di Rimmon Lavi
Il governo di estrema destra in Israele continua a dichiarare che la guerra attuale finirà solo con la “vittoria completa”, mai definita. Per ora, con la morte di Ismail Haniyeh a Teheran, Hassan Nasrallah a Beirut, Yahya Sinwar a Gaza e dei ranghi inferiori dei dirigenti di Hezbollah e di Hamas, forse si può parlare di “vendetta completa”. Ma finirà anche la guerra e saranno liberati gli ostaggi? Per ora sia Hamas sia Hezbollah continuano a lanciare ogni giorno centinaia di missili e droni micidiali su tutto Israele, il quale continua a bombardare zone abitate sia a Gaza sia in Libano, credendo che basti ordinare lo sfollamento dei civili (per esempio 100 mila a Baalbek) per non essere imputabile di crimini di guerra.
Entro la fine dell’anno civile forse il governo Netanyahu cadrà. A meno che il licenziamento del ministro della difesa Galant, sostituito con uno più sottomesso al Primo Ministro, riesca a salvare la coalizione tra gli ortodossi che vogliono essere esonerati dal servizio militare e i religiosi nazionalisti e suprematisti che invece sono molto belligeranti e partecipano con entusiasmo alla guerra, con molti più caduti della loro percentuale demografica. Infatti si dice qui che forse ai messianici si darà in compenso l’annessione formale delle colonie in Cisgiordania e forse nuove colonie nel nord della striscia di Gaza da cui verranno cacciati i palestinesi
Come al solito in Israele se il governo pur sempre cadrà sarà solo per disputa con gli ortodossi e per questioni di politica interna. Non per la responsabilità del crollo della difesa di fronte al pogrom spaventoso perpetrato da Hamas il 7/10/2023, non per i 101 ostaggi, morti o vivi da più di un anno detenuti nelle gallerie sotto Gaza, non per la guerra disastrosa, senza meta diplomatica e senza fine, non per le distruzioni a tappeto a Gaza con più di 40 mila morti e un milione e più di sfollati palestinesi, non per i 200 mila sfollati israeliani al Nord e al Sud d’Israele, non per il crollo della legittimità d’Israele dappertutto e il rigurgito dell’antisemitismo sotto forma di antisionismo contro gli ebrei nel mondo e neppure per il giogo dell’occupazione coloniale in Cisgiordania, portato ora all’estremo dai “giovani” teppisti che attaccano, protetti dall’esercito, comunità palestinesi per appropriarsi delle loro terre.
No: se la coalizione di estrema destra cadrà sarà, come al solito per i governi israeliani, solo per mano dei partiti ortodossi. Forse per la bocciatura da parte della Corte Suprema (non ancora addomesticata dalla riforma giuridica per ora sospesa) di una legge che renderebbe legale l’esonero dal servizio militare dei giovani ortodossi, che Netanyahu ha promesso, per avere la maggioranza in Parlamento. A tale legge si sono opposti sia l’opposizione di centro sinistra, sia la destra nazionalistica e messianica che partecipa con entusiasmo alla guerra. Tale esonero, che è praticato senza legge già dal 1977, sembra ancora più assurdo durante quest’anno di guerra intensa su tutti i fronti (eccetto quelli della Giordania e dell’Egitto, grazie ai trattati di pace che si mantengono miracolosamente, malgrado le inverosimili offese di Netanyahu contro di loro). Non solo mancano adesso all’esercito i quasi mille soldati caduti (inclusi quelli rapiti e forse ancora vivi a Gaza) e i migliaia di feriti, ma anche le reclute che sono necessarie per continuare sia l’occupazione sempre più feroce in Cisgiordania, sia le “manovre” contro guerriglie molto attrezzate su due fronti difficili e contro minacce più lontane. Infatti, il 7/10/23 è crollata ormai la strategia dell’esercito piccolo ma tecnologicamente avanzato che avrebbe potuto rispondere ad ogni minaccia.
