NELLA BUROCRAZIA IL CRIMINE SCOMPARE

di Marco V. Burder

Verso la fine del novecento, a Parigi, ci si chiese come mai il Municipio potesse disporre da decenni di immobili pregiati nel centro della città, organizzandone persino un’inspiegabile vendita a buon mercato, senza che si conoscessero le modalità con cui l’Hôtel de Ville ne era venuto in possesso. Erano di cittadini ebrei, mai più ritornati dopo la seconda guerra mondiale e di cui si diceva di non sapere più nulla.

 

Verso la fine degli anni trenta e nei primi anni quaranta del secolo scorso, pochi si chiesero in Germania come mai alcuni cittadini, che percepivano da tempo regolari vitalizi, pensioni o indennità varie, non andassero più a ritirarli nelle banche o negli uffici postali. — Erano ebrei e non li si vide più, pur non comparendo negli elenchi ufficiali dei defunti.

 

NEL REGNO MILLENARIO

 

C’è da immaginarsi i molti impiegati di banca, e cassieri a mezze maniche o sopra maniche, e i ragionieri esecutivi – per lo più persone di risaputa onestà che, per questo loro merito retribuito, mangiavano ogni giorno Gulasch guarnito di patate rosolate nel lardo, oppure Weißwurst, o Maultaschen, o ancora musetto stufato. A un certo punto, ciascuno per sé, quei carnivori, c’è da pensare si siano recati lisciandosi con sussiego la cravatta all’altezza dello sterno dal proprio superiore gerarchico, ovvero capo ufficio di sezione. Il quale, dopo averli ascoltati a rapporto con le braccia conserte, nonostante l’imbarazzo della voce, perché infortuni del genere non erano affatto di regola e spiaceva già d’ascoltarli per il disordine che portano in ipotesi, li avrà sottintesi con un cauto tono diplomatico e, toccando il gomito dei subordinati o reggendoli addirittura a braccetto per accompagnarli verso la loro scrivania, avrà trattenuto sulla propria l’incartamento discusso in attesa di ulteriori disposizioni che venissero dall’alto. C’è da supporre che, in seguito, quegli impiegati, cassieri o ragionieri di concetto, si siano accomodati con l’animo in una pace provvisoria, col sentimento di una specie di dovere per intanto compiuto nella sua prima fase d’anticamera. Da quel momento, la pratica sarebbe entrata nei procedimenti ulteriori e loro, i sottoposti, ne avrebbero forse sentito parlare più avanti, nel tempo a venire, magari per gli effetti di ritorno che essi stessi avrebbero dovuto recepire e disbrigare per conto dell’archivio centrale onde concluderne la procedura e classificarla a protocollo. Il capo ufficio, quello sì: avrà pensato a sua volta che i molti casi simili, nel frattempo affluiti sulla sua scrivania nel medesimo cestello, costituissero un ragguardevole materiale di statistica, stante la loro improvvisa eccezionalità. E al direttore di filiale, cui si doveva fornire il settimanale ragguaglio, era indispensabile parlarne con il freno nella voce, perché il caso anomalo, anzi i molti che si cumulavano al suo cospetto, non rientravano nella metodica noncuranza con cui egli usava apporre una paraffa in calce ai documenti da vidimare. È probabile che lui in persona, il direttore di filiale, avrebbe steso una relazione interna di stile sintetico, sebbene esplicito, circa la strana situazione in corso; e l’avrebbe scritta di proprio pugno, senza minuta e senza fare ricorso alla segretaria, o alla dattilografa. In busta sigillata, l’avrebbe inoltrata alla Direzione Centrale dell’Istituto con un rispettoso e minuscolo post scriptum, inteso a sollecitare disposizioni precise onde provvedere a questi infortuni privi ancora di una propria casistica e di una propria normativa. Qualcuno, forse nemmeno un vero dirigente ma un semplice delegato facente funzione, ricevuto che avesse il verbale, ci avrebbe pensato un po’, ci avrebbe almanaccato secondo le numerose ma rettilinee indicazioni della