Cari amici della redazione di Ha Keillah,

mi congratulo per il numero di maggio, molto ricco e interessante. Tuttavia sono rimasta perplessa dall’editoriale collocato in apertura. “Gli slogan feroci non devono trovare alcuno spazio in una giornata di ricordo e di festa: fa molto male sentire slogan che sottintendono l’auspicata cancellazione dello Stato di Israele. Fa molto male ascoltare voci che augurano lo stupro a ragazze di gruppi filopalestinesi.” L’impressione che si ricava da questo accostamento è che si stiano paragonando due fenomeni delle stesse dimensioni, cioè che le persone che augurano lo stupro alle ragazze filopalestinesi siano numerose quanto quelle che auspicano la distruzione di Israele. Anzi, l’intero editoriale, per il tono e per la collocazione in apertura di prima pagina, dà l’impressione di essere stato scritto con lo scopo primario di distogliere i lettori di Ha Keillah dalla brutta abitudine di augurare lo stupro alle ragazze di gruppi filopalestinesi, come se i lettori di Ha Keillah (anzi, gli ebrei torinesi in generale, dato che HK è un giornale ebraico torinese) non facessero altro dalla mattina alla sera.
La mia esperienza è ben diversa: in questi ultimi otto mesi ho avuto molte occasioni di partecipare a incontri e iniziative in sostegno di Israele, di parlare o interagire all’interno di gruppi whatsapp di vario genere con molte persone, ebrei o sostenitori di Israele, di diverse provenienze, età, livello di osservanza, idee politiche, e non solo a Torino; ho letto e ascoltato molte cose talvolta discutibili, talvolta molto sgradevoli, alcune che non condivido per nulla. Ma onestamente non ho mai letto né sentito nessuno augurare lo stupro a ragazze di gruppi filopalestinesi. Non dico che non sia successo (se lo avete scritto sarà vero di sicuro), ma non è un comportamento così diffuso come l’editoriale lascia intendere, certamente non a Torino. Invito la redazione, a scanso di equivoci, a precisare chi ha detto queste cose, dove e quando, anche perché è un’informazione utile per chi, come me, non ne sapeva nulla.
Viceversa, augurare la distruzione di Israele non è un fenomeno marginale: è quello che è accaduto in molte piazze e in molte (credo la stragrande maggioranza) delle manifestazioni in occasione del 25 aprile, in cui si sono viste molte più bandiere palestinesi che italiane o di qualunque altra nazione, organizzazione o partito, e in cui gli slogan gridati non chiedevano la pace o la soluzione a due stati ma la liberazione della Palestina (cioè tutta, dal Giordano al mare, cancellando lo Stato di Israele); forse non tutti quelli che gridano questi slogan si rendono conto di cosa significano; resta il fatto che in molte piazze d’Italia il 25 aprile 2024 è stato praticamente solo questo, con tanti saluti alla liberazione dal nazifascismo o a qualunque altro tema.
E non si tratta solo del 25 aprile. Guardiamo anche a quello che sta succedendo nelle università: basandosi sulle scritte e sulle affermazioni riportate da giornali e telegiornali si ha l’impressione che la guerra a Gaza e la sorte dei suoi abitanti non interessino più di tanto agli studenti filopalestinesi: non si parla tanto di cessate il fuoco a Gaza quanto di liberazione della Palestina (non si chiede la cancellazione di Israele perché Israele non viene proprio nominato, casomai si parla di “entità sionista”); non si parla tanto del 2024 quanto del 1948, se non del 1917 (dichiarazione Balfour): la situazione catastrofica in cui vive la popolazione di Gaza in questo momento si stempera in discorsi vaghi e spesso assai confusi su un supposto genocidio che dura da cent’anni o cose del genere, come se gli ultimi mesi non avessero visto nessuna particolare novità (da questo punto di vista si può notare un perfetto accordo tra i filoisraeliani acritici e i filopalestinesi acritici). Si considera normale urlare “fuori i sionisti dall’università!” come se il sionismo (cioè la convinzione che lo stato di Israele abbia diritto ad esistere) fosse un’ideologia del tutto inaccettabile, in un clima d’odio così pesante che molti studenti ebrei hanno paura di rivelare la propria identità; lo stesso clima d’odio che ha portato il gruppo ebraico LGBT Keshet alla scelta clamorosa e dolorosa di non partecipare al Pride di quest’anno. Peraltro se augurare stupri è inaccettabile, mi pare non meno inaccettabile giustificare stupri e femminicidi di massa, come quelli avvenuti il 7 ottobre, definendoli “resistenza”. E anche questo, purtroppo, è un fenomeno largamente diffuso.

Ritengo dunque che l’editoriale abbia messo sullo stesso piano fenomeni assolutamente non paragonabili tra loro per diffusione, frequenza e dimensioni.
Forse mi risponderete che è necessario criticare prima di tutto a casa propria ed essere più severi con la propria parte. Rispondo: appunto. Perché mi dovrei sentire responsabile per quello che fanno e dicono esponenti di Comunità ebraiche a cui non sono iscritta e non per quello che fanno e dicono (o per quello che non fanno e non dicono con un colpevole silenzio-assenso) esponenti del partito che ho sempre votato, delle organizzazioni a cui appartengo, autorità cittadine elette grazie al mio voto?

Anna Segre


RISPOSTA DELLA REDAZIONE

Cara Anna,

Nel nostro editoriale al quale fai riferimento, l’accostamento “tra chi auspica la distruzione dello Stato d’Israele e chi si augura lo stupro di ragazze filo-palestinesi” cercava di evidenziare la forte polarizzazione politica che ha luogo nel nostro paese in merito al dibattito sul conflitto israelo-palestinese e l’attuale guerra a Gaza. Purtroppo, anche all’interno della comunità ebraica italiana esistono ormai da tempo frange, comunque minoritarie, che si esprimono con un linguaggio violento, sia a livello fisico che verbale, in linea con più ampi moti eversivi e integralisti presenti nella società e nella politica israeliana. Riteniamo, come ebrei, che non si possa tacere su questi fenomeni, i quali gettano discredito sia sulle comunità ebraiche che su tutti coloro che conservano un legame affettivo con Israele, e finiscono poi per esacerbare ulteriormente lo scontro. L’episodio citato è reperibile al seguente link: Due ore di guerra civile a Roma: tensioni tra Brigata ebraica e Pro Palestina – La Stampa

Grazie

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