Nel 1949, Ben Gurion accettò la richiesta dei rabbini ortodossi di esentare dal servizio militare i 400 studenti di scuole talmudiche per rafforzare le yeshivot decimate dalla Shoà. Nel 1977 Begin, per ottenere l’appoggio degli ortodossi, ha generalizzato l’esonero per chiunque sia iscritto, anche se non studia, in Yeshiva, cioè adesso decine di migliaia di reclute e di riservisti potenziali. Senza i 18 deputati ortodossi, nessuna eventuale coalizione di governo avrebbe la maggioranza tra i 120 della Knesset, essendo gli arabi esclusi sia dalla destra sia dalla cosiddetta sinistra sionistica. L’esonero dalla leva è la condizione principale per i partiti ortodossi per 3 motivi, 2 palesi e uno meno. Anzitutto i rabbini ortodossi credono che lo studio della Legge e del Talmud e le preghiere siano la vera protezione per il popolo ebraico, non meno e anche più che l’esercito (anzi la Shoà è colpa, secondo loro, della laicizzazione e dei riformisti). Inoltre, essi temono veramente che molti tra i giovani ortodossi non potranno mantenere la fede e le pratiche religiose rigorose se esposti alla società civile, di cui l’esercito, incluse le soldatesse, è rappresentante e alle tentazioni della gioventù laica. Infine, anche se non lo dicono, gli apparati dei partiti ortodossi sono convinti che il loro peso elettorale, e quindi governativo, dipenda dalla conservazione delle mura da ghetto volontario che assicurano la coesione delle comunità attorno alle varie dinastie rabbiniche.
Non c’è però da sperare che la caduta di Netanyahu possa porre fine alla guerra, liberare gli ostaggi e aprire vere alternative alla politica e alla strategia attuale: nessuno dell’opposizione ebraica in Israele presenta un programma radicalmente diverso, nessuno è disposto a fare coalizione con i partiti arabi e quindi il prossimo eventuale governo farà più o meno lo stesso, incluso persino l’accordo con gli ortodossi, continuando a finanziare le loro yeshivot e a esonerare in qualche modo i loro allievi dal servizio militare. Gli unici risultati positivi potrebbero essere forse una tregua, l’uscita di Netanyahu dalla scena politica dopo un periodo troppo lungo (che come sempre, nelle democrazie, porta a corruzione del sistema) e l’isolamento all’opposizione dei gruppi messianici e sovranisti: soprattutto quelli fascisti, molto rafforzati ultimamente attorno all’idea della supremazia ebraica. Certo sarebbe anche da formare una commissione d’inchiesta su ciò che successe e su ciò che portò al crollo del 7/10/23. Ma le conclusioni, che sarebbero pubblicate dopo mesi o anni, non porterebbero a risultati, proprio come quelle di commissioni d’inchiesta precedenti.
Vorrei invece pensare al significato della richiesta laica d’eguaglianza del fardello e del pericolo tra tutti i cittadini. Infatti, con la loro rapida crescita demografica gli ortodossi sono quasi il 20% della popolazione, con previsioni che entro il 2050 saranno il 30%, grazie alle sovvenzioni statali privilegiate e agli assegni familiari, molto generosi per ogni bambino in più. Il principio della democrazia liberale dell’eguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini, anche se proporzionali ai redditi per le tasse, alle necessità sociali per le sovvenzioni e alle abilità fisiche e mentali per il servizio militare e per le carriere professionali, pare sacrosanto e indiscutibile. Tanto più quando l’esercito popolare è stato l’ethos fondamentale comune dalla creazione dello Stato d’Israele, crogiolo di integrazione civile delle ondate d’immigrazione dei primi decenni e anche, fino ad oggi, base del concetto di sicurezza nazionale: un esercito di leva prolungata per i giovani, ranghi professionali di carriera relativamente ristretti e unità di riserva molto numerose e attrezzate, che formano il nucleo principale dell’esercito in caso di guerra. Ma la mobilitazione prolungata dei riservisti, gran parte degli uomini fino a 50 anni, paralizza l’economia, le università e la vita civile, colpendo direttamente proprio coloro che, oltre a rischiare la vita nell’esercito, contribuiscono significativamente all’economia nazionale. Invece gli ortodossi non solo sono esonerati dal servizio nell’esercito ma spesso non lavorano e non pagano tasse per vari motivi: le famiglie numerose, le sovvenzioni statali molto generose, la loro impreparazione totale di fronte alle esigenze professionali e tecnologiche del mondo del lavoro moderno.
