La proporzionalità in guerra. Un equivoco e un problema difficile

di Clotilde Calabi e Marco Santambrogio

 

Clotilde Calabi è docente di filosofia del linguaggio presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano.

È opinione diffusa che Israele, nel rispondere all’attacco di Hamas del 7 ottobre, abbia violato un principio di proporzionalità intuitivamente giusto e sancito da accordi internazionali come le Convenzioni di Ginevra. È sicuramente difficile applicarlo in concreto, come si è visto ad esempio nella discussione sulla sentenza del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia sul caso delle bombe sganciate dal pilota di un aereo Nato sul treno passeggeri di Grdelica. Noi, comunque, non ci proponiamo qui di emettere giudizi sui fatti (non del tutto certi) ma solo di chiarire un equivoco sul principio e illustrare un punto teorico ignorato.

Ogni giudizio di proporzionalità richiede un confronto. Che cosa si confronta? Che cosa deve essere proporzionato a che cosa? Un autorevole filosofo, Mac Mahan, risponde: nell’accertare la proporzionalità, vanno messi sui due piatti della bilancia i danni inflitti dalla guerra da un lato e quelli che essa vuol prevenire dall’altro (Mac Mahan 2016).

In passato l’opinione pubblica ha rimproverato agli Stati Uniti di aver provocato dopo il 2001 la morte di un numero di afgani sproporzionato rispetto alle vittime nelle Torri Gemelle. Questo è un fraintendimento. Comunque siano andate poi le cose, la guerra in Afghanistan inizialmente si proponeva di prevenire altri attacchi, paragonabili a quello già avvenuto, e quindi molte altre probabili vittime negli Stati Uniti. È il numero di queste — qualunque sia — che va paragonato al numero dei morti nella guerra in Afghanistan. Il confronto tra i morti nelle Torri Gemelle e quelli in Afghanistan sarebbe appropriato solo se la guerra fosse stata — e non era — una vendetta o una retribuzione secondo il principio “occhio per occhio”.

Il confronto riguarda solo i civili di entrambe le parti in guerra, non i combattenti. Lo ius in bello – il complesso di norme che regola i comportamenti degli stati in guerra – traccia una netta distinzione tra civili e combattenti, e richiede che gli uni siano nettamente separati dagli altri. Ad esempio, l’articolo 51, comma 7, del Protocollo aggiuntivo
alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (Protocollo I: Protezione delle vittime
dei conflitti armati internazionali
) stabilisce: “La presenza o i movimenti della popolazione civile o i singoli civili non saranno usati per rendere località o aree immuni dalle operazioni militari, in particolare per tentare di difendere gli obiettivi militari dagli attacchi o di proteggere, favorire o impedire operazioni militari. Le Parti in conflitto non dirigeranno i movimenti della popolazione civile o i singoli individui allo scopo di cercare di difendere gli obiettivi militari dagli attacchi o di proteggere le operazioni militari.” Può accadere che i civili siano incidentalmente colpiti, ma le Convenzioni di Ginevra stabiliscono che non debbano essere oggetto di attacchi intenzionali.

Veniamo alla guerra in corso tra Israele e i suoi nemici. È un fatto che Hamas non rispetta la distinzione tra civili e combattenti sia quando si tratta degli ebrei — come altre organizzazioni terroristiche, ha infatti colpito i civili in Israele e nelle sinagoghe in tutto il mondo — sia quando si tratta degli stessi palestinesi. Non solo nasconde armi e combattenti nelle abitazioni e nelle strutture civili palestinesi, ma ha anche dichiarato per bocca di Ismail Haniyeh, in un messaggio ancora disponibile su YouTube: “Abbiamo bisogno del sangue delle donne, dei bambini e degli anziani palestinesi per risvegliare dentro di noi lo spirito rivoluzionario”. È evidente che, se le armi e i combattenti sono nel mezzo della popolazione civile, è praticamente impossibile per Israele combattere Hamas senza fare vittime civili. Questa situazione non esime Israele dall’obbligo di rispettare i principi dello ius in bello, e in particolare il principio di proporzionalità, ma lo rende di gran lunga più difficile. D’altra parte, è evidente anche che le stesse Convenzioni di Ginevra condannano l’uccisione di civili palestinesi e la distruzione delle loro proprietà da parte di gruppi di civili israeliani (come Lehava e Hilltop Youth). L’opinione pubblica di molti paesi ha comunque già deciso che, non episodicamente, ma sistematicamente Israele non rispetta la distinzione tra civili e combattenti e il principio di proporzionalità.  Questo di per sé rappresenta già una significativa vittoria per Hamas.

