Intervista di di Anna Rolli

 Israel Hadany è un artista israeliano di fama internazionale, scultore e designer di gioielli che, nel tempo libero, scrive poesie.

Nato nel 1941 nel kibbutz Beit HaShita, durante l’infanzia la sua famiglia si trasferì nel kibbutz Ayelet Hashahar, poi a Kfar Ganim vicino Petah Tikva e infine a Gerusalemme.  

Nel 1955, all’età di 14 anni, lasciò i genitori ed entrò nel kibbutz di Degania, l’anno successivo iniziò gli studi d’arte figurativa presso l’Istituto Avni a Tel Aviv interessandosi soprattutto al disegno e alla pittura. Dal 1965 al 1967 studiò presso l’ Hornsey College of Art a Londra e maturò definitivamente il suo interesse per la scultura. L’arte monumentale delle antiche civiltà, custodita nel British Museum, lo influenzò profondamente.

Nel 1971, anni dopo il suo rientro in Israele, accettò la cattedra di Scultura e design presso la Bezalel Academy of Art and Design.
Una sua opera rappresentò Israele alla biennale di Venezia nel 1972.
Dall’anno successivo abbandonò definitivamente l’insegnamento e si dedicò esclusivamente alla produzione artistica.
Oggi vive e lavora a Gerusalemme. 

Hadany non si è mai impegnato a livello politico o sociale, dedicandosi sempre, esclusivamente, al proprio percorso artistico, negli ultimi sei mesi però ha partecipato assiduamente alle manifestazioni anti Netanyahu.

 Cosa pensi di ciò che sta accadendo in Israele? 

Il nuovo governo vorrebbe riformare il sistema giudiziario. In una democrazia i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, devono essere assolutamente indipendenti, ma si vorrebbe cambiare il modo in cui i giudici vengono eletti per farli scegliere dal governo.

Il primo ministro Netanyahu è accusato di azioni illegali, penalmente rilevanti, e la sua è una strategia difensiva perché i giudici scelti dal suo governo sarebbero ovviamente più indulgenti.

Il nostro paese finora è sempre stato laico, aperto e democratico e tra i vari gruppi si è sempre conservato un equilibrio. Ora, però, i partiti religiosi che non hanno mai accettato la democrazia, propongono leggi apertamente teocratiche e di conseguenza autoritarie.

I religiosi nelle loro scuole insegnano esclusivamente le materie religiose e gli studenti, quando crescono, non possono accedere al mondo del lavoro perché non sono preparati. Il risultato è una società in cui una parte è produttiva e l’altra non lo è. Molti religiosi non lavorano e gli ultraortodossi non vanno sotto le armi. Ora tutte queste problematiche sono emerse.

Gli ultraortodossi sono solo il 13,3% della popolazione ma hanno un grande potere perché il loro appoggio è indispensabile per formare i governi. Hanno tentato più volte di cambiare il sistema in direzione teocratica ma la magistratura ha sempre avuto il potere per impedirlo, come ad es. quando hanno chiesto di chiudere tutti i negozi e i luoghi di ristoro e di fermare tutti i mezzi di trasporto, durante il sabato, per obbligare la popolazione a rispettare il divieto di lavorare.
Ora vorrebbero sottomettere l’Alta corte per avere mano libera.  Finora sono stati fermati ma in futuro?

 Cosa pensano gli artisti delle riforme proposte dai religiosi?   

Un artista non è una persona speciale, è uguale a qualsiasi altro cittadino, però oggi in Israele noi artisti siamo molto molto spaventati perché se i religiosi ottenessero troppo potere la nostra libertà verrebbe sicuramente limitata. Tutti i regimi fanatici e autoritari hanno limitato la libertà degli artisti, hanno sempre interferito con il nostro lavoro per stabilire quello che l’arte deve o non deve essere: i fascisti, i nazisti, gli islamisti e anche i comunisti…

I partiti religiosi vorrebbero instaurare un regime teocratico, finora sono stati fermati e abbiamo mantenuto l’equilibrio tra le parti, ma il loro obiettivo è ottenere il controllo sulla libertà dei cittadini e degli artisti. Eserciteranno pressioni per vietare le immagini… non si potrà mostrare qualcosa o qualcos’altro… vorrebbero cambiare il sistema d’istruzione, discriminare gli omosessuali, vietare alle donne di cantare in pubblico e di avere qualsiasi posizione di potere nella società e nella politica, vorrebbero vietare alle donne e agli uomini di stare insieme, vorrebbero separarli in tutti i luoghi pubblici, sugli autobus, sui treni, sugli aerei, nei luoghi di studio e di lavoro.

Anche le donne sono molto molto preoccupate per i propri diritti.

 Cosa si potrebbe fare, secondo te?

I finanziamenti alle scuole ultraortodosse dipendono dalle scelte del governo, dovremmo pretendere che il loro sistema scolastico introducesse anche materie secolari, scientifiche e umanistiche, e che preparasse i giovani al lavoro. Mio padre e mia madre sono nati in Polonia, lui nel 1917 e lei subito dopo la Prima guerra mondiale. Mia madre ha studiato in un liceo polacco secolare, invece mio padre, dai 3 anni fino ai 18, ha frequentato una yeshiva, una scuola religiosa tradizionale. Allora, prima della Seconda guerra mondiale, era abbastanza comune nell’Europa dell’est. Il sionismo stava cambiando la mentalità insieme a vari altri movimenti culturali che spingevano i giovani a studiare, ad aprire la mente alla cultura europea, ad ampliare le conoscenze ben oltre i programmi tradizionali delle yeshivot. Gli ebrei stavano diventando sempre più colti e molti di loro erano intellettuali di prestigio. Una parte dei ragazzi però, a volte provenienti dalle fasce più povere della popolazione, continuava a frequentare le yeshivot come mio padre. Al termine degli studi questi giovani non potevano accedere all’università però andavano a lavorare e spesso diventavano abbastanza benestanti e qualche rara volta persino molto ricchi. Soltanto pochissimi studenti, estremamente dotati, venivano destinati a una vita di studi religiosi ed erano mantenuti dalla comunità.

Israele è l’unico posto al mondo dove la maggioranza degli ultraortodossi continua a studiare per tutta la vita e non va a lavorare. Vivono in povertà, con i soldi del governo, con le donazioni di vari gruppi religiosi sparsi per il mondo e con salari e stipendi guadagnati dalle mogli.

Le donne ultraortodosse che vanno a lavorare sono diventate un fattore di cambiamento importante. È una specie di miracolo perché sono molto controllate dalla comunità e, nonostante questo, stanno influenzando il modo di pensare generale con idee che vengono dal di fuori.

I religiosi sono divisi in numerosi gruppi, dai più fanatici ultraortodossi ai più progressisti. Sono tutti molto abili a ottenere soldi e, a parte i sionisti religiosi, non partecipano alla difesa d’Israele. Vogliono soldi per continuare a rafforzarsi e per finanziare le loro istituzioni, senza dare nulla, o quasi, in cambio. Siccome hanno livelli elevatissimi di fertilità, tutti abbiamo molta paura che in pochi decenni possano diventare la maggioranza e allora come difenderemo i valori democratici e lo sviluppo economico?

 Pensi che le manifestazioni avranno la forza di impedire una deriva teocratica e autoritaria? Avranno conseguenze positive per il paese?

È davvero sorprendente quanta gente sia scesa nelle strade, ininterrottamente, per sei mesi di seguito. Gli israeliani sono persone molto pratiche e concrete e certo non perderebbero tempo a manifestare, lo fanno perché non vogliono perdere il proprio paese, non vogliono vederlo cambiare in peggio e abbandonare i principi illuministi, soprattutto quello della separazione tra religione e politica. Qualche volta si rischia di diventare estremisti e questo mi spaventa. È necessario manifestare per evitare un regime teocratico e autoritario, però bisogna anche cercare di trovare un terreno comune per parlare. I sondaggi cambiano di continuo ma sono concordi sul fatto che gli estremisti sono una minoranza e che la maggioranza della gente vorrebbe negoziare. La nostra società è fragile e mi rendo conto che uno scontro radicale tra due fazioni potrebbe frantumarla, potrebbe essere pericoloso; invece, dobbiamo trovare il modo di capirci e di essere più vicini. Israele è composta da molti gruppi minoritari però, ogni volta che si sono profilate delle crisi, siamo sempre stati capaci di mettere da parte i contrasti per affrontare tutti insieme la difficile situazione, senza mai rinunciare a quelli che, secondo me, sono i principi ebraici: rispetto, libertà, democrazia. I principi che ora dobbiamo difendere. Comunque tutti pensiamo che saremmo capaci di nuovo di ritrovare immediatamente l’unità se dovesse profilarsi una minaccia dall’esterno contro il nostro paese.


ISRAEL HADANY

“In generale le mie opere possono essere divise in sculture in un contesto paesistico specifico e sculture pensate come avventura e ricerca di arte pura.

Diverse tecniche e diversi materiali sono stati usati senza una vera preferenza per alcuno, salva la scelta specifica per salvare l’idea scultorea o per la capacità di stimolare la formazione di quella idea. Anche se questi lavori sono chiaramente contenuti nella cornice contemporanea, c’è un consapevole rifiuto di essere legato a tendenze, mode o stili del mondo dell’arte; un approccio che consente una mobilità creativa aperta, le cui risorse stimolano una vitalità che sorge dalla vita stessa, ma va oltre, verso una dimensione atemporale.”    


 

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