La richiesta laica di eguaglianza per il servizio militare esclude però gli arabi che sono anche loro il 20% della popolazione: essi sono esonerati per non essere mandati contro i loro fratelli arabi, e quindi restano cittadini di secondo grado, discriminati anche col pretesto che i diritti non possono essere uguali se i doveri non lo sono. Gli ortodossi invece, grazie al gioco democratico di coalizione, riescono ad ottenere più diritti dei laici, pur essendo esonerati dal dovere della leva militare.
Come si potrebbero conciliare il principio di eguaglianza dei doveri e dei diritti di tutte le 4 tribù che compongono la società israeliana attuale (laici, religiosi, ortodossi e arabi), le necessità della sicurezza nazionale di fronte alle minacce delle organizzazioni terroristiche fanatiche, sostenute dall’Iran, e il principio, non meno importante, di libera scelta individuale e di gruppo culturale, etnico o religioso all’obiezione di coscienza?
Solo la riduzione drastica del pericolo di sicurezza per la nazione e per ogni cittadino, sia alle frontiere sia all’interno del paese (tra terrorismo e missili su tutto il territorio nazionale), potrebbe creare le condizioni per un’alternativa civile egualitaria, liberale e pluralistica: leva generale per due-tre anni per tutti i giovani e le giovani per servizio civile comunitario, inclusi i servizi di sicurezza, educazione, sanità, agricoltura e assistenza sociale, sempre carenti di mano d’opera, che possono servire da addestramento a carriere professionali; esercito ristretto di carriera volontaria; naturalmente sarebbe necessaria un’organizzazione non governativa del volontariato. Proprio in questo la società civile israeliana ha mostrato la sua vitalità straordinaria nei giorni dopo il pogrom del 7/10, mentre il governo era paralizzato. Ciò sarebbe importante anche per implementare i servizi sociali comunitari e ridurre il gap tra le generazioni data l’età prolungata di vita dopo la pensione.
Attenzione! Un esercito di carriera potrebbe essere molto pericoloso se la sicurezza nazionale continuasse ad essere minacciata: infatti già adesso il 40% dei ranghi degli ufficiali sono coperti dai giovani educati nelle scuole statali-religiose, pur essendo questi ultimi solo il 17% delle generazioni giovanili. Tra di loro spiccano, bellicosi e nazionalisti, quelli educati in scuole premilitari religiose ispirate ai movimenti messianici e suprematisti, che si gloriano dell’alta percentuale di morti e feriti, tra di loro, come se questo desse alla loro ideologia maggior diritto a guidare Israele.
Facile dire “ridurre il pericolo esistenziale per Israele”! Come se ne può parlare seriamente dopo il pogrom, l’attuale guerra e la minaccia dall’Iran? Forse una grande coalizione internazionale sarebbe stata possibile subito dopo il 7/10/23. Infatti, gli stati arabi sunniti, come tutto l’occidente, sarebbero felici se fosse eliminato il terrorismo, sostenuto dall’Iran, e anche le minacce stesse degli Ayatollah, rivolte contro Israele e l’America, ma anche, se non di più, contro di loro. Israele da sola certo non può riuscire, come dimostrano le “manovre” di quest’anno, impantanate sia a Gaza sia nel Libano. Ma la condizione dei paesi arabi per prendere parte attiva a tale coalizione e alla riorganizzazione civile della striscia di Gaza è di procedere verso una soluzione del conflitto coi palestinesi: proprio ciò che la coalizione sovranista d’estrema destra in Israele rifiuta, perché intacca la supremazia ebraica e il suo dominio monopolistico in tutta la Terra Santa.
Dunque, siamo chiusi in un triplo circolo vizioso: solo un processo di pacificazione con i palestinesi può ridurre il pericolo esistenziale per lo Stato d’Israele e per gli ebrei che ci vivono, per quelli ancora sotto minaccia antisemita nella Diaspora. Solo il distaccamento degli ortodossi dalla destra nazionalista, suprematista, razzista e bellicosa potrebbe aprire la strada a un processo di soluzione dei conflitti interno ed esterno. Rompere questo circolo vizioso dovrebbe essere la meta dell’opposizione israeliana, ebrei e arabi, liberali e socialisti, laici e religiosi, assieme. Pare che solo la venuta del Messia forse ci riuscirà, ma secondo gli ortodossi ciò dipende appunto dalle preghiere e dallo studio talmudico.
Gerusalemme, 11/11/2024