ISRAELE E LA GEOPOLITICA
di Manfredo Montagnana
Dario Fabbri ha recentemente pubblicato il testo “Geopolitica umana” in cui vengono riuniti i più importanti lavori dell’autore in questo campo che egli stesso ha contribuito a fondare anche sulla base della sua collaborazione con la rivista di geopolitica “Limes”.
Se l’intenzione dell’autore è quella di lasciare interdetti i lettori con la sua presentazione di questo nuovo settore disciplinare, si può dire che l’obiettivo è senz’altro raggiunto. Pare davvero interessante l’idea di porre al centro della riflessione la storia dei popoli e le loro propensioni di fronte allo svolgersi degli avvenimenti politici e sociali. Ma vien da domandare: con che strumenti misuriamo queste propensioni, sulla base di quali riferimenti teorici?
Fabbri esclude a priori qualsiasi ruolo dell’economia e della politica, quasi che una descrizione razionale della realtà geopolitica vada rifiutata. È pur vero che da tempo studiosi come Simon e Kahneman – entrambi premi Nobel per l’economia – hanno sottoposto ad attente riflessioni la razionalità delle decisioni da parte degli uomini nel campo dell’economia. Ma queste sono appunto ricerche svolte con un riconoscibile carattere scientifico, attraverso l’uso (ad esempio) di modelli dei processi mentali per spiegare i comportamenti umani.
Rimane dunque l’impressione che il libro risenta un poco della mancanza di un solido sostegno “scientifico” basato su grandezze, definibili anche in modo provvisorio e misurabili almeno in modo qualitativo.
E tuttavia, nonostante la scarsità dei riferimenti diretti alla Palestina, la strada indicata da Fabbri sembra ben adattarsi alla situazione creatasi da tempo in Israele ed agli avvenimenti dell’anno precedente il 7 ottobre.
Se è vero che i problemi legali di Netanyahu hanno avuto un loro peso sulle scelte del governo e quindi sulla vita degli abitanti di questa parte del Medio Oriente, rimane il fatto che la mobilitazione di centinaia di migliaia di israeliani contro di lui per molti mesi, come pure la pressione in senso contrario di gruppi sempre più numerosi di ebrei ultraortodossi, richiedano un attento esame che tenga conto di tali movimenti.
Da questo punto di vista ben altre riflessioni sono contenute nel numero 10 (novembre 2023) di Limes dedicato interamente alla “Guerra Grande in Terrasanta” con una ventina di contributi che approfondiscono i molti temi riguardanti l’attuale situazione in Medio Oriente: dalla strategia di Hamas e delle altre milizie sostenute dall’Iran alle preoccupazioni dell’Egitto, dalle pressioni dei coloni ai molteplici problemi dello Stato di Israele.
Prendendo spunto dall’editoriale, Limes parte dalla constatazione che “le massime potenze si vogliono in pericolo di vita”. Stati Uniti, Cina e Russia sentono “l’acqua alla gola” e il panico “accelera la disgregazione del mondo basato sulle regole”, cioè sulla egemonia americana, mentre il resto del mondo non vuole più “restare ai margini del sistema firmato Occidente”.
Gli Usa non scaricano la propria crisi sulla Cina scatenando il loro apparato militare ma non facendolo rischiano di scatenare le rivolte in casa. La Cina “sa di non potersi assumere le responsabilità dell’egemone. E teme che Washington voglia liquidarla”. La Russia non accetta di “appartenere ad una categoria minore” e per disperazione scatena l’aggressione all’Ucraina.
Ne risulta che: “nessun capocordata ha una strategia”, “nessuno può fissare da solo l’ordine mondiale” e infine non si abbasserà la tensione se non quando i tre grandi “concorderanno di non desiderare la caduta del regime altrui”.
Qui mi fermo, rimandando alla lettura di tutto il numero di Limes per rendersi conto che una riflessione sulla guerra in Medio Oriente non può ignorare le partite più grandi che si stanno svolgendo nel mondo, esaminate sulla base del materiale di documentazione contenuto nei contributi di approfondimento.
Dario Fabbri, Geopolitica umana, Gribaudo ed., 2023 – 208 pp., € 14,90