LETTERA DI SOSTEGNO A NOEMI DI SEGNI
Gentilissima Presidente Noemi Di Segni,
a nome del Gruppo di Studi Ebraici di Torino, desidero esprimerLe il nostro apprezzamento per il discorso accorato e sincero da Lei pronunciato il 9 marzo 2023, durante la visita a Roma del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Lei ha interpretato coraggiosamente le preoccupazioni che agitano tanta parte del mondo ebraico italiano.
Con stima,
Bruna Laudi
Presidente Gruppo di Studi Ebraici
Il testo integrale del discorso della Presidente Noemi Di Segni:
Illustre Signor Primo Ministro Benyamin Netanyahu
S.E Ambasciatore di Israele Alon Bar
Presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello
Kvod ha-Rav Ha-Rashi della Comunità ebraica di Roma, Shmuel Riccardo Di Segni
Illustri ospiti,
A nome delle 21 comunità ebraiche dell’Italia tutta, Le porgo il nostro saluto di “baruch habà”, con l’auspicio che gli incontri programmati con gli esponenti del governo italiano siano proficui e la feconda cooperazione tra l’Italia e Israele maturi ulteriori frutti a beneficio dei nostri paesi. Paesi che da millenni dialogano, che oggi affrontano sfide globali comuni, dinanzi alla minaccia nucleare, cybersicurezza, guerra in Ucraina, l’immigrazione e la ricerca di un porto sicuro.
Gli ebrei italiani seguono giorno per giorno, minuto per minuto, la realtà israeliana, da mesi, da anni, da decenni, da sempre, sentendosi parte del grande sogno sionista e costruzione dello Stato ebraico di cui siamo testimoni appassionati. Israele è parte della nostra identità e destino:
– per trasmissione religiosa e fede;
– per il contributo degli ebrei italiani allo sviluppo di Israele in ogni ambito – accademia, cultura, imprenditoria, ingegneria, studiosi e ricercatori di fama mondiale;
– per le ripercussioni di quanto avviene in Israele sulle nostre vite qui soprattutto sul piano della sicurezza, come eco all’antisionismo, anti-Israele ricompreso nell’omnicomprensiva formula dell’antisemitismo;
– per i nostri figli che scelgono di viverci e li far germogliare i loro sogni di vita; vite anche faticose con le sfide di integrazione;
– per il lutto che ci accomuna con così tante famiglie, con il sacrifico di vite dei nostri figli nella difesa di Israele.
Lo Stato di Israele è nel cuore di tutti noi, ma evidentemente anche il cuore di tutto il mondo. Un cuore con mille legami e alleanze, oggi sempre più anche nella regione mediorientale e africana, ma al contempo decisamente isolato e incompreso che deve lottare per salvaguardare la sua esistenza fisica e legittimazione di esistere, il boicottaggio e le campagne di odio mediatiche, il terrorismo dentro e lontano dai suoi confini. Il nostro impegno e nostro pregare quotidiano è rivolto verso Israele, al fianco di ogni cittadino e ogni governo per sostenerne le ragioni e fare conoscere il valore di questo miracolo di rinascita e sviluppo ebraico. La difesa di Israele va oltre al nostro sentirci ebrei e comporta la difesa dell’Europa stessa, rispetto a minacce che spesso e con miopia non riesce a focalizzare.
Ecco potrei fermarmi qui a ribadire, come in altre occasioni di incontri con primi ministri e presidenti, il nostro sentimento di vicinanza e amore per la nostra antica patria e fratelli in Israele, ammirazione per la resilienza e orgoglio per le mirabili innovazioni, con la Tikva e la fiducia nell’esercito di Israele affinché guerre e terrore siano sradicati.
Invece ho scritto e cancellato, riscritto e ricancellato quanto affolla in queste settimane la mente e appesantisce il cuore, decidendo alla fine di condividere il pensiero diffuso tra le nostre comunità, cercando di conciliare il rispetto con la sincerità.
Posso assicurarLe Signor Primo Ministro che questo il sentimento di trasporto, identificazione viscerale e desiderio di tutelare le ragioni di Israele e la sua valorizzazione è quello di ogni mio correligionario, in ogni comunità. E proprio per questo lo scrutinio per le scelte che si compiono – tradotte in proposte di legge e linee guida ministeriali – è severo e sentito come dovere morale. Come dovere ebraico.
Così come in Israele per amore della propria patria e in ragione della specifica esperienza di vita e di contesto, si hanno posizioni diverse sul giusto da farsi, le differenze esistono anche qui e non vi è unanime valutazione rispetto alle scelte operate dal governo che guida. Non entro nel merito delle singole proposte di riforma della giustizia, ne posso esprimermi come Presidente che cerca di dare voce a tutte le anime – a favore o contro le manifestazioni trasversali, ma rispetto ai valori e al modo di porsi, quello sì.
