di Sandro Ventura
Sinistra per Israele è un’associazione che ha radici antiche: dopo la guerra dei sei giorni (giugno 1967) vari militanti della sinistra italiana sentirono fortemente l’esigenza di sostenere l’alleanza con la componente ebraica, rinsaldata dalla lotta di resistenza e di liberazione dal fascismo ma messa in crisi, soprattutto in seguito al sostegno bellico dell’URSS all’Egitto, alla Siria e ad altri stati arabi intenzionati a “buttare gli ebrei a mare”, cioè a distruggere lo Stato d’Israele. La straordinaria vittoria di quest’ultimo sugli eserciti arabi aveva prodotto una lacerante crisi fra URSS e Israele e, di conseguenza anche in Italia, fra una buona parte della sinistra e realtà ebraiche.
Fra i principali promotori della neonata Sinistra per Israele possiamo annoverare Giuseppe Franchetti, Bruno Segre, Furio Colombo e numerosi altri. L’associazione aveva continuato a lavorare intensamente fino alla guerra del Kippur (1973) e da allora aveva progressivamente ridotto il suo impegno, scomparendo quasi completamente, anche se molti ebrei progressisti avevano continuato la loro militanza all’interno dei partiti e dell’associazionismo della sinistra italiana, cercando di far comprendere le ragioni d’Israele e, d’altra parte ricordando alle comunità e alle istituzioni ebraiche il ruolo fondamentale di molti ebrei nella nascita e nello sviluppo della cultura e della politica di sinistra, soprattutto dell’impegno ebraico nell’antifascismo e nella guerra partigiana.
Nel 2005 c’era stato un rilancio dell’associazione ad opera di numerosi politici ed intellettuali di primo piano, fra i quali Giorgio Napolitano, Umberto Eco, Gad Lerner, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni, David Bidussa e molti altri che avevano firmato un Manifesto politico in undici punti (può essere visitato sul sito informatico dell’associazione).
Dopo l’efferato pogrom del 7 ottobre 2023 ad opera di Hamas e la terribile guerra che ne è conseguita, si è voluto far rivivere in modo decisivo questo movimento e si è così giunti al congresso (ri)fondativo dell’associazione, in cui è stato discusso e approvato lo statuto e sono state rielaborate e approvate dieci tesi che ne costituiscono la base culturale ed ideale.
Il principale obiettivo di Sinistra per Israele è quello di superare la lacerazione che la guerra fra Israele e Hamas ha prodotto fra molte componenti della sinistra italiana e quelle forze che sostengono anche le ragioni di Israele pur in una prospettiva di sinistra. Si propone cioè di fare comprendere come nel conflitto Palestina/Israele non si contrappongano un torto ed una ragione, ma due ragioni valide entrambe: quelle del diritto ad uno stato legittimo e sicuro per ciascuno dei due popoli. Gli israeliani hanno diritto ad uno stato libero, indipendente e sicuro, come pure i palestinesi. L’orizzonte di “due stati per due popoli”, che la guerra di Gaza tende a rimuovere, non deve restare lettera morta, ma ancora di più deve diventare un obiettivo da raggiungere, per quanto difficile e lontano. Come è stato ribadito molte volte nel congresso, i due popoli hanno adesso leadership estremiste, fanatiche ed incapaci, che si rinforzano a vicenda e mettono in minoranza, se non a tacere, tutte quelle forze che cercano una mediazione, un compromesso, che renda possibile la pacifica convivenza dei due popoli.
Come ha affermato Piero Fassino nella relazione introduttiva, la guerra di Gaza ha riaperto la ferita fra una parte della sinistra e mondo ebraico. Sinistra per Israele vuole riparare la ferita. Le politiche di Netanyahu, secondo Fassino, favoriscono la ripresa di stereotipi e pregiudizi antiebraici, che tendono a far rimuovere la complessità della situazione geopolitica e delle diverse variegate realtà presenti in Israele (e nel popolo palestinese aggiungo io). Dati l’estrema instabilità della situazione, il continuo cambiamento di scenario e la debolezza delle forze che, sia in campo israeliano sia palestinese, lottano per la convivenza pacifica, è necessaria una maggiore presenza di forze esterne che aiutino le parti a negoziare la pace, attraverso un percorso a tappe. In particolare, l’UE dovrebbe assumersi maggiori responsabilità ed essere più presente ed attenta. Secondo Fassino è necessario trovare un punto di equilibrio fra le diverse forze in gioco, mentre i discorsi e le politiche di Trump gettano nuova benzina sul fuoco, rischiando di far saltare la tregua precaria che è stata raggiunta con tanta difficoltà.
