di Anna Segre

Una presentazione a Torino alla libreria Bardotto avvenuta alcuni mesi fa mi ha offerto l’occasione di scoprire i libri di Mario Pacifici e conoscere di persona l’autore, molto simpatico. Pacifici, che nella vita lavorativa ha fatto tutt’altro (imprenditore nel campo della moda) ha iniziato a dedicarsi alla letteratura nel 2012 con Una cosa da niente e altri racconti che descrive l’impatto pesantissimo delle leggi razziali sulla vita delle persone, molto più devastante di quanto molti credono ancora oggi. A questo primo libro è seguita nel 2014 un’altra raccolta di racconti, Daniel il matto.

La pedina e Rachele e Giuditta, usciti nel 2023 con l’editore Gallucci, sono due romanzi ambientati entrambi a partire dal 1827; con un curioso gioco di incastri Rachele e Giuditta potrebbe essere definito il sequel della Pedina, che però ha una seconda parte ambientata nel 1848, e quindi diviene a sua volta in parte il sequel di Rachele e Giuditta.

La pedina si ispira, come dichiara l’autore stesso, al caso Mortara, ma alcune circostanze sono un po’ diverse: ci troviamo a Roma nel 1827 e la famiglia del bambino rapito è molto povera; inoltre scopriamo ben presto che il rapimento si inserisce nell’ambito del contrasto tra conservatori e modernisti all’interno della curia. In parte diverso dal caso Mortara è anche il seguito della storia, che prende il via dai tentativi della famiglia e della Comunità ebraica per riavere indietro il bambino e assumerà i toni del giallo, in una vicenda intricatissima e ricca di colpi di scena, che sarà svelata, come accennato in precedenza, solo molti anni più tardi. Molto efficace la descrizione del primo incontro del ragazzino ebreo con il nuovo ambiente in cui è stato forzatamente inserito.

Rachele e Giuditta ha, invece, i toni del romanzo di avventure, anche se non mancano neppure lì delitti e misteri. Dal mondo chiuso e cupo del ghetto nella Roma papalina si passa a una Rodi ricca di luce, profumi e opportunità, dove gli ebrei non sono rinchiusi né vincolati; tuttavia, corrono pericoli non meno gravi dei loro fratelli romani perché anche a Rodi c’è chi li odia ed è pronto a tutto per danneggiarli.

I due romanzi hanno un evidente intento didascalico che l’autore nella presentazione ha dichiarato esplicitamente: far riflettere i lettori sulle vessazioni e imposizioni a cui egli ebrei erano soggetti e sui rischi che correvano a causa dell’antisemitismo anche dove formalmente erano liberi. Alla fine di ciascuno troviamo alcune pagine intitolate “La linea di demarcazione tra realtà e romanzo” in cui si spiega con chiarezza quali eventi e personaggi sono storici e quali sono frutto di fantasia. I due testi sono comunque di piacevole lettura di per sé, per le trame avvincenti e ricche di colpi di scena che tengono il lettore con il fiato sospeso.

Non si può fare a meno di notare una certa resistenza dell’autore a parlar male dei personaggi ebrei, che finiscono per risultare talvolta un po’ troppo zuccherosi. Molto più affascinanti, a mio parere, i “cattivi”: non tanto quelli torbidissimi, amorali, viziosi, violenti, crudeli e meschini che popolano entrambi i romanzi (mai ebrei, comunque), quanto i cattivi di alto livello, un po’ come l’Innominato manzoniano (ne troviamo uno per romanzo, Gustav von Seedorf nella Pedina e Alekos Panaiotis in Rachele e Giuditta): cattivi raffinati, intelligenti, di cui conosciamo il passato e i pensieri più reconditi e che possiamo spiare anche nei momenti di intimità, in cui si rivelano più umani del previsto.

In fondo, però, anche il mondo ebraico descritto è una piacevole boccata d’aria. Non perché agli ebrei vada tutto bene, anzi, accadono cose davvero orribili. Ma è un mondo in cui gli ebrei vanno sempre d’accordo tra di loro e, se proprio ci sono divergenze di opinione, è solo perché qualcuno cade in una trappola mentre qualcun altro è meno ingenuo; poi incontriamo comunità che accolgono i profughi con la massima generosità, rabbini di provenienze e culture completamente diverse che non hanno mai la benché minima divergenza alakhica, donne ebree libere ed emancipate che si mettono a fare le imprenditrici senza alcuna preparazione specifica e hanno immediatamente successo. Un mondo fatto di rabbini sapienti, imprenditori, banchieri, filantropi, sionisti ante litteram, piccolissimi commercianti, prostitute; un mondo in cui chiunque tra le categorie sopra menzionate può sposare chiunque, con barriere inesistenti o che si rivelano nel corso della vicenda meno solide del previsto perché l’identità ebraica che li accomuna si rivela sufficiente.

Forse tutto ciò non è realistico, ma finché dura il romanzo sospendiamo l’incredulità e con un notevole sollievo lo crediamo possibile, vorremmo con tutto il cuore che fosse possibile. In fin dei conti che cosa c’è di male a sognare?

 

Mario Pacifici, La pedina, Gallucci, 2023, pp. 422, € 17,90

Mario Pacifici, Rachele e Giuditta, Gallucci, 2023, pp. 285, € 16,50

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