Non posso esimermi dal condividere il senso di profonda preoccupazione, dinanzi alla spaccatura che si sta delineando dentro Israele e che inevitabilmente si riflette anche nelle nostre comunità, accentuando nei nostri contesti di riferimento quel giudizio così distorto sulla morale dello Stato di Israele, di chi è pronto sistematicamente alla critica.
Il riconoscimento maturato a favore di Israele quale Paese illuminato e democratico è un valore assoluto che desideriamo assieme a voi difendere per quanto possiamo fare nelle relazioni coltivate con enti ed istituzioni e nell’opinione pubblica. Questo è possibile se ci riconosciamo nelle modalità e nei valori che in queste settimane caratterizzano la dialettica politica, se e come riflettono valori ebraici.
Non può essere orgogliosamente ebraico il comportamento di chi incita all’odio e alla violenza verso il proprio vicino – chiloni, di sinistra, arabo israeliano o palestinese che sia – di chi quell’odio lo esprime in azioni oltre che in parole, incendiando e devastando proprietà altrui, di chi si fa giustizia da sé senza alcun rispetto per quelle stesse istituzioni e forze speciali preposti alla sicurezza di ogni cittadino.
Non si può essere orgogliosamente israeliani, né qui orgogliosamente ebrei, se in nome di una identità ebraica si offre come risposta al terrore, alla sofferenza e al lutto la violenza del singolo o la legittimazione politico-ministeriale agli atti di vendetta.
Le riforme di istituzioni essenziali al funzionamento di un paese, verso le quali si nutre da decenni rispetto e fiducia, che rappresentano un modello di antica cultura giudiziaria e saggezza ebraica da cui trarre esempio, non sono atto di ordinaria amministrazione. Richiedono confronto e responsabilità. Proprio per la rilevanza delle modifiche ai meccanismi di nomina della corte suprema, al sindacato di legittimità costituzionale e ai poteri della magistratura, ci sentiamo di dire che queste devono essere approvate attraverso un processo di ampio confronto e consenso. Certo che la maggioranza eletta propone e promuove, approva e sostiene legittimamente un proprio disegno politico, ma responsabilità di governo significa consapevolezza di centralità e rilevanza di queste istituzioni per la vita in un paese complesso e strutturato come è Israele nel lungo termine. Significa guardare oltre alla propria maggioranza. Quell’orgoglio per il livello delle istituzioni israeliane deve proseguire – non può trasformarsi in un passato.
Nella lotta contro la cecità dell’odio integralista, che vede sempre più “partecipi” bambini indottrinati, la proposta sulla pena di morte tocca le corde più profonde della ragione di vita e rievoca il dibattito sulla morale degli ordinamenti giuridici ispirati ai principi di libertà, specialmente nel dopoguerra, così come le discussioni talmudiche e necessita il più severo esame, proprio alla luce della nostra tradizione millenaria. Ogni parola in una simile legge è lo specchio della morale ebraica e non possiamo scrivere o cancellare senza meditare fino in fondo.
Credo sia doveroso per noi come istituzioni ebraiche nella diaspora, fare comprendere il perno delle questioni oggetto di votazioni in queste settimane a chi dall’esterno non ha la profonda conoscenza di Israele o grado di immedesimazione. Ma al contempo non prestarci a situazioni che accentuano le accuse e l’odio verso Israele nel suo insieme. Le risoluzioni all’Onu contro Israele sono presto votate, dossier presto stilati colmi di distorsioni, a prescindere da ogni evidenza e prova d’accusa. Per gli odiatori sistemici non ci sono israeliani pii o di buona sinistra, bambini o civili. È sempre un tutt’uno il fascio del terrore e del boicottaggio.
Il silenzio e l’acquiescenza al terrore non sono certo le armi per combattere il male che nei secoli e nei decenni di indipendenza dello Stato di Israele abbiamo vissuto direttamente o subito indirettamente. Ma ripeto, e non cancello, la propagazione di odio in risposta agli atti di brutale giustizia-fai-da-te in nulla assomiglia agli interventi di difesa attenta ed esperta e ci preoccupa moltissimo, così come ci preoccupa l’isolamento e la marginalizzata legittimazione di Israele, se prosegue imperterrita la modifica di leggi base senza un ampio, concreto e fattivo confronto, che generi unità del Paese, tutela del patrimonio di valori e sicurezza.
Ho scritto, poi cancellato, riscrivo e ribadisco: la mia, nostra, voce avviandoci verso le celebrazioni del 75-esimo anniversario dell’indipendenza di Israele, si aggiunge a quelli che chiedono e pregano per un confronto pacato e responsabile, dimostrando al mondo quel valore ebraico di dialettica costruttiva di cui siamo tutti orgogliosi, e son certa, capaci. La parola in ebraico OZEN (orecchio) ha la medesima radice della parola IZUN (equilibrio) e dipende quindi dal nostro grado di ascolto, il raggiungimento di un equilibrio che renda sostenibile il futuro di vita e di prosperità nella nostra terra.
Shabat shalom
Noemi Di Segni
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI)