di Michele Sarfatti

In un recente articolo gli autori hanno scritto: <<Although the antisemitic laws were in theory a matter of “race,” that is, presumably, biology, they could just as well be understood as religious laws, as in many cases the individual’s racial categorization rested on the ability to produce Catholic credentials and the ability to show that one had not engaged in any ‘manifestation’ of Judaism>> (Roberto Benedetti, David I. Kertzer, Protesting Too Much. Baptized Jews’ Appeals to the Vatican for Aid in Attaining Aryan Status in Fascist Italy, 1938–1943, in “Antisemitism Studies”, Vol. 8, No. 1, spring 2024, pp. 43-62, p. 46).

Questa affermazione si inserisce in una tendenza a “religiosizzare” e “de-razzistizzare” in toto o in parte (chiedo scusa per questo scostante putiferio di zeta) l’impostazione della persecuzione antiebraica fascista attuata in Italia negli anni Trenta-Quaranta del Novecento. Io reputo che questa tendenza sia infondata. E proverò qui a spiegare, in termini piani, perché non possiamo non dire che la legislazione antiebraica promulgata nel 1938 dal fascismo italiano, per impulso e sotto la guida di Benito Mussolini, ebbe un’impostazione razzista, cioè che si trattò di razzismo antisemita, o di antisemitismo razzista.
Il primo punto importante è che per conoscere e definire l’impostazione della normativa antiebraica fascista occorre concentrare l’attenzione proprio sui criteri da essa stabiliti per la classificazione di “appartenente” alla “razza ebraica”.
Le norme del 1938 che qui interessano sono quelle che stabilivano chi “è” o “è considerato” di “razza ebraica” (le due formulazioni non determinavano diversità di trattamento). Semplificando al massimo, possiamo dire che la prima (“è”) era utilizzata per la persona i cui genitori erano entrambi classificati di “razza ebraica”, e che la seconda era utilizzata per una parte di coloro che avevano un solo genitore di “razza ebraica”. Altre persone con un solo genitore di “razza ebraica” furono classificate di “razza ariana”, come si dirà.
Il legislatore antiebraico non si basò sulle autodefinizioni religiose che erano state talora fatte dai singoli in occasioni precedenti; ad esempio dai militari, per ricevere un corretto trattamento in caso di morte in guerra, o da coloro che vivevano nei territori ex-austroungarici, o da tutti i cittadini italiani in risposta ai quesiti di alcuni censimenti demografici nazionali. Per il fascismo, la “razza” costituiva una questione seria, da esaminare con una nuova procedura apposita, uguale per tutti, e tale da sovvenire alla mendacità che per i razzisti caratterizzava tutti i membri del gruppo da perseguitare. In sostanza, spettava allo Stato (per di più fascista) determinare chi “apparteneva” alla “razza ebraica”.
Il secondo punto centrale è che il regime fascista aveva appunto deciso che “gli” ebrei (ossia, tutti essi) erano una “razza”. Ciò venne scritto e detto innumerevoli volte dalle autorità, dai dirigenti pubblici e dai pubblicisti dell’epoca.
Aggiungo che io preferisco non utilizzare l’aggettivo qualificativo “razziale”, che ritengo indicato soprattutto per le specie animali (sapiens escluso). Invece, relativamente a persecuzione, leggi, ecc. contro un gruppo umano, prediligo l’aggettivo qualificativo “razzista”, poiché esso, al pari degli altri “ismi”, contiene e presuppone un’ideologia, un pensiero, una volontà.
Quindi nel 1938 lo Stato fascista stabilì che “gli” ebrei erano una “razza”, per di più disuguale e pericolosa, e che spettava a esso stesso individuare chi ne faceva parte. Il processo partì dall’ideologia, si materializzò in norme legislative, fu composto da procedure burocratiche. Queste ultime furono applicate da piccoli impiegati, sotto la guida di dirigenti medi e grandi, e con le indicazioni dei responsabili governativi nei casi più complessi.