Sinistra per Israele insiste nell’affermare che è assolutamente necessario distinguere fra le politiche distruttive di Netanyahu, del suo governo di ultrareligiosi ed ultranazionalisti da un lato e lo stato d’Israele, in cui sono presenti significative componenti che lottano per la pace, per la convivenza pacifica e per una diversa gestione del conflitto col popolo palestinese, così come è necessario distinguere fra quest’ultimo e Hamas. Come ha ricordato Giorgio Gomel, in Israele/Palestina sono attive numerose associazioni in cui israeliani e palestinesi collaborano. Circa 160 di esse si sono federate nell’ALLMEP (Alliance for Middle East Peace) e continuano a lavorare intensamente, malgrado la guerra in atto che fa prevalere violenza e barbarie nei due schieramenti in conflitto.
Durante il congresso sono emerse continuamente drastiche critiche a Netanyahu ed al suo governo di fanatici. Si è anche affermato che egli non si comporta da ebreo ma da uomo autoritario di destra (fascista? mi chiedo). Basta pensare a come ha trascurato la trattativa per la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas che, anche da un punto di vista religioso (oltre che umano) avrebbe dovuto costituire il principale obiettivo d’Israele nella guerra in corso. Si è spesso sottolineata la complessità della situazione e si sono analizzati gli ostacoli che si frappongono ad una ripresa del dialogo fra le parti, soprattutto l’odio pervasivo che affligge sia la società israeliana sia quella palestinese e che viene strumentalizzato ed incentivato dalle leadership per continuare ad esercitare ed incrementare il loro potere.
Si è anche rilevato come lo shock del 7 ottobre abbia prodotto una profonda crisi nella società israeliana, generando dolore, paura, angoscia, sconforto, disperazione, rabbia che hanno indotto una reazione nei confronti della popolazione palestinese e incentivando a sua volta in quest’ultima gli stessi sentimenti. La situazione in atto certamente non induce a produrre comportamenti positivi e ad avere aspettative di miglioramento. A proposito è stato citato Gramsci che al “pessimismo della ragione”, quanto mai attuale, contrapponeva “l’ottimismo della volontà”, oggi quanto mai necessario.
Al congresso hanno partecipato circa duecento persone, mentre i soci di Sinistra per Israele sono circa quattrocento in tutta Italia, iscritti in sette sezioni. Il clima in cui si sono svolti i lavori è stato improntato ad un confronto libero, sincero ed onesto, che vedeva anche posizioni molto diversificate, ma sempre impegnate in una discussione franca e civile, che permettesse di comprendere meglio la situazione e di immaginare il necessario cambiamento.
Come ha affermato Emanuele Fiano, il principale promotore della rinascita di Sinistra per Israele, questo congresso ha assunto una funzione politica volta a superare i blocchi e le resistenze e ad incentivare il dialogo ed il confronto pacifico tra le parti, ponendo l’obiettivo, attualmente lontano ma necessariamente raggiungibile in futuro, di due stati per due popoli. Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche ha portato al congresso i suoi saluti ed auguri, facendo presente che siamo “sull’orlo di un baratro”, per cui ci viene richiesta “molta determinazione e molta convinzione su questioni valoriali” per evitare di caderci dentro. Ciò richiede un chiarimento del nostro rapporto con Israele e, soprattutto, dobbiamo capire come regolarci quando sentiamo che la politica di Israele non rappresenta i valori ebraici. Noemi ha sottolineato la lacerazione all’interno delle nostre comunità, come del resto sta accadendo in Israele, e come sta accadendo ad ognuno di noi che ha a cuore il destino d’Israele e del popolo ebraico ma anche i principi etici universali che lo nutrono.
L’assemblea congressuale ha eletto Emanuele Fiano presidente di un’associazione che si è dimostrata vitale, motivata, desiderosa di giocare un ruolo propositivo, determinata nel promuovere dialogo e confronto e, soprattutto, unita dall’amore per Israele. La componente utopica non è certo mancata, ma si è sempre coniugata con un forte realismo e con un continuo approfondimento delle conoscenze e delle riflessioni. Mi ritorna in mente l’aforisma di Theodor Herzl, a proposito della nascita di uno stato ebraico: “Im tirzù lo ihiyé haggadà” (se lo vorrete non sarà una leggenda). Queste parole possono riferirsi anche alla pace.