di Emilio Jona

Abbiamo accompagnato Elena in un mattino assolato di luglio in un angolo del cimitero ebraico di Torino, l’abbiamo ricordata con parole sobrie e con le insegne della Resistenza; così essa ha concluso con il nostro affetto la sua lunga e splendida vita di donna ebrea laica e antifascista. Ci conoscevamo dall’infanzia, avevamo circa la stessa età e consolidati vincoli di parentela, un mio nonno e una sua nonna erano fratello e sorella, Matilde, sua madre era la migliore amica di mia madre, frequentammo la stessa scuola ebraica tra il 1938 e il 1943, ci vedemmo soprattutto nell’immediato dopo guerra e poi, entrambi sposati, saltuariamente in cene conviviali; costantemente in questi ultimi anni, sino all’aprile scorso, celebravamo insieme Kippur e Rosh HaShanah, sedevamo sempre vicini e parlottavamo amabilmente del nostro comune passato. Io ho un ricordo particolarmente forte, che più di una volta rievocammo insieme per la sua emblematicità.
Nell’ estate del 1945 Elena andò al primo campo estivo del dopoguerra di giovani ebrei, credo organizzato dalla Hashomer Hatzair nella campagna toscana e ritornò gravemente ammalata di tifo, così come accadde a buona parte dei partecipanti al campeggio che si erano abbeverati ad un pozzo, dentro cui c’era il cadavere di un tedesco! Io andavo regolarmente a trovarla nella sua casa di Via Sacchi e mi è rimasta indelebile come un fotogramma l’immagine del suo bel volto sorridente di adolescente, pallido e febbricitante e della sua testa senza più capelli e mi piace salutarla così mentre si riprendeva, nonostante il tedesco, la vita.

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