Abbiamo già detto che in questo articolo non vogliamo pronunciarci su questioni di fatto che non siano completamente e obiettivamente accertate. Vogliamo invece affrontare (sia pure per sommi capi) il problema più difficile posto dalla proporzionalità e dall’equivoco che si è detto.

Quali sono i danni che Israele vuole prevenire e che vanno confrontati con i danni inflitti ai palestinesi? Lo scenario peggiore — la cancellazione di Israele — non è una possibilità remota. Lo statuto di Hamas e le dichiarazioni di Ali Khamenei non lasciano dubbi. La “cintura di fuoco” orchestrata dall’Iran, che disporrà fra breve anche di armi nucleari, circonda il Paese. Il resto del nostro ragionamento muove da questa assunzione.

Spesso i filosofi che si sono occupati della proporzionalità in guerra hanno fatto ricorso a un’analogia tra l’autodifesa personale da una aggressione potenzialmente letale e la difesa di uno stato dall’aggressione da parte di un altro stato o di gruppi terroristici. A quale caso di autodifesa possiamo paragonare il caso di uno stato che corre seriamente il rischio di annientamento? 

Immaginate che una madre con due bambini stia camminando su un lungo ponte. Un malintenzionato alla guida di un suv è determinato a travolgere la madre con i suoi bambini, che non possono sfuggire. La madre dispone di un’arma potente che potrebbe polverizzare il suv. Ma il malintenzionato non è solo: insieme a lui viaggiano altri due bambini. Quali limiti morali si applicano alle reazioni della madre? È moralmente ammissibile che polverizzi il suv?

La madre — come, secondo la nostra assunzione, Israele — si trova in una situazione che i filosofi chiamano di “emergenza suprema”. Secondo alcuni, questi sono casi in cui un agente è costretto a scegliere fra corsi d’azione alternativi, tutti in ugual misura inaccettabili. Qualunque cosa faccia o non faccia è moralmente condannabile. È immorale uccidere intenzionalmente innocenti ma altrettanto immorale è lasciar massacrare altri innocenti. Non esiste un male minore.

In un articolo scritto dopo il massacro di My Lai, Thomas Nagel ha scritto che atti moralmente inaccettabili come l’omicidio e la tortura “non si deve solo presumere che, per compierli, si richiedano giustificazioni eccezionali. Si deve presumere che non si debbano compiere mai, perché i benefici che ne risulterebbero, non importa quanto grandi siano, non possono mai riuscire a giustificare un simile trattamento delle persone” (Nagel 1972). Difendersi uccidendo innocenti che sono dalla parte del nemico non è nulla di meno di una “Hiroshima in scala minore”. Questo vuol dire che chiunque si trovi in una situazione di emergenza suprema è nell’impossibilità di decidere che cosa fare per rispettare i principi morali.

Si potrebbe cercare di resistere alla conclusione di Nagel mettendo in dubbio che il massacro di My Lai sia paragonabile a una situazione in cui un gruppo di terroristi prende in ostaggio degli innocenti e se ne fa scudo, e altri ne minaccia di morte. Si potrebbe dire che la responsabilità della morte degli innocenti ricade in ultima analisi solo sui terroristi, che hanno messo qualcuno in condizioni di ucciderli per difendersi. È “l’argomento del trasferimento della responsabilità”. Il filosofo israeliano Daniel Statman sostiene che l’argomento “non funziona. Che l’aggressore sia da biasimare per aver creato una situazione in cui la vittima può salvare la propria vita solo uccidendo un innocente non comporta che la vittima non sia anch’essa da biasimare per aver di fatto ucciso quell’innocente” (Statman 2006).

È difficile però ammettere che, in certe situazioni, non c’è assolutamente niente che un agente, pur determinato a rispettare la legge morale, possa fare per salvare la propria vita o quella di qualcun altro ingiustamente minacciato di morte.

