. Una tonnellata di mangime per le pecore, con cui possono mangiare 50 pecore per 10 giorni, costa 2500 shekel, (circa 625 euro), troppo caro per potercelo permettere”.

Nel 2022 l’esercito è venuto a sequestrare delle automobili: il padre di Eid si è messo davanti a un camion, l’hanno messo sotto, è morto 12 giorni dopo, aveva 68 anni, hanno chiuso l’indagine subito. Un murales lo ritrae nel villaggio. Il padre di Eid era stato uno dei primi a credere nella non violenza; lo Shabak (servizio segreto), li aveva minacciati che ci sarebbero stati altri morti se avessero fatto qualcosa ai coloni.

Adesso le autorità israeliane dicono agli abitanti del villaggio che le costruzioni posteriori al 1975 sono illegali e devono essere demolite. A fine giugno l’esercito ha abbattuto sei case, i coloni hanno tagliato la conduttura d’acqua al villaggio, poi per fortuna ripristinata; alle demolizioni sono seguite le violenze dei coloni. Sono entrati nelle case dei beduini, hanno spruzzato spray al peperoncino, hanno sparato in aria. Dieci persone sono state ferite. Un bambino di tre anni ha chiesto se i coloni avrebbero continuato a uccidere.

Awdah, capo del villaggio, nonché insegnante, ci racconta: “Anni fa per festeggiare il successo all’esame di maturità di un ragazzo avevano lanciato fuochi d’artificio. Sono arrivati i coloni; hanno fatto stendere per terra i maschi adulti davanti a mogli e figli e gli hanno fatto promettere che non l’avrebbero fatto più”. Dale, volontaria di Portland, psichiatra, ha scritto per il  bollettino del CJNV: [Shimon è] uno dei tanti coloni che regolarmente molestano e attaccano gli abitanti di Umm al-Khair e di altre comunità vicine a Masafer Yatta. Ho osservato il linguaggio del corpo dei tanti bellissimi bambini. Quando i camion passano e i volontari preparano le loro macchine fotografiche per documentare, le risate dei bambini e il rumore del parco giochi si fermano. I volti diventano seri. I bambini rumorosi si calmano. Sento dire che Shimon appare nei loro incubi. I genitori e gli zii cercano di confortarli, ma ammettono che Shimon appare anche nei loro incubi.

Dopo il 7 ottobre la pressione dell’occupazione è aumentata: i riservisti delle colonie vicine si sono sostituiti ai militari occupati nell’assedio di Gaza, spadroneggiando nel villaggio.

Gli abitanti sono contenti della nostra presenza: in qualche modo, sembra che scoraggiamo visite di disturbo. Awdah dice: “Cosa vogliamo? Acqua ed energia elettrica”. Penso che vorrei farlo parlare con quelli che dicono che i palestinesi vogliono buttare a mare gli ebrei.

Ishdia, un ragazzo che si occupa di noi, si lamenta di non poter godere degli spazi aperti. Un’altra volta racconta: “Mi hanno arrestato qui nel villaggio: mi hanno trattenuto mezz’ora, poi mi hanno portato alla base dell’esercito dove mi hanno picchiato e trattenuto 17 ore prima di liberarmi.
Ishdia è in ansia per il risultato dell’esame di maturità: la mattina in cui vengono pubblicati i risultati comunica di essere stato promosso.  Ci congratuliamo calorosamente con lui, il villaggio fa festa.

Nel villaggio ci sono molti bambini, sono contenti di interagire, quando mi incontrano vogliono battere i palmi delle mani con me, mi chiamano per nome o mi chiedono come mi chiamo: due che incontro più spesso mi dicono “Io mi chiamo Arafat, io Mahmood”. Qualche volta mi chiedono se faccio girare la giostra a spinta, sulla quale giocano bambini e bambine separatamente.

La mattina del 31 luglio leggiamo la notizia dell’uccisione di Haniyeh, capo di Hamas, e di un attentato a Kiryat Arba. Un ragazzo del villaggio che partecipa alle guardie notturne, con espressione arrabbiata, mi fa vedere che sta guardando un video di Haniyeh. Cerco di esprimergli a gesti che non ci posso fare niente.  L’atmosfera internazionale cambia. Alcune compagnie cominciano a cancellare i voli, amici e parenti fanno pressione perché io acceleri il ritorno. Cosa che in effetti faccio.

2 agosto

È prevista una festa di nozze: Il matrimonio si svolge regolarmente, sono attese settecento persone, vengono cucinate venticinque pecore; l’esercito ha fatto smontare la tenda delle donne ma ne lasciano altre due. Uomini e donne fanno festeggiamenti completamente separati, ho l’impressione che anche sposo e sposa non si vedano quasi nei due giorni di festeggiamento. Le donne del nostro gruppo si mettono il vestito bello e la sera prima del matrimonio ballano con le donne del villaggio e le invitate. La mattina dopo, al nostro risveglio, le tende sono state smontate.

3 agosto.

