di Giovanna Grenga

Mancava in Italia una ricostruzione accurata e documentata sull’azione del fascismo italiano contro rom e sinti, italiani e stranieri.

Al termine della Prima guerra mondiale in territori ex asburgici annessi all’Italia vivevano comunità che il fascismo definiva “zingari girovaghi”; progressivamente fu ordinato il loro rastrellamento o il confino nell’Italia centro-meridionale in un numero di siti davvero impressionante.  Le famiglie dei rom istriani furono confinate in Sardegna. I provvedimenti di confinamento si acuirono con lo scoppio della guerra non di meno i rom di nazionalità italiana venivano arruolati e alcuni subirono l’internamento militare come attestano gli studi di Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, ne: Il libro dei deportati. L’autrice riporta le lettere che rom e sinti scrissero al Ministero dell’Interno, mentre erano al confino o internati nei campi di concentramento fascisti, o per chiedere notizie dei propri cari, di cui si erano perse le tracce al momento dell’arresto. “Mia madre è alquanto malaticcia ed ha sempre nutrito sentimenti di italianità. Io sono soldato e mi taglia il cuore nel sapere mia madre sola, malata, in un campo di concentramento. Io sono sposato e mia moglie risiede con i miei figli in Porpetto. Imploro che mia madre sia inviata presso mia moglie Caris Giuseppina e spero che la Vostra Eccellenza esaudirà la preghiera di un figlio, soldato dell’Italia fascista”.  (lettera di Lionello Levakovich morto in un sottocampo di Buchenwald (Ohrdruf) il 20 febbraio 1945)

Ma la persecuzione non ha inizio con lo spostamento dei confini dopo il 1918 né per l’entrata in guerra nel 1940; la questione è ”strettamente connessa al modo in cui lo stato italiano, sin dalla sua nascita nel 1861, si pose nei confronti dei rom e dei sinti che, da molti secoli, abitavano la penisola.”   Analizzare il trattamento che lo Stato-nazione ha riservato agli “zingari”, e al tempo stesso considerare antropologicamente le vicende dei gruppi rom e sinti presenti nella penisola nel periodo che va dall’Unità d’Italia fino al secondo dopoguerra, ha consentito all’autrice di far emergere la specificità italiana e fascista delle persecuzioni contro gli “zingari”, e quindi di superare i generici quanto diffusi e imprecisi confronti con la sorte dei rom nella Germania nazista. L’internamento dei sinti italiani, per periodi anche di due anni, nei campi di internamento del fascismo è documentato da Paola Trevisan con ricerche archivistiche a partire dal 1940/42, ma in alcuni casi dal 1938. Si tratta di luoghi di internamento per persone definite dal regime fascista “zingari italiani”.

Il dibattito storiografico su Il Fascismo e i problemi della razza ha oramai appurato che la politica razzista del regime non può essere considerata una risposta a richieste di allineamento da parte dell’alleato nazista, che non vi furono. Si trattò, piuttosto, di una rielaborazione di tematiche già presenti nel mondo accademico italiano e delle convinzioni personali di Mussolini. L’emanazione di una legislazione antiebraica non poteva prescindere da una definizione giuridica di ebreo, che si basò su un criterio eminentemente razziale, sia per la distinzione ebreo/ “ariano”, sia per determinare l’appartenenza all’una o all’altra categoria dei figli di matrimoni misti. Per quanto riguarda la categorizzazione e la gerarchizzazione delle “razze”, nel 1938 la Demorazza considerò non ariani gli africani (“negri” e arabo-berberi) e gli asiatici (mongoli, armeni, turchi, indiani, yemeniti e altri) ma, nel 1939, armeni, indiani e iraniani vennero ricategorizzati come “ariani”.

L’assenza degli “zingari” nei documenti ufficiali con cui il regime fascista esplicitò le sue politiche razziali e antisemite ha creato più di un problema interpretativo nell’inquadrare le persecuzioni fasciste contro rom e sinti. Per alcuni studiosi questo ha significato un ridimensionamento e una sottovalutazione delle persecuzioni a cui furono sottoposti, mentre altri autori non hanno analizzato questa assenza con sufficiente attenzione. Per lunghi anni solo l’associazionismo pro-zingari, nato alla fine degli anni Sessanta, aveva raccolto queste testimonianze, documentate, fino al 1995, dalla rivista Lacio Drom, edita dal Centro Studi Zingari di Roma.

Trevisan attribuisce tale lacuna nella storiografia accademica a un insieme di fattori, alcuni già emersi in epoca liberale. La supposta pericolosità degli zingari fu gestita con le disposizioni di pubblica sicurezza già esistenti, senza che fosse necessario dare una definizione giuridica di “zingaro”. A tutti gli effetti, la loro estraneità alla nazione italiana era già considerata un dato di fatto e il fascismo non ebbe bisogno di trovare nuovi linguaggi o di riattivare antichi stereotipi per togliere diritti a questa parte della popolazione italiana.

E per paradossale che possa apparire gli autori che scrissero sugli “zingari” hanno trascurato le circolari di polizia che ne prevedevano sia il confino (dal gennaio 1938) che l’internamento (dal settembre 1940). Si trattava di misure persecutorie messe in atto senza il coinvolgimento della Demorazza: gli “zingari”, infatti, rimasero in carico alla Divisione di Polizia presso la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza sino alla caduta del regime fascista. L’autrice fa emergere, man mano che i capitoli si avvicinano ai giorni nostri, in che modo veniva (e viene) continuamente messo in dubbio che rom e sinti debbano godere degli stessi diritti degli altri cittadini della Repubblica italiana.

Due «rilevazioni statistiche sugli zingari» ebbero luogo una il 16 novembre 1963 e l’altra l’8 luglio del 1967. La rilevazione dei dati assunse le modalità di un vero e proprio fermo di polizia generalizzato da attuarsi nel medesimo giorno in tutta Italia. L’incarico di controllare i documenti di tutti gli “zingari” presenti nella penisola fu affidato alle questure e ai carabinieri e per l’elaborazione dei dati la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza si avvalse della collaborazione dell’Istituto centrale di statistica. Per quanto riguarda rom e sinti italiani, le carte della Divisione di Polizia dei primi due decenni di vita della Repubblica mostrano una sorprendente continuità di linguaggio, attitudini e prassi rispetto al regime fascista. Le istituzioni della Repubblica non considerarono misure persecutorie il confino e l’internamento a cui furono sottoposti rom e sinti durante il fascismo.

 

Paola Trevisan, La persecuzione dei rom e dei sinti nell’Italia fascista. Storia, etnografia e memorie

Prefazione di Michele Sarfatti – Viella, Gennaio 2024 – pp. 312, € 29

 

 

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