regolamentazione bancaria. Avrebbe ponderato, comparato, simulato su carta intestata per capire, tramite il conteggio, quali fossero i rischi e quali gli eventuali introiti. Infine, per non creare incidenti e per avere ben chiara la situazione, almeno negli aspetti più ragguardevoli, avrebbe profittato del nuovo modello aggiornato di macchina da scrivere per redigere a stampa coi suoi caratteri gotici una circolare riservata. La quale, d’allora, avrebbe definitivamente risolto le analoghe questioni, arginando ed estinguendo ogni perplessità già nella scaturigine prima – ovvero: nella testa degli impiegati, dei cassieri a mezze maniche e dei ragionieri, per lo più sparsi in ogni filiale e presso tutti gli sportelli nazionali dell’Istituto. Ma: cosa avrebbe riportato la circolare di così pacifico, nel senso contabile, e di così consolante, nel senso giuridico del termine? Ecco, quella circolare avrebbe istruito capillarmente tutti gli zelanti dipendenti degli sportelli terminali a ciò che, da quel momento in poi e con validità retroattiva, non si dovesse manifestare imbarazzo o altro disdicevole sentimento incompatibile col sereno svolgimento delle funzioni amministrative. Sine ira et studio: è il motto di ogni sacrosanta burocrazia. D’ora in poi le pensioni vitalizie e d’anzianità, così come il pagamento e la riscossione inspiegabilmente mancata delle suddette, non avrebbero più costituito materia d’indagine o addirittura d’inchiesta stupita presso l’anagrafe competente circa i rispettivi beneficiari, a meno che non provenisse di là un preciso documento informativo per una qualche rogatoria. Dopo giusto sei mesi di mancata riscossione da parte dei titolari, e anche in assenza d’ogni altra notizia che li riguardasse di preciso, essi erano da intendere decaduti a tutti gli effetti dal beneficio vitalizio, benché nessun organo istituzionale, municipale o di polizia, avesse notificato alcunché circa la morte, il trasferimento o la perdurante esistenza in vita di quei titolari, nel frattempo volontariamente rescissi. Insomma, concludeva la circolare, bastava applicare la contabilità: i numeri, soltanto i semplici numeri. Sei mesi sono cento e ottanta giorni, uno più, uno meno, trascorsi i quali, e non essendosi presentato neppure alcun percettore sostitutivo del titolare con una delega legale, l’Istituto avrebbe incamerato i vitalizi, le pensioni, gli interessi compositi e ogni altro emolumento personale in un fondo speciale di risulta, cui il Ministero degli Interni, o della Guerra in caso di pensioni d’invalidità militare, avrebbe attinto per i successivi tre anni scontando gli interessi. Dopo di che la pratica era estinta, del tutto spenta, e andava archiviata senza ulteriore pendenza formale. C’è da immaginare che i cassieri, i capi ufficio, i direttori di filiale, con tutti i loro impiegati e i solerti ragionieri a mezze maniche, o con sopra maniche, abbiano tirato un bel sospiro fondo, un sospiro di sollievo, e un sollievo persino patriottico. Sehr gut! Molto bene! Tutto in buon ordine. Alla fine, si era dimostrato che le questioni della razza, quand’anche purtroppo interferenti con l’amministrazione contabile, non erano suggestioni confuse di antropologi pignoli o di medici puristi presi da chissà quale ispirazione puntigliosa. Dove c’è il numero, c’è la scienza esatta; e dove sta la scienza esatta coi suoi calcoli, ogni padre di famiglia, pur nella sua versione di cassiere, impiegato di concetto, contabile o ragioniere esecutivo, avrebbe finalmente goduto di un pacifico dopo cena col conseguente sonno, caldo e rotondo, cui l’esattezza dà sempre diritto. Per questo un altro impiccio incongruo sarebbe stato del tutto rimosso e al più presto dimenticato.

Proprio così, nella bendisposta officina amministrata, si viveva e si dormiva durante il Terzo Regno Tedesco.