Altri attivisti passano dal nostro centro. Zena, americana di origini palestinesi, parla del villaggio di Qusra nella Valle del Giordano. Qusra è quasi completamente circondata; una volta circondata del tutto non sarà più materialmente possibile rimanere. Il villaggio è diviso in due da un cancello, due posti di blocco alle estremità del villaggio.  I palestinesi chiedono la riapertura del cancello. Si sono ripetuti attacchi di coloni per provocare i palestinesi e creare le condizioni per negare il permesso della riapertura. Droni, violenze dei coloni, ragazzi palestinesi lanciano pietre. Alla fine, vengono messi blocchi di pietre per impedire definitivamente il passaggio tra le due metà del paese. Noto che Zena ha ragione, gli insediamenti non sono disposti a caso, ma per impedire lo sviluppo e spesso togliere terreno agli insediamenti palestinesi esistenti. “Nei 10 comandamenti non c’è scritto prenditi la terra del tuo vicino”, dice Zena.

Spesso leggiamo, nella chat di gruppo di volontari, notizie di incontri ravvicinati con coloni. Un giorno leggiamo di un asino rubato e poi recuperato, un altro leggiamo che i nostri compagni di Susya sono stati aggrediti dai coloni. Alla sera, Sydney, con alcuni del gruppo di Susya, passa da noi a Umm Al-Khair. Sydney racconta che un gruppo di coloni ragazzini ha invaso una proprietà e ha cominciato a rubare dell’uva. Ragazzini di circa 16 anni, alcuni mascherati, altri con pietre in mano. Gli aggrediti hanno chiamato la polizia: ci è voluto molto tempo prima che arrivassero le forze dell’ordine, la polizia al telefono rispondeva di avere casi più urgenti di cui occuparsi.  Nella confusione gli aggressori sono riusciti a impossessarsi di un telefono, che i nostri compagni sono poi riusciti a recuperare, a rubare uno zainetto contenente il passaporto canadese e l’insulina di Jordan, a dare un pugno in faccia a Matthew e rompere il suo telefono.
La polizia non ha fatto niente per arrestare i coloni, ha detto che non si trattava di coloni ma di residenti, che contro minorenni non avrebbero potuto fare niente, che non si trattava di un attacco ma di confronto tra parti sullo stesso piano.
Sono anche intervenuti dei coloni adulti e hanno cominciato a spingere i volontari e il pastore palestinese. Con loro hanno provato a parlare ma i coloni rimanevano imperturbabili e continuavano solo a spingere.
La polizia è infine intervenuta ma solo per interrompere la violenza, ha detto che tra loro non c’era un ispettore e che non erano qualificati a raccogliere la denuncia, che gli stavano facendo perdere tempo, uno si lamentava che invece che stare lì avrebbe dovuto andare a festeggiare lo Shabbat con i figli e quindi che andassero a sporgere denuncia alla stazione di polizia di Kiryat Arba.
Al posto di polizia di Kiryat Arba hanno detto che non c’è l’ispettore, di tornare il giorno dopo, domenica. Il giorno dopo sono stati respinti dal posto di polizia di Kiryat Arba, mandati a quella di Machpelà e respinti anche di lì. Jordan, non ha più recuperato il suo passaporto, ma è fortunatamente riuscito a ottenerne un altro tramite l’ambasciata. La polizia, intervistata da Haaretz, ha risposto che la denuncia era stata accettata. Gideon Levy, giornalista di Haaretz, nota che all’ingresso dell’insediamento di Kiryat Arba la guardia ha persino chiesto ai volontari se fossero ebrei o cristiani, domanda che in nessun paese democratico sarebbe considerata legittima.

5 Agosto

Parliamo con Eid Suleiman dall’altra parte del villaggio: una delle case che l’esercito aveva tirato giù il mese scorso era la sua.
La sua famiglia, espulsa da Israele nel 48 è arrivata qui negli anni 50: ha comprato la terra, ha costruito la casa, lui è nato e cresciuto qui. Adesso gli chiedono di vedere il permesso di costruzione. Secondo Eid, il colono Shimon, ebreo marocchino venuto qui per la crisi economica, fa il lavoro sporco di cacciare i palestinesi per uno dei responsabili della colonia di Carmel, David Siegel. Pensa che i ragazzini di 16 anni che sono mandati dai coloni siano ragazzi disadattati e che sia questo il percorso di reinserimento che viene loro proposto. Un colono, Bezalel Talia, del Sud Africa, a fine ottobre ha messo tutti contro il muro, ha distrutto i telefoni, poi ha compiuto altre azioni criminali e per questo è stato arrestato. Ora è nella lista dei sanzionati dall’America. Secondo Eid le sanzioni contro i coloni e le loro organizzazioni, ad esempio Regavim, a cui fa capo la colonia di Carmel, potrebbero funzionare. (L’opinione di Awdah, invece, è che bisognerebbe sanzionare i ministri). Queste organizzazioni sono registrate negli Stati Uniti come organizzazioni di carità e possono ricevere finanziamenti e così i coloni possono permettersi di affittare droni di sorveglianza di elevata qualità per filmare illegalmente le proprietà altrui.
“Usano la legge per rendere la nostra vita miserabile. Usano la legge inglese, quella giordana, quella militare, quella che più gli conviene.”

6 Agosto, ce ne andiamo

Sia a Susya che a Umm Al-Khair i coloni annunciano che approfitteranno della nostra assenza.
Nei giorni successivi apprendiamo che a Umm Al-Khair sono venuti di nuovo a distruggere case che stavano cominciando a ricostruire.
A Susya un pastore palestinese è stato arrestato. Sono arrivati i coloni, gli hanno spruzzato dello spray in faccia, sono stati loro a chiamare la polizia. La polizia lo ha arrestato. Sembra che abbiano chiesto una cauzione troppo alta per le sue possibilità.

image_pdfScarica il PDF