Va notato che il fascismo definì la “razza ariana” o “razza italiana” solo in termini sommari, a livello ideologico. Lo fece a metà luglio 1938 in un noto “manifesto” in dieci punti, che è inesatto e fuorviante attribuire a ‘scienziati razzisti’, poiché il suo preambolo chiariva che esso era un atto “del fascismo” (non “di fascisti”, universitari o no che fossero) e che rivestiva un’importanza fondamentale per quel partito, per quel regime, per l’intera società. Esso fu quindi il “manifesto del razzismo fascista” o il “manifesto fascista della razza”.
In sostanza, dal 1938 i cittadini italiani furono classificati o di “razza ebraica” o (genericamente) di “razza ariana” (ovvero di “razza italiana”). Per la stragrande maggioranza della popolazione della penisola, l’assegnazione a una delle due “razze” derivò automaticamente dalla classificazione dei genitori. Come accennato, il nato da due genitori di “razza ariana” era invariabilmente classificato di quella stessa “razza”, e il nato da genitori di “razza ebraica” era invariabilmente classificato di quest’ultima “razza”. Questa classificazione automatica di ogni nato da un’unione “razzialmente omogenea” era totalmente indipendente dal fatto che egli professasse o no la stessa religione dei genitori, o dal grado dell’osservanza religiosa, o dal grado dell’adesione o opposizione al fascismo, ecc.; se nato da genitori “razzialmente omogenei”, qualsiasi sua opinione o opzione non aveva alcun peso, relativamente alla propria classificazione: contava zero virgola zero. Questa è l’impostazione di carattere generale introdotta dall’Italia fascista antisemita e applicata alla stragrande maggioranza della popolazione. Ed è l’impostazione che noi studiosi denominiamo “razzismo biologico”.

Dato che le persone classificate di “razza ebraica” erano perseguitate e quelle di “razza ariana” no, fu conveniente cercare di essere cancellati dal primo gruppo e inclusi nel secondo; e alcuni presentarono un’istanza in tal senso, corredata di documenti di varia tipologia, veri o falsificati. Nessuno ovviamente cercò di effettuare il percorso opposto, cioè di essere espunto dalla “razza” privilegiata e incluso in quella reietta. Vi furono altresì casi nei quali gli uffici amministrativi razzisti dubitarono di alcuni documenti o dichiarazioni che avevano portato a classificazioni di “ariano”, e decisero di effettuare verifiche. Tutti questi procedimenti erano denominati “accertamento razza” o “determinazione razza”. Va tenuto presente che ogni razzista coerente desidera evitare di danneggiare appartenenti alla propria “razza”; pertanto tutte queste verifiche rientravano nell’attuazione del principio razzista.

L’indagine a ritroso sui genitori, sui loro genitori (i nonni), sui genitori di questi ultimi (i bisnonni), e così risalendo, trovava un limite oggettivo nell’esistenza o meno di documentazione anagrafica. Guerre, catastrofi naturali (terremoti, inondazioni, ecc.), moti popolari e vicende di vario tipo avevano determinato la distruzione o scomparsa dei registri degli enti religiosi (parrocchiali o sinagogali) e comunali. Quando la ricognizione genealogica non riusciva a retrocedere ulteriormente, veniva in genere deciso che se l’ultimo antenato noto professava la religione cattolica, allora era di “razza ariana”, e se professava la religione ebraica, allora era di “razza ebraica”. Questo criterio non aveva nulla di scientifico, proprio nulla. E contraddiceva in modo lampante le molte affermazioni dei razzisti sulla scientificità del loro “razzismo biologico”. Ma il fatto è che i razzisti si erano gettati (volontariamente) in un vicolo cieco, in una situazione irrisolvibile; del resto il razzismo altro non è che un frutto della capacità di stupidità del sapiens, e quindi è di per sé illogico e incoerente (oltre che “non umano”). Tuttavia, preso atto che tale modo di classificare quegli antenati con ascendenti ignoti era a-scientifico (e quindi “non razzista biologico”), dobbiamo riconoscere che ai loro discendenti il razzismo fascista applicò “scientificamente” la regola di base del “razzismo biologico”: due appartenenti a una medesima “razza” procreano un appartenente a quella “razza”, senza eccezione alcuna.

