di Daniela Levi
Il 25 ottobre 1584 con “Ordine e Costituzioni sopra gli hebrei abitanti negli Stati” Carlo Emanuele I ordinava tra l’altro che “Gli ebrei dell’uno e dell’altro sesso portino signo con che si discernano dai cristiani cioè gli uomini berretti o cappelli gialli e le donna vello o ciondolo giallo in capo proibendo loro di comparire fuori casa senza, sotto la pena di mille scudi d’oro”; ma se l’istituzione del ghetto fu decretata nel 1516 a Venezia, nel 1555 a Roma, nel 1570 a Firenze, a Torino avvenne più tardi, il 2 agosto 1679.
La duchessa Maria Giovanna Battista di Nemours vedova di Carlo Emanuele II e reggente per il figlio minorenne Vittorio Amedeo II dispose che “Tutti gli Hebrei abitanti a Torino [750] si riducano ad abitare in una Casa destinata per essi in un solo recinto”; detta casa era delimitata da via San Francesco da Paola, via delle Scuderie del Principe Carignano (via Bogino), via San Filippo (via Maria Vittoria) e via d’Angennes (via Principe Amedeo).
Tale casa era di proprietà dell’Ospedale di Carità istituito nel 1649 con sede poi in via Po 33 (Palazzo degli stemmi) fino al 1887 quando fu trasferito in corso Stupinigi (corso Unione Sovietica) che si sosteneva anche con i proventi degli affitti che pagavano gli ebrei.
L’Archivio storico della Città di Torino possiede il cospicuo e interessantissimo fondo archivistico dell’Ospedale di Carità comprendente anche 8 volumi dei “Mastri Casa Ghetto” dal 1710 al 1874 (Cat. XXII, parte seconda n.59-66) e alcuni atti di lite della Commissione amministratrice degli Ospizi e Ospedali contro locatari ebrei (Cat. XXI)
Nel 1723 nelle Leggi e Costituzioni di Vittorio Amedeo II il titolo IX del Libro I si apre con due disposizioni circa la segregazione degli ebrei dai cristiani secondo le quali “Nelle Città e nei luoghi dove potrà comodamente aversi luogo separato e chiuso per l’abitazione degli Ebrei saranno obbligati d’abitare in quello e di là entro non ardiranno uscire dal cadere fino al sorgere del Sole salvo casi di estrema necessità come il verificarsi di un incendio nel ghetto [nel 1775 ci fu un grosso incendio nel Ghetto] o nelle sue immediate vicinanze e sotto pena di 25 Lire e di otto giorni di carcere”. Inoltre si ribadiva il divieto di possedere immobili e ai medici ebrei di curare i cristiani.
Nel censimento del 1761 si enumerano 4192 ebrei nelle regioni sabaude ad esclusione di Nizza marittima: 1317 a Torino, 673 a Casale, presenti ad Acqui, Alessandria, Asti, Benevagienna, Biella, Busca, Carmagnola, Cherasco, Chieri, Cuneo, Dronero, Fossano, Ivrea, Moncalvo, Mondovì, Nizza Monferrato, Novi Ligure, Racconigi, Saluzzo, Savigliano, Trino, Vercelli.
I libri Mastri Casa Ghetto comprendono il nome e cognome degli inquilini, la qualità dei membri affittati cioè piano, camera, bottega esterna o interna, talvolta il diritto di casaha o casagà, la superficie, l’ammontare del fitto, principio e scadenza della locazione, variazioni e annotazioni. Interessante leggere i nomi e cognomi dei locatari: ad esempio nel 1874 prevalgono le famiglie Bachi (15) poi Segre e Foa (ciascuna 13), 12 Jachia, 10 Debenedetti, 9 Levi, 7 Avigdor e Ovazza, 6 Valabrega, Colombo, Jona, Sacerdote, 4 Guastalla, Lattes, Pescarolo, Valobra, 3 Clava, Migliau, Fubini, Colonna, 2 Tedeschi, Nizza, Garda, Falco, Basevi, 1 Gallico, Laudi, Malvano, Momigliano, Norzi, Rossi, Verona, Amar, Ghidiglia, Polacco, Todros.
Dai Mastri Casa Ghetto e dagli Atti di lite contro affittuari morosi si deduce l’estrema povertà degli ebrei del ghetto di Torino costretti a pagare moltissime tasse ordinarie e straordinarie, gli affitti, le onerose doti per le figlie come documenta Luciano Allegra nel suo libro La povertà degli Ebrei (Zamorani, 2021) per la Comunità ebraica di Mantova. Nel 1832 Henri de Seyssel scriveva: il totale degli ebrei di Torino è di circa 1500. Fra le tante famiglie accumulate in una sola camera ve n’è una di 13 individui, un’altra di 10 e varie di 8, 7, 6, 5 persone. Non sempre si può parlare di camere ma di tramezzi, soppalchi, ammezzati, solai, retrobottega, sgabuzzini.
Dagli elenchi di mobili pignorati risulta la miseria, come ad esempio 14 sedie, 1 catino di ferro, un paio di mutande… sequestrati a Daniele Pescarolo il 12 gennaio 1866. Una causa contro Tobia Treves, affittuario moroso di 2 camere al 3° piano, si trascina dal 1864 al 1868; il 20 agosto 1867 Tobia muore e gli succede la vedova Rachele Nizza di anni 42 in qualità di legittima rappresentante dei suoi 7 figli minori Bella, Moise, Emilio, Pazienza, Marianna, Giuditta e Dorina.