di Alessandro Treves
Se solo ci si potesse astrarre dalla tragedia del conflitto – che secondo le Nazioni Unite ha visto, quest’anno, una media di quasi un palestinese ucciso al giorno, quasi un israeliano la settimana, in gran parte civili e innocenti, come molti dei quasi duecento arabi israeliani uccisi a seguito di presunte faide locali, oltre agli oltre mille cacciati dalle loro case, e a innumerevoli altre violenze – gli ultimi sviluppi della situazione offrirebbero spunti di folklore che possono un po’ ricordare le vicende, familiari all’ebraismo italiano di cinquecento anni or sono, di David Reubeni.[1] C’è il mentitore seriale che ha fatto di tutto per essere ricevuto dal leader dell’impero d’Occidente; sebbene in quel caso il Re Joao del Portogallo appaia un tantino più giovanile, coi suoi 23 anni a malapena compiuti. C’è il contrasto con gli ebrei benpensanti, che gradualmente passano dal liquidarlo con sufficienza al levare sempre più allarmate proteste per il pericolo che egli rappresenta per tutta la collettività. E c’è la pletora degli stultiores, che vedono chissà come incarnata in lui la loro ansia di riscatto, di rivalsa dai torti subiti, anche affascinati dall’immaginare uno stile di vita sfarzoso, impudente, sigari e champagne, che per loro è un dito medio alzato contro i privilegiati. C’è infine il miraggio dell’Arabia, che colloca il mito della comune discendenza da Abramo in una visione non di pace ma di scontro finale, per cui servono le armi, molte armi, potenti armi che il leader dell’impero d’Occidente è chiamato a fornire.
Ma il leader esita. Sembra cascarci, ma poi temporeggia. Gli fa fare anticamera. Si ricrede: un altro di quegli imbroglioni.
Reubeni prova a rimediare cercando aiuto altrove, tenta di forgiare un’alleanza di Nazioni Unite per la guerra al Nemico d’Oriente. Non convince.
David Reubeni finirà in carcere. Arrestato con lui nel 1532, il suo amico/discepolo/concorrente Solomon Molcho, il mistico figlio di marrani che prematuramente invocava una rinascita messianica degli ebrei basata sul potere militare, finirà sul rogo. Qui le somiglianze finiscono. La deputata Limor Son Har-Melech, quasi un anagramma, del partito messianico Potere Ebraico, la cui figlia è nata prematura dopo un attentato in cui è rimasto ucciso il marito, invoca invece nel 2023 la scarcerazione di Amiram Ben Uliel, che lei definisce “un sant’uomo”, reo confesso di aver appiccato il rogo alla casa della famiglia Dawabsheh, in cui sono morti padre, madre ed il piccolo Ali, di 18 mesi. L’Araba Fenice è confusa.
[1] La vicenda è anche raccontata nel saggio di Lea Sestieri David Reubeni dall’Arabia all’Europa – edizioni Marietti collana Saggistica , 1991