Riflettendo sulla Seconda guerra mondiale e il bombardamento delle città tedesche, Michael Walzer ha osservato che la minaccia nazista era “una minaccia suprema a tutto ciò che di decente c’è nella nostra vita, un’ideologia e una pratica di dominio tanto omicida, tanto degradante anche per coloro che potrebbero sopravvivere, che le conseguenze della sua vittoria finale erano letteralmente incalcolabili, incommensurabilmente orribili” (Walzer 1977). La proibizione di uccidere innocenti è assoluta, ma in quelle circostanze era giusto andare contro i principi sanciti dallo ius in bello: ci sono limitazioni sul modo di condurre la guerra, ma ci sono momenti in cui possiamo e forse dobbiamo infrangere quelle limitazioni, che tuttavia non si annullano (Walzer 2005).  In altre parole, il principio per cui gli innocenti devono sempre essere protetti è assoluto e violarlo è un male, ma nell’emergenza suprema è giusto compiere questo male. Di fronte all’orrore dell’annientamento, l’assolutismo morale che non ammette eccezione alla proibizione di uccidere innocenti, “rappresenta […] un rifiuto di riflettere su quel che significa la fine del mondo. La storia del ventesimo secolo rende quel rifiuto molto difficile da giustificare” (Walzer 2005). Sono ancora condivisibili queste parole, che sono state scritte molti anni fa? È sostanzialmente diversa la guerra in Medio Oriente dalla guerra contro la Germania nazista? Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui bisogna saper rispondere per pronunciare giudizi sensati.

In questo articolo non ci proponiamo di stabilire se Israele di fatto abbia violato il principio di proporzionalità. Cerchiamo di mostrare come debba essere interpretato quel principio e come siano difficili, anche per i filosofi, i problemi che solleva. Sarebbe vano liquidare tutto il problema sostenendo che simili sottigliezze filosofiche sono irrilevanti perché Israele dispone comunque di uno degli eserciti più potenti del mondo e non può quindi trovarsi in una condizione di emergenza suprema. Non sappiamo quanto reale sia l’emergenza, ma è già accaduto in passato che si sia detto che gli ebrei sono troppo ricchi e potenti nel mondo per trovarsi in una tale condizione. 

Infine, una precisazione forse non inutile. Nulla di quello che abbiamo detto significa che approviamo le azioni decise dal governo israeliano. Ancor meno facciamo previsioni sulla loro efficacia. Ancor meno pensiamo che siano accettabili le soluzioni minacciate dal presidente degli Stati Uniti (con simili amici, che bisogno c’è di nemici)? Come tutti,

anche noi siamo colpiti dal fatto che gran parte dell’opinione pubblica dei paesi democratici condanna le azioni di Israele, che giudica sproporzionate. È un giudizio pesante che crea in noi un ovvio conflitto. Abbiamo pensato però che sarebbe troppo facile cercare di risolverlo addossando tutta la responsabilità al governo di Israele. Noi che cosa faremmo, se fossimo lì? E perché l’opposizione a Netanyahu in Israele è tanto meno decisa ora di quanto fosse in passato? Siamo convinti che tutta la discussione sulla proporzionalità dovrebbe tener presente che è possibile che la distruzione di Israele non sia solo una vuota minaccia. L’opinione pubblica da un lato ignora questo punto e dall’altro continua a confrontare i morti di Gaza con quelli del 7 ottobre. La conclusione che Israele viola la proporzionalità sembra allora inevitabile. Per questo un chiarimento sui principi, per quanto faticoso, potrebbe essere utile. 

 

Bibliografia

— Convenzioni di Ginevra, 1949, Protocollo aggiuntivo I, https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1982/1362_1362_1362/it

— Final Report to the Prosecutor by the Committee Established to Review the NATO Bombing Campaign Against the Federal Republic of Yugoslavia (https://www.icty.org/en/press/final-report-prosecutor-committee-established-review-nato-bombing-campaign-against-federal)

— Haniyeh, I., videomessaggio, YouTube: /watch?v=BcHREDhwFFU.

— Mac Mahan, J., 2016, “Proportionality and Necessity in Jus in Bello”, in S. Lazar and E. Frowe (eds.) The Oxford Handbook of the Ethics in War”, https://www.philosophy.ox.ac.uk/files/proportionalityandnecessityinjusinbellopdf

— Nagel T., 1972, “War and Massacre”, in Philosophy & Public Affairs, 1972, I, 2:

     142-143,  https://www.jstor.org/stable/pdf/2264967.pdf

— Ronzitti N., 2000, “Is the non liquet of the Final Report by the Committee Established to Review the NATO Bombing Campaign Against the Federal Republic of Yugoslavia Acceptable?”, International Review Red Cross, 82,  n. 840: 1017-1027.

— Statman, D., 2006, “Supreme Emergencies Revisited”, Ethics, 2006, 117, 1: 58-79.

— Walzer, M., 1977, Just and Unjust Wars: A Moral Argument with Historical Illustrations, Basic Books.

Walzer, M., 2005, “Emergency Ethics” in Arguing About War, Yale University Press.