di Sara Jona Falco
Sono passate un paio di settimane ormai da quell’atteso viaggio in Polonia, che fin da quando ero piccola mi veniva raccontato anno dopo anno.
Prima di partire mi sono confrontata a lungo con amici e familiari e, più parlavamo, più non sapevo cosa aspettarmi. Avevo paura di affrontare un viaggio così diverso dal solito, che sarebbe stato pieno di emozioni forti e di discorsi profondi che forse non sarei riuscita a sopportare. Ora che sono tornata, forte delle mie esperienze, posso dire di aver fatto la scelta giusta nell’aver intrapreso questo viaggio, che ormai da molti anni l’Hashomer Hatzair organizza per le ragazze ed i ragazzi che concludono il loro ciclo all’interno del movimento intorno ai diciott’anni.
Sono stati giorni difficili, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ogni giorno sveglia presto per vedere tanti posti diversi, dove sono accadute cose terribili, ma ne è valsa la pena.
Siamo andati ad Auschwitz, Birkenau, Treblinka e Majdanek, ed ognuno di questi posti mi ha suscitato emozioni diverse. Un pensiero però li accomuna tutti e quattro: mi sono resa conto di quanto l’essere umano possa essere crudele. E penso che sia stato proprio questo pensiero a rendere le giornate difficili, perché più visitavo i posti e più la razionale crudeltà dell’uomo diventava sempre più nitida nella mia testa.
Vedere con i miei occhi, toccare con le mani e immaginare con la mente tutto ciò che fin da piccola mi era stato raccontato, mi ha scosso profondamente. Da un momento all’altro i racconti familiari, le testimonianze degli ex deportati e i libri letti, hanno preso vita. Eventi che sembravano lontani dai nostri giorni, improvvisamente si sono materializzati accanto a me e mi hanno fatto male.
E allora mi sono chiesta: cos’è che dava la forza di svegliarsi la mattina? La speranza? La speranza per cosa? Si può sperare di riuscire a sopravvivere nel momento in cui non si viene nemmeno più considerati esseri umani?
Eppure chiunque ha purtroppo vissuto l’umiliazione dei campi di concentramento, non si è mai stancato di vivere. Vivevano nella sofferenza, nel dolore e nello sfruttamento, ma tutto ciò non ha mai permesso alle persone deportate di dimenticare cosa fosse l’umanità, quell’umanità che negli animi dei nazisti era stata sovrastata dallo spirito di superiorità.
Ci tengo a condividere un spunto di riflessione su cui abbiamo discusso ampiamente il secondo giorno del nostro viaggio: che caratteristiche doveva avere il comandante di Auschwitz?
Ed è qui che ho realizzato che per un SS era un orgoglio lavorare in un campo di concentramento, era bello per loro sapere di poter uccidere milioni di persone senza avere sensi di colpa per aver sparato, era una soddisfazione avere sotto controllo una vera e propria macchina di morte per gli esseri umani. Allora alla fine di questi giorni io e i miei compagni di viaggio ci siamo fatti una promessa che è emersa spontaneamente, ci siamo promessi che la società di oggi non deve dimenticare mai di cosa l’uomo è stato capace, delle crudeltà che ha pianificato, delle vite che ha ucciso. Affinché la società ricordi, noi ragazzi e ragazze, dobbiamo ricordare, raccontare, e agire per primi, per far sì che non si torni mai indietro nel tempo e per far sì che orrori del genere non si ripetano mai più.