di Bianca Ambrosio
Il 26 maggio a Rafah le fiamme hanno incendiato le tende in una zona designata dallo stesso esercito israeliano come sicura dove si erano accampate famiglie di profughi senza altro luogo dove andare. Uomini, donne e bambini uccisi, bruciati, feriti e senza un luogo di cura a cui approdare.
Il 26 maggio a Rafah c’è stata l’ennesima strage di civili di questi mesi di guerra cieca e assurda. Questa guerra è assurda come tutte le guerre, ma lo è ancor di più perché sta trascinando Israele, e con lei, di conseguenza, anche le comunità della diaspora, in un tunnel senza fine di morte, distruzione, odio, traumi e miseria con cui dovremo fare i conti per generazioni a venire. Ci hanno raccontato che è una guerra necessaria, per difenderci, per distruggere Hamas, per riportare a casa gli ostaggi rapiti brutalmente quel maledetto 7 ottobre.
La verità è che ogni giorno si accende un nuovo fronte di guerra, incluso quello globale dell’antisemitismo che avanza ormai senza freno alcuno, che Israele è sempre più isolata, che gli ostaggi non tornano a casa, che i soldati vengono mandati a morire senza alcuna strategia di ampio respiro. E che più che annientare Hamas, questa guerra lo sta rafforzando. Hamas non potrà mai essere estinto con le bombe e per ogni militante ucciso ci sono decine di bambini che crescono nel trauma e nell’odio.
Il 26 maggio a Rafah i civili sono bruciati vivi ma i principali media israeliani ed ebraici riportano le parole di Netanyahu che parla di “tragico incidente”, di necessità di eliminare due terroristi e del danno collaterale consentito dal diritto internazionale umanitario. Molti di noi riconoscono che Netanyahu è un bugiardo criminale il cui unico interesse è il proprio potere politico, eppure ci si continua a nascondere dietro alla sua retorica ridicola che squalifica qualsiasi dissenso interno ed esterno come antisemitismo (pochi giorni fa il premier israeliano è arrivato a dire che le proteste delle famiglie degli ostaggi che scendono in piazza sono manipolazioni dei suoi avversari politici).
Nel frattempo, tutti gli altri vedono. Vedono quello che accade a Gaza tutti i giorni da otto mesi. Vedono le vite distrutte di migliaia di civili, i luoghi religiosi dissacrati, i selfie blasfemi dei soldati, vedono i continui attacchi in Cisgiordania, vedono ancora i coloni tirare giù dai camion gli aiuti umanitari diretti a Gaza e bruciare villaggi nella complicità della polizia e dell’esercito. Vedono un orrore che non si ferma davanti a nulla.
Gli unici che continuano a non volere vedere siamo noi. Ancora in lutto e traumatizzati per quello che è accaduto il 7 ottobre, spaventati da un vecchio odio antiebraico che ci travolge, siamo sempre più isolati nella nostra cecità. Non parliamo più con vecchi amici perché non in grado di empatizzare con il nostro dolore, ci chiudiamo tra di noi allontanandoci da alleati storici, siamo sordi ad appelli e petizioni delle nostre società e ci lasciamo ingannare da leader che disprezziamo ma che continuano a farci credere che questa è l’unica via.
Ma di fronte all’orrore che avviene a Gaza (e anche, non dimentichiamolo, in misura diversa in Cisgiordania) è tempo di aprire gli occhi e prendere posizione. Chiediamo giustamente che vengano riconosciuti i nostri morti, che si parli delle ragazze rapite e vittime di abusi continui, che si condannino le forme di antisemitismo moderno.
E noi? Siamo esenti dall’imperativo di condannare stragi e ingiustizie compiute per lo più in nostro nome? Possiamo permetterci di rimanere in silenzio mentre i signori della guerra provocano ogni giorno altre morti ancora?
Care Comunità, è tempo di aprire gli occhi e opporsi alla guerra.
29 maggio 2024