di Anna Segre

 

Sono dunque un ebreo laico, diasporico, ateo o meglio religiosamente agnostico, ma consapevole del margine di mistero che ci circonda, a cui l’ebraismo interessa per le sue multiformi realtà, le ragioni dell’odio che lo ha circondato e lo circonda, il suo fondarsi sulle reti della memoria, il suo rapporto tra memoria e storia, tra il particolare e l’universale, il dubbio metodico che lo accompagna, il suo privilegiare la domanda rispetto alla risposta, l’essere un pensiero del due anziché dell’uno, per il rapporto che esso realizza con il testo di ispirazione sacra e le stratificazioni delle sue interpretazioni…

Così si presenta (e presenta l’ebraismo, in una sintesi affascinante) Emilio Jona nella prefazione al suo libro Essere altrove, che raccoglie una scelta di articoli da lui scritti per Ha Keillah tra il 1988 e il 2019, nel trentennio in cui è stato redattore di questo giornale.

Emilio Jona non appartiene certamente alla schiera di coloro che nascondono dietro al paravento di una falsa modestia la propria incapacità di assumersi responsabilità e, al contempo, non è neppure tra coloro che mettono in luce se stessi denigrando o ignorando sistematicamente tutto ciò che li circonda: sempre giustamente convinto di quello che dice o scrive – e di quanto sia utile e importante dirlo o scriverlo – e fiero delle imprese collettive a cui partecipa, Emilio ha la capacità di far sentire orgoglioso e fiero anche chi gli sta intorno e condivide con lui qualche attività. Già solo vedere il nostro piccolo e acciaccato ebraismo torinese definito come lArgonopoli leviana ci fa ricordare che per quanto piccoli e acciaccati possiamo essere, siamo comunque diventati letteratura nelle parole di uno scrittore letto in tutto il mondo. E più che lusinghiere sono anche le parole con cui Ha Keillah viene descritto all’inizio della prefazione; a ben pensarci l’idea stessa che valga la pena di raccogliere in un libro e presentare così a un pubblico in gran parte non ebraico gli articoli scritti per il nostro bimestrale è un atto di fiducia straordinario, che non può non riempire di orgoglio e gratitudine chi ha avuto il piacere e il privilegio di condividere con Emilio in tutto o in parte il suo trentennio redazionale.

La parte nuova del libro è la prefazione, in cui Emilio presenta brevemente se stesso (ebreo che ha vissuto il fascismo, le leggi razziali, la Shoah, e poi le speranze e le delusioni del dopoguerra) e il proprio rapporto con l’ebraismo, per poi allargare il discorso ai principali temi di cui si è occupato su Ha Keillah: l’identità ebraica, l’antisemitismo, la Shoah, Israele; ciascuno di questi è presentato sinteticamente con parole attentamente scelte e calibrate: per esempio, con un notevole e non facile equilibrio, mette in evidenza le contraddizioni di Israele e prende nettamente le distanze dal sostegno acritico di gran parte dell’ebraismo nostrano, ma al contempo denuncia l’antisionismo cieco, con vecchie venature antisemite, il filopalestinismo acritico della sinistra italiana, e non solo di quella estrema, le antiche ostilità e le reticenze della Chiesa cattolica…; inoltre non manca di ricordare il piccolo ebreo Stefano Gaj Taché, vittima dell’attentato alla sinagoga di Roma del 1982, e richiama l’attenzione dei lettori su un altro orribile episodio poco conosciuto fuori dal mondo ebraico: nel 1985 una frangia dissidente del Fronte per la Liberazione della Palestina (Flp) sequestrò la nave Achille Lauro, assassinò e buttò a mare un vecchio sulla sedia a rotelle, Leon Klinghoffer, che aveva la sola responsabilità di essere ebreo.

Oltre ai temi elencati in precedenza la raccolta comprende alcuni articoli sul dialogo ebraico-tedesco, una sezione denominata “persone”, una sulle donne e infine una di recensioni, anche se a ben vedere gran parte degli articoli raccolti in questo libro si potrebbero in qualche modo definire recensioni perché c’è quasi sempre un testo di partenza che viene esposto, discusso, lodato o criticato.

La raccolta degli articoli è molto interessante anche per chi, come me, li aveva già letti a suo tempo man mano che venivano scritti e, magari, ne aveva anche discusso nell’ambito della redazione; dal mio punto di vista i più intriganti sono quasi sempre i più vecchi, soprattutto quelli pubblicati prima del 2002, quando Ha Keillah non era ancora online, che ci permettono di rivivere in parte il clima di quegli anni, con le illusioni sul processo di pace tra israeliani e palestinesi che poi sono state smentite e con i timori per la tenuta della democrazia israeliana che si stanno dimostrando più che mai fondati proprio in questi giorni. Fa un certo effetto leggere dell’ondata di commozione generale suscitata dall’assassinio di Rabin (Così un mare di lacrime sommergeva Gerusalemme, e il pianto multiforme ricopriva l’intera città e si arrampicava lungo tutta la collina insieme a Yitzhak Rabin…), che secondo l’autore può essere interpretata come una sua rivincita postuma che trasformava una pagina tristissima di malattia e di fragilità della democrazia … in un mito positivo che potrebbe partecipare alla fondazione del tempo della pace, pensando a quanto quelle speranze di pace ci appaiano oggi lontanissime. E per non deprimerci troppo dovremmo rileggere questo articolo di Emilio – o quello che presenta Meir Kahane come un razzista … ai margini della società civile israeliana – cercando di non pensare a chi siede oggi nel governo.

In un paio di casi, però, il confronto tra passato e presente appare un po’ meno sconfortante: dopo un articolo che denuncia un testo decisamente antisemita una nota specifica che successivamente il libro è stato ritirato dalla circolazione; l’articolo che rende conto di un altro testo assai inquietante di un tedesco contrario alla costruzione di un memoriale della Shoah a Berlino può essere letto con meno apprensione da noi che abbiamo potuto con i nostri occhi vederlo realizzato e che possiamo vagare di persona tra quelle 2.711 stele collocate a pochi passi dalla porta di Brandeburgo.

Curioso anche rileggere il dialogo (luglio 2018) tra Emilio Jona e Manuel Disegni a proposito del libro di Guido Fubini L’antisemitismo dei poveri. In quel dialogo Manuel espone la sua diversa interpretazione della Questione ebraica di Marx che sarà poi oggetto della sua tesi di dottorato, recentemente insignita di un prestigioso riconoscimento.

Impossibile citare tutti i possibili spunti di riflessione e tutte le frasi che mi hanno colpita, e probabilmente altri lettori troveranno spunti e interessi diversi. Mi limito a ricordare che il titolo del libro richiama quello di un articolo quasi omonimo (Essere altrove?), che a sua volta si conclude con una citazione di Charles Péguy secondo cui l’essere altrove è “il grande vizio di questa razza, la grande virtù segreta, la più grande vocazione di questo popolo”. Chiosa Emilio: Sembra che una parte del popolo d’Israele abbia perduto questa virtù.

 

Emilio Jona, Essere altrove. Scritti sull’ebraismo, Neri Pozza, 2022, pp. 315, € 22


“EBRAISMO E IDENTITÀ”. LA LEZIONE DI JONA
di Massimo Raffaeli
Il Venerdì di Repubblica, 17.03.2023


 

 

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