di Anna Segre

 A me personalmente il film Rapito di Bellocchio è piaciuto molto, e anche quel pizzico di retorica che si potrebbe rimproverare ad alcune scene (in particolare quella finale) mi è sembrato giustificabile considerato il grande coinvolgimento emotivo che la rievocazione del caso Mortara provoca in tutti noi. I giudizi che ho sentito sono piuttosto variegati. C’è chi ha ritenuto alcuni momenti troppo lenti ma a mio parere erano funzionali a mostrare la lunga opera di condizionamento portata avanti nei confronti del bambino. Qualcuno ha avuto da ridire sul contrasto tra le scene buie con cui è rappresentato il mondo ebraico e quelle luminose e sfarzose dell’ambiente cattolico, ma, appunto, si tratta della visione soggettiva di Edgardo Mortara, ed è anche il segno della condizione di subordinazione in cui gli ebrei erano tenuti. Ad alcuni non sono piaciute le sequenze che rappresentano i sogni di Edgardo (e anche di Pio IX), mentre qualcun altro le ha particolarmente lodate.

In ambito cattolico era lecito aspettarsi qualche parere meno positivo, in particolare da parte degli ambienti più conservatori, ma confesso che mai avrei immaginato di leggere nel XXI secolo una critica al film che in sostanza dà ragione a Pio IX e di fatto giustifica il rapimento di Edgardo Mortara. Mi è stata segnalata da una collega e si trova sul giornale online Tempi (tempi.it). È stata pubblicata il 26 maggio, è firmata da Luca Del Pozzo e s’intitola “La storia di Edgardo Mortara che Bellocchio non racconta”.

Mi permetto di citarne ampie parti perché le trovo particolarmente inquietanti.

Stiamo parlando di Rapito, il film di Bellocchio presentato a Cannes nei giorni scorsi, e che ha per oggetto il cosiddetto “caso Mortara”, ossia la vicenda del piccolo Edgardo, un bambino ebreo che trovandosi in gravissime condizioni di salute al punto che per i medici gli restavano poche ore di vita, venne battezzato all’insaputa dei genitori dalla domestica cattolica (per altro assunta violando le leggi del tempo), e dopo diversi anni sottratto alla famiglia per essere cristianamente educato come era preciso obbligo della Chiesa fare in ossequio, di nuovo, alle leggi ecclesiastiche e civili dell’epoca (per inciso: Edgardo fu sottratto ai familiari solo dopo che questi, sobillati anche da quegli ambienti, con in testa Napoleone III, che colsero la palla al balzo per creare un caso internazionale contro la Chiesa, rifiutarono ogni tentativo di conciliazione da parte di Pio IX…).

Insomma, tutta colpa dei genitori di Edgardo che prima si permettono addirittura di assumere una domestica cattolica, poi si lasciano sobillare da certi ambienti, creano un caso internazionale per una cosa da nulla come riavere indietro il proprio figlio rapito, e infine rifiutano ogni tentativo di conciliazione da parte del povero papa Pio IX.

Infatti fu solo innanzi alla risoluta e irremovibile volontà della famiglia Mortara di non accettare la mediazione proposta dalla Chiesa, che Pio IX si vide costretto alle maniere forti. Maniere forti di cui, dice lo stesso Edgardo nel memoriale, «sarebbero stati responsabili gli stessi genitori del bambino» in quanto prendendo in casa una domestica cattolica avevano contravvenuto alle leggi dello stato pontificio all’epoca vigenti. «Potevano ora ben accettare il lenitivo che si offriva loro, con il progetto di mettere il bambino in un collegio cattolico della stessa Bologna (finché non avesse raggiunto la maggiore età)».

Proprio caparbi questi genitori: bastava che accettassero che il figlio fosse educato come cattolico e avrebbero potuto averlo nella loro stessa città, con la possibilità di andarlo a trovare facilmente. Cosa potevano pretendere più di questo?

Ma le affermazioni sconcertanti non finiscono qui: totale adesione al gesto della domestica Anita Morisi la quale vedendo il bambino in fin di vita e ricordandosi da buona cattolica quanto prescrive la Chiesa sul battesimo di necessità ovvero in articulo mortis per cui se una persona sta per morire dev’essere battezzata senza indugio, prende e battezza il piccolo sperando che così possa andare in Paradiso.

Dal resto il rapimento del bambino è prassi consolidata secondo le leggi dell’epoca, ma soprattutto un atto di carità che la Chiesa doveva nei confronti di una persona divenuta un figlio di Dio essendo stata battezzata pur in circostanze straordinarie.

La qual cosa l’espressione “conversione coatta” rende molto poco e male. Tra l’altro, sul punto giova ricordare il non banale dettaglio che oltre al dovere, per così dire, formativo, la Chiesa voleva evitare in tutti i modi che il piccolo Mortara fosse costretto ad una violenta e forzata apostasia a causa del montare della protesta tanto della comunità ebraica che dei suoi sostenitori.

Volevate mica permettere che quel povero bambino miracolosamente salvato dalle grinfie della sua famiglia e della sua comunità tornasse ebreo!

Potrei andare avanti all’infinito con affermazioni inquietanti buttate lì con assoluta nonchalance come cose assolutamente scontate, in mezzo a frasi sarcastiche all’indirizzo di Bellocchio e di tutti quegli ostinati laicisti che, come lui, rifiutano di riconoscere queste verità. Neanche per un attimo chi scrive è sfiorato dall’idea che al mondo ci possa essere più di una religione legittima e che una famiglia non cattolica possa avere il diritto di educare i figli nella propria fede.

Certo Tempi non rappresenta la Chiesa cattolica, e quasi certamente esprime opinioni minoritarie nell’ambito del mondo cattolico. Giornali ben più diffusi ed autorevoli come Avvenire e L’Osservatore Romano esprimono giudizi ben più equilibrati; Famiglia cristiana definisce Rapito un grande film, girato con maestria, rispetto, evitando inutili esaltazioni.

Tuttavia, anche ammettendo che non sia molto diffuso, dobbiamo tenere presente che Tempi non è un blog, un giornalino parrocchiale o l’organo di un gruppuscolo semiclandestino: è una testata regolarmente registrata, con una storia abbastanza lunga, e per chi ne volesse sapere di più c’è anche una voce Wikipedia.

Rappresenta un punto di vista minoritario ma a mio parere non trascurabile. Del resto l’articolo di Giorgio Berruto pubblicato sul numero scorso di Ha Keillah dava conto di un antigiudaismo ancora profondamente (anche se forse non del tutto consciamente) radicato persino tra le insospettabili pagine di un autorevolissimo libro di filosofia (e – aggiungo io – molti libri di testo di storia antica non sono da meno).

Insomma, nell’Italia di oggi si ricordano solennemente le vittime della Shoah, si leggono e si fanno leggere a scuola testi di autori ebrei, le autorità partecipano spesso e volentieri a eventi organizzati dalle nostre Comunità, i nostri rappresentanti hanno un posto in prima fila in molte occasioni. Eppure nonostante tutto questo dobbiamo tenere presente che, in termini di reale accettazione o almeno comprensione dell’ebraismo, non possiamo dare mai nulla per scontato.

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