Fu anche introdotta una procedura per poter documentare che uno dei propri genitori (o nonni, ecc.) non era la persona registrata negli atti anagrafici, bensì un’altra persona. La quale quindi era l’effettivo genitore (nonno) “biologico”. La relativa istanza poteva essere presentata da chiunque; ovviamente vi fecero ricorso solo coloro che avevano interesse a diminuire il numero degli ascendenti di “razza ebraica”. La procedura e la commissione che la gestì rimasero noti come “arianizzazione” e “tribunale della razza”. Secondo i dati noti, le istanze accolte furono 104, concernenti in complesso 145 persone; si trattò quindi di numeri assai esigui. E’ difficile dire quanti casi fossero reali (la vita è sempre più complessa di quanto risulti nelle registrazioni comunali) e quanti fittizi; comunque per almeno cinque accoglimenti è attestato che intervenne un “ordine superiore”, ossia di Mussolini. Anche la più rigida (apparentemente) Germania nazista e la meno rigida (apparentemente) Croazia ustascia applicarono un numero esiguo di provvedimenti di “arianizzazione”.

Come già accennato, i “razzialmente misti” costituivano (nolenti) un problema complesso per i razzisti e specialmente per quelli “biologici”, per via della miscelazione dei due “sangui” nell’apparato circolatorio. Il dilemma (per loro) era: come separare (per perseguitare) uno di essi senza penalizzare l’altro? Sintetizzando al massimo (e senza entrare nelle particolarità, sempre complicate) la legge e le integrazioni stabilite dagli uffici stabilirono che il nipote di tre nonni di “razza ebraica” doveva essere sempre classificato di tale “razza”, mentre nel caso di uno o due nonni occorreva esaminare i suoi comportamenti: ad esempio, l’iscrizione a una Comunità ebraica o il matrimonio con una persona di “razza ebraica” costituivano “manifestazioni di ebraismo” e comportavano il suo “essere considerato” di “razza ebraica”. In tal modo, la classificazione veniva a essere motivata da fattori non “biologici”, bensì di carattere personale. In un documento ministeriale dell’epoca c’è un accenno al fatto che, in caso di “misti” al 50%, la presenza o assenza di quei comportamenti attestava quale dei due “sangui” fosse risultato vincente. A causa di ciò, vi furono alcuni casi limite di fratelli (figli degli stessi genitori) che furono classificati uno/a di “razza ariana” e uno/a di “razza ebraica”. Il fatto è che il “razzismo biologico” non forniva strumenti per risolvere la questione dei “misti”. Si può aggiungere che nell’Europa antisemita solo il governo tedesco istituì ufficialmente la classificazione giuridica di “misto” (“mischling”), mentre quelli francese, croato, romeno, ungherese, slovacco, ecc. non lo fecero, similmente all’italiano; ciò però segnala differenze di approccio metodico, non di intensità di odio.

Resta quindi che il fascismo italiano adottò l’impostazione “razzista biologica” e la utilizzò per classificare la stragrande maggioranza della popolazione presente, qualsiasi fosse il pensiero religioso di ciascuno. E che la normativa antiebraica italiana fascista colpì anche alcune persone che non si definivano ebree. E che quindi quell’ideologia, quella legislazione, quell’applicazione erano “razziste” e non “religiose”.

P.S. Mi sono impegnato a scrivere un articolo ad alta leggibilità, ossia senza note. Per approfondimenti e documentazione debbo perciò rinviare il lettore ai miei libri “Gli ebrei nell’Italia fascista” e “Mussolini contro gli ebrei” e al